E se lo Stato non facesse più il suo dovere?

 

Se lo Stato viene meno al suo impegno di difendere il cittadino per difendere se stesso dalla catastrofe economica, cos’è che trattiene il cittadino dalla ribellione, dalla resistenza, dal tentativo di “provvedere a se stesso”?

 

di Alberto Giuseppe Pilotto

 

 

Di fronte all’emergenza pandemia di Covid-19, una dichiarazione sicuramente sconcertante per tutti e per molti agghiacciante è stata quella di Boris Johnson, membro del partito conservatore e attuale primo ministro inglese, che senza mezzi termini ha annunciato al suo popolo che il governo non avrebbe preso praticamente alcun provvedimento di fronte all’emergenza sanitaria, suggerendo, inoltre, beffardamente: «Abituatevi a perdere i vostri cari».

 

Proviamo a fare una breve analisi dei presupposti e delle conseguenze di questa dichiarazione.

Innanzitutto, ad essa sottendono due tendenze che in questa situazione dimostrano una logica comune, per alcuni insospettabile. La prima logica assolutamente evidente è il classismo: mentre infatti i più ricchi potranno, magari con i loro jet privati, scappare nelle loro proprietà all’esterno, – come in ambito nostrano ha fatto, per esempio, Berlusconi –, o permettersi cure in strutture adeguate, le classi meno abbienti saranno costrette a restare nel Paese, obbligate a recarsi al lavoro senza alcuna tutela o precauzione. La seconda, poi, è quella del darwinismo sociale: saranno infatti i soggetti più deboli a rimetterci, mentre quelli più forti sopravvivranno.

Da cosa sono collegate queste due logiche? Dal fatto che spesso e volentieri la condizione di salute delle persone è determinata dalla loro classe sociale: la classe sociale determina il luogo di residenza e il lavoro – fattori che fanno variare il rischio di esposizione alla malattia –, il livello di istruzione – che permette di informarsi meglio sulle malattie, sui rischi –, il reddito (cfr. Laura Corradi, Salute e ambiente. Diversità e disuguaglianza sociale). Tutto ciò potrebbe stare ad indicare che le classi più colpite dalle scelte del governo inglese saranno quelle meno abbienti, delle persone costrette a vivere e lavorare in zone ad alta densità demografica, in ambienti angusti o comunque poco igienici, con scarse tutele.

 

 

Ma ci si potrebbe chiedere, allora, quale sia la motivazione che ha spinto il primo ministro inglese a una così agghiacciante decisione. La risposta non può essere che una: la volontà di salvaguardare l’economia. La chiusura della stragrande maggioranza delle attività produttive e commerciali, e la per niente clemente dichiarazione di Lagarde, capo della BCE, ha fatto perdere alla Borsa di Milano il 17% in un sol giorno, segnando il suo record negativo storico. Presi probabilmente dallo spauracchio di una crisi economica, leader come Boris Johnson stanno facendo ben poco per impedire in tempo utile il diffondersi della malattia nel loro Paese, anche se potrebbero farsi forti dell’esperienza italiana e degli altri Paesi per agire in tempo.

 

Boris Johnson, Primo Ministro inglese
Boris Johnson, Primo Ministro inglese

 

Emerge allora in questa dinamica ciò che Foucault chiama biopolitica, che si fonda sul biopotere dello Stato, ossia sul suo potere di comandare e decidere intorno ai corpi delle persone, potere che si esplica nella sua forma più compiuta nel capitalismo. In termini di biopolitica in questo momento la scelta che si sta profilando di fronte ai governanti è da una parte di proteggere la salute degli individui dalla pericolosità del virus; o dall’altra di proteggere l’economia dalle conseguenze del virus tramite e a scapito delle vite degli individui. In questo senso l’Italia sembra aver scelto la prima opzione, l’Inghilterra la seconda.

 

Sorge allora un altro problema, che ha alimentato per lungo tempo il dibattito all’interno del pensiero politico moderno: il problema del diritto di resistenza al potere sovrano: può, infatti, il popolo resistere alle decisioni del sovrano nel caso in cui questo tramite esse non provveda più alla sua sicurezza? Come dovrebbe essere noto, nel sistema politico teorizzato da Hobbes la sovranità, una volta ceduta, non può essere riacquistata, da cui l’impossibilità di una resistenza legittima al potere sovrano. Secondo Locke invece tale diritto deve essere garantito, in quanto se il sovrano non rispetta i diritti naturali dei cittadini, il popolo può opporgli resistenza.

In questo caso il dilemma, prima del tutto teorico, potrebbe farsi concreto. Come può uno stato fare in modo che il cittadino rispetti la legge, se il rispetto di questa legge non gli garantisce la vita, la salute, la sicurezza? Se lo stato viene meno al suo impegno di difendere il cittadino per difendere se stesso dalla catastrofe economica, cos’è che trattiene il cittadino dalla ribellione, dalla resistenza, dal tentativo di “provvedere a se stesso”?

 

Ancora una volta dunque sembra emergere la contraddizione di chi vorrebbe fare del profitto e della crescita economica l’unico metro per le decisioni politiche. Il virus sembra metterci in questo senso di fronte ad un aut-aut: da una parte la vita delle persone, di centinaia di migliaia di persone, e dall’altra la tenuta di un’economia basata sulla produzione e sul consumo perpetui. Il virus ci mostra come la vita non possa essere semplicemente ridotta a lavoro, produzione e consumo, ma che essa deve essere tutelata in altre maniere e secondo valori ulteriori rispetto al profitto. Forse, questa epidemia ci sta mettendo di fronte ai limiti intrinseci del nostro sistema, mostrandoci che gli interessi dell’economia capitalistica – e dello stato suo strumento – possono non coincidere con quelli delle persone.

Superata questa pandemia sarà dunque necessario cambiare profondamente il nostro modo di pensare la società e il mondo, in favore di uno che riesca a mettere al centro le esigenze umane in primo luogo, piuttosto che quelle di un incontrollabile macchina di profitto che sembra ormai sfuggire al nostro controllo. Se dunque le scelte politiche di alcuni stati in questi giorni mostrano che gli interessi dei mercati e quelli delle persone non coincidono, sarà necessario un radicale ripensamento dei nostri valori e dei fini della nostra società, che, ormai, non mette più l’uomo al centro.

 

18 marzo 2020

 








  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica