Sull’Italia e gli Italiani: usi e costumi del Bel Paese

 

Eh, sono cose da italiani. Proprio un lavoro all’italiana! Sono solo un paio delle tante frasi che si sentono dire tutti i giorni nel nostro Paese, con le varie declinazioni di “italiano” utilizzate con un significato tendente al negativo: cercando di parafrasare, qualcosa fatto all’italiana è pressapochista, impreciso e, talvolta, dal fare truffaldino e sottobanco. La domanda sorge spontanea: quali sono i comportamenti tipici degli italiani? Quali le loro abitudini?

 

di Leonardo Guglielmini

 

 

Vivere in Italia significa essere eternamente divisi riguardo al giudizio sul proprio Paese.

Ad esempio, da una parte il vanto di essere stati, storicamente parlando, una delle principali potenze europee ed essere positivamente candidati, stando alle parole del Presidente del Consiglio (ad oggi dimissionario) Mario Draghi a poter crescere più di Francia e Germania nell’anno corrente grazie ai fondi stanziati dall’Unione Europea (in particolare, il fondo Next Generation EU) , dall’altra la coscienza di essere stati inseriti dalla stampa economica anglosassone, già negli anni Novanta, nei PIGS (acronimo di Portugal, Italy, Greece & Spain), ovvero nei Paesi ritenuti più deboli dal punto di vista economico in tutta l’Unione Europea, a causa dell’abnorme debito pubblico.

Ancora, la fierezza di essere lo Stato con più patrimoni UNESCO al mondo e, allo stesso tempo, l'investire solo l’1,4% del totale della spesa pubblica (tralasciando le previsioni di collocamento dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) nella tutela e conservazione dei beni culturali a fronte di una media europea del 2,1%.

 

Sebbene gli esempi riportati siano prettamente riferiti al presente (o, quantomeno, ad un vicinissimo passato), questo meccanismo di luci ed ombre è in realtà cronico e sistematico in Italia.

Per questo motivo, in periodi storici diversi, con platee di lettori e motivazioni di scrittura differenti, diverse personalità, sia italiane che straniere, hanno cercato di delineare una fisionomia degli usi e dei costumi, dei vizi e delle virtù della popolazione italiana.

Questo non solo per una volontà propria, ma in senso più ampio anche per una necessità del Paese stesso: veniva ritenuto fondamentale, per alcuni illuminati intellettuali, capire perché in Italia le cose non andassero come negli altri Stati – sia a livello politico, sia in ambito economico e sociale (si pensi alla costituzione di un'unica Nazione oppure all’industrializzazione, cominciata solo con la modernizzazione del Regno di Sardegna e l’iniziativa di Camillo Benso, conte di Cavour).

 

In particolar modo, meritano di essere analizzati due saggi, scritti in periodi storici diversi, riguardanti due Italie profondamente mutate. Una ancora frammentata in Stati indipendenti e in sussulto a causa dei moti risorgimentali, l’altra già unita da un’ottantina d’anni abbondanti.

Gli Italiani, però, sembrano essere sempre gli stessi.

 

Il primo saggio, in ordine cronologico, è il Discorso sullo stato presente dei costumi degl’Italiani, scritto da Giacomo Leopardi nel 1824.

In questo scritto, i comportamenti tipici degli abitanti del Bel Paese vengono descritti in funzione di una critica verso la società italiana, comparata a quella formatasi all’interno di Stati come Francia, Germania e Regno Unito.

Secondo Leopardi, infatti, nei Paesi d’oltralpe si è arrivati alla concezione massima di società, intesa come «convitto degli uomini per provvedere scambievolmente ai propri bisogni, e difendersi da’ comuni danni e pericoli»: il singolo individuo avrebbe ottenuto il massimo beneficio unicamente aiutando l’altro, creando un circolo virtuoso che coincide con la società stessa.

 

Il secondo è il saggio Gli Italiani. Vizi e virtù di un popolo, scritto originariamente in lingua inglese nel 1964 da Luigi Barzini (pubblicato in traduzione l’anno successivo in Italia), giornalista del «Corriere della Sera» che passò buona parte della sua vita lavorativa negli Stati Uniti d’America.

La stesura di questo scritto era rivolta proprio alla platea di lettori americani, in parte per riscattare la malfamata nomea degli italiani a New York e nella cosiddetta East Coast degli USA, oltre che per cavalcare l’onda di popolarità che riscuoteva l’«italian lifestyle», citando direttamente Barzini, a causa del boom economico degli anni Sessanta.

