Il miracolo della salvezza nel cinema: Dunkirk

 

Ciò che il regista di Interstellar mette in scena nel suo ultimo film è il destino fallimentare di tutte le forze che minacciano di far scomparire ogni nostro conseguimento, è la necessità della presenza di qualcosa di universale per cui agire e di chi, tenendolo presente, verrà in aiuto di tutti coloro che attendono il proprio destino sperando in un soccorso.

 

di Marco Mammola

 

Dunkirk: l’ultima fatica di Christopher Nolan. Un film ridotto all’essenziale, del quale potrebbero risaltare i fuochi della guerra, il senso di disperazione, i rumori dei motori e delle mitragliatrici degli Spitfire che duellano con un nemico senza nome nel cielo sopra la Manica, le musiche di Zimmer a rimarcare la tensione dei soldati che attendono il proprio destino, la quasi totale assenza di dialoghi. Tuttavia ognuno di questi elementi è accessorio: non è solo il binomio disperazione-speranza ciò che il regista di Interstellar mette in scena in questo film. Qui infatti si assiste ad un episodio di portata universale, si assiste ad un miracolo. Questo miracolo consiste nella necessità della salvezza, conseguenza dell’alleanza degli uomini contro le forze che minacciano di far scomparire ogni conseguimento e ogni cosa che segni una differenza nelle nostre vite. Miracoloso è il fatto che tali forze son destinate a fallire, che sempre e comunque ci sarà qualcosa di universale per cui agire e chi, tenendolo presente, verrà in aiuto di tutti coloro che attendono il proprio destino sperando in un soccorso. Il salvataggio dei soldati anglo-francesi ad opera dei civili durante l’operazione Dynamo, e la rappresentazione che Nolan ci propone di questo evento, ben testimoniano tale necessità.

 

 

Evento centrale della narrazione è appunto l’arrivo delle imbarcazioni civili alla spiaggia di Dunkerque, il prodigio che garantì la salvezza di trecentomila soldati e dell’intera Gran Bretagna dalle grinfie di un nemico nascosto, almeno fino all’ultima scena, dentro ad un bombardiere o dietro alcune colline.

Un nemico caratterizzato dalla propria assenza ci permette di riconoscere nella sua figura non il nemico storico, con il quale ci si può riconoscere e che si può soccorrere, ma quella forza che si propone di rendere altri indifferenti, di far perdere ogni forma di vita interiore, di uccidere; ed è proprio perché il nemico sembra in grado di realizzare davvero l’istanza che muove che, almeno in un primo momento, non può essere riconosciuto chiaramente. Ma il nemico non è solo il voto alla distruzione, esso è allo stesso tempo condizione di possibilità del miracolo in quanto ci si stringe in alleanza solo se qualcosa di comune ed universale viene minacciato.

La graduale determinazione del nemico, che è allo stesso tempo la graduale presa di consapevolezza dell’originaria alleanza che vincola gli esseri umani, è messa in scena, nel suo sviluppo, attraverso tre livelli cronologici, i quali si palesano come elementi di un’unica struttura narrativa solo al realizzarsi del miracolo. Ogni livello è una tappa verso la salvezza e contemporaneamente una testimonianza del destino comune degli uomini.

Al primo livello, il molo, la salvezza è presentata come sopravvivenza. Questo è il punto di maggior distanza dalla compiutezza del miracolo in quanto la sopravvivenza è limitata alla singola persona, basti pensare ad Alex (interpretato da Harry Styles) il quale, pur di salvarsi, non si farebbe scrupoli ad esporre al fuoco nemico Gibson (Aneurin Barnard) o addirittura un suo commilitone, Tommy (Fionn Whitehead).

Un ulteriore esempio può essere lo stesso Tommy, che tenta di imbarcarsi di nascosto su un traghetto pur di scappare.

Il nemico non compare a questo livello in quanto la distruzione arriva dal mare (attraverso il siluro di un U-Boot) o dal cielo (attraverso il carico dei bombardieri). La prima volta che il nemico si concretizza  è al livello temporale successivo, più vicino