 

Chiaramente, anche la stessa professione dei due caratterizza in modo chiaro la dissertazione dell’argomento. Da una parte Leopardi, poeta sicuramente ma altrettanto alacre filosofo, per definizione più abituato a trarre dai fatti il generale e il modus operandi rispetto alla descrizione degli avvenimenti più tipica della scrittura giornalistica di Barzini, comunque condita da richiami ad eventi storici e caratterizzata da una sottile ironia.

 

Confrontando i due testi risulta abbastanza semplice delineare le linee di pensiero dei due autori.

 

Ad esempio, prendendo in esame una delle frasi della prefazione del saggio di Barzini, ossia «Una delle principali cause di perplessità in cui ci si imbatte nel considerare le cose d’Italia è l’assurda discrepanza tra l’eccellenza di gran parte degli italiani singoli e il destino generalmente sciagurato del loro paese attraverso i secoli», è chiaro come, in fin dei conti, anche lo scrittore sia ben conscio e quasi drammaticamente rassegnato al fatto che l’Italia fosse già allora fatta di menti brillanti, sia dal punto di vista accademico che prettamente pratico (che Barzini stesso definisce conoscenza familiare, alla quale dedica un intero capitolo dello scritto), ma che, per qualche irrazionale e indefinito motivo, queste non riuscissero ad accomunare queste qualità e collaborare per il futuro e il progresso della Nazione.

 

La consapevolezza dell’importanza di queste menti illuminate fu prepotentemente utilizzata, durante il Ventennio, da Benito Mussolini per affermare l’illusoria predominanza italiana sugli altri popoli europei – si ricordi, in particolare, l’iscrizione sulla facciata del Palazzo della Civiltà Italiana, fatto costruire per l’Esposizione Universale del 1942 a Roma (non tenutasi a causa del Secondo Conflitto Mondiale), ossia «Un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori».

 

 

Una possibile risposta alla questione posta da Barzini arriva, invece, dal Discorso, nel quale viene ribadita più volte una caratteristica degli italiani che Giacomo Leopardi erge a grave difetto della popolazione del Bel Paese in confronto agli altri Stati europei, ovvero: 

 

« In Italia il più del riso è sopra gli uomini e i presenti. La raillerie, il persiflage [la presa in giro, dal francese], cose sì poco proprie della buona conversazione altrove, occupano e formano tutto quel poco di vera conversazione che v’ha in Italia. Quest’è l’unico modo, l’unica arte di conversare che vi si conosca »

 

Come anche: 

 

« [La maggior parte delle discussioni in Italia si tiene] ne’ caffè e ridotti pubblici, piuttosto che appresso i privati, appo i quali propriamente non si conversa, ma si giuoca, si danza, o si canta, o si suona »

 

Insomma, secondo Leopardi sebbene gli italiani abbiano tutte le carte in regola, come asserisce Barzini, per portare progresso e miglioria allo Stato, tanto che li definisce, sempre nel Discorso, «mille volte piú filosofi del maggior filosofo», soprattutto dal punto di vista pratico (analogamente alla descrizione de Gli Italiani), questi non riescono a convogliare le loro abilità poiché non sono abituati a discorrere e conversare riguardo tematiche più impegnate e apparentemente distanti dalla vita di tutti i giorni, quando in realtà sono proprio i concetti che necessitano di essere trattati, poiché caratterizzano e regolano la quotidianità.

 

Non stupisce questa conclusione di Leopardi se rapportata anche ai nostri giorni: gli Italiani non sembrano essere fatti per il confronto.

Si pensi ai talk show a tema socio-politico, come nel caso dei dibattiti tutt’altro che civili riguardo all’introduzione della Certificazione Verde e le limitazioni ad essa collegate; o ancora, i beceri scambi durante la campagna elettorale, arroccati e banalizzati sulle solite scaramucce tra destra e sinistra, privi di ogni argomentazione.

E, drammaticamente, a causa dello svilimento di tali questioni di spessore in semplici chiacchiere da bar (o da caffè, citando Leopardi) sono state aperte le porte al populismo del XXI secolo: conseguentemente, risulta logico pensare che l’italiano medio, per quanto capace e filosofo nelle questioni più pratiche, cerca di lasciare le risposte a quelle più complesse ad altri più capaci – o meglio, a chi convince di essere capace.

 

Nel saggio di Barzini, poi, viene lasciato anche spazio ad una riflessione anch’essa molto attuale riguardo al trattamento dei giovani nella società italiana.

L’autore, infatti, asserisce: 

 

« In altri paesi dell’Occidente, i giovani che sentono lievitare nell’animo un’ansia di grandezza trovano, senza molte difficoltà, la strada aperta: da noi invece, in tutti i tempi, tali giovani devono nascondere la loro vocazione se vogliono campare »

 

E lascia esempi illustrissimi come «Niccolò Machiavelli, tenuto lontano dagli affari importanti, imprigionato e torturato; [... ] Dante Alighieri, come Mazzini e Foscolo, cercarono pace lontano dalla patria».

 

Anche questo viene confermato, nella visione della società di più di un secolo prima, dal Discorso di Leopardi, che recita: 

 

« Insomma niuna cosa, ancorché menomissima, è disposto un italiano «di mondo» [di mondo ha l’accezione di “capace, brillante e spigliato”, basandosi sul contesto in cui si trova inserito] a sacrificare all’opinion pubblica; e questi italiani «di mondo» che cosí pensano ed operano, sono la piú gran parte, anzi tutti quelli che partecipano in quella poca vita che in Italia si trova »

 

Il passo dell’autore marchigiano assume un amaro significato, riassumibile in un laconico tanto vale: è inutile sacrificarsi al parziale e immaturo giudizio dell’opinione pubblica, dato che si verrebbe nient’altro che mortificati e sminuiti – ricordando che se vengono degradate le proprie asserzioni e convinzioni, vengono ridotti anche i soggetti stessi, poiché si è quanto si crede e si dimostra: l’esporsi al popolo un’azione sì rischiosa, ma anche l’unico sale della partecipazione alla società.

 

 

Di conseguenza, ne risulta un’Italia con uno dei tassi di disoccupazione giovanile più alti d’Europa, con un preoccupante 28% rispetto alla media europea del 15,5%; o un fallimentare risultato degli interventi da parte dello Stato per cercare di inserire i giovani nel mondo del lavoro (in particolar modo nelle Pubbliche Amministrazioni), come con il noto Quota 100, introdotto nel 2019 dal Governo Conte I: prendendo in esame quest’ultima manovra, si è dimostrato come siano i lavoratori con più esperienza a non voler usufruire del pensionamento anticipato, non così permettendo ai giovani di entrare nel tessuto lavorativo statale, per mantenere quel perenne e placido status quo di cui gli Italiani non sembrano voler fare a meno.

In conclusione, si potrebbe dichiarare con estrema tranquillità che gli Italiani, per quanto vivano in periodi storici diversi, circondati da stimoli diversi, oltre che plasmati e forgiati da avvenimenti storici come l’Unità d’Italia e le seguenti Guerre Mondiali, siano sempre gli stessi.

 

Legati indissolubilmente alla loro terra d’origine, ricordandola con malinconica nostalgia una volta all’estero, come sottolineato ne Gli Italiani:

 

« All’estero, ricchi e poveri, cercano il caffè espresso, cercano un buon ristorante italiano, ovunque vadano, e sospirano in attesa del giorno in cui torneranno »

 

Dell’Italia si rimpiange, infatti, lo stile di vita: per quanto aperto e flessibile, incrollabilmente legato alla propria routine – ogni italiano è sistematico nelle piccole cose, nelle praticità di ogni giorno.

Anche il recentemente scomparso Piero Angela, noto divulgatore scientifico, giornalista, conduttore televisivo e saggista italiano, parlando proprio dell’idea di Stato e della cultura propria degli italiani, affermava che

 

« la cultura tradizionale che noi abbiamo, di tipo letterario, filosofico, giuridico è molto preziosa, ma è adatta a una società contadina, dove le cose non si muovono »

 

Eternamente divisi e frammentati, se consideriamo per esempio il divario economico tra Nord e Sud, così sovente richiamato nel dibattito pubblico; ma è indubbio che le differenze siano anche, inconciliabilmente, culturali: si pensi alle feste locali, ai miti, alle credenze e alle abitudini.

Ancora Angela, infatti, dichiarava:

 

« [L’Italia] è un paese pieno di scienziati straordinari ma manchiamo di un’intelligenza di sistema, della capacità di organizzare quest’intelligenza in un progetto »

 

Lo stesso Leopardi nel Discorso conclude dicendo:

 

« Gli usi e i costumi in Italia si riducono generalmente a questo, che ciascuno segua l’uso e il costume proprio, qual che egli si sia »

 

I costumi della nostra Nazione non sono infatti legati all’idea di Patria, di Repubblica o di Stato: ma semplicemente di Italiani, in quanto abitanti della Penisola.

Tuttavia, per alcuni aspetti, sono incredibilmente simili da Bolzano a Caltanissetta.

Essere italiani, come già aveva capito Giacomo Leopardi nei primi decenni del XIX secolo, non è questione di ius soli o ius sanguinis, ma di piena e pura consapevolezza dei pregi e dei difetti dell’Italia – terra di paesaggi stupendi, di menti brillanti e del perenne terno al lotto riguardo al proprio futuro.  

 

22 agosto 2022

 









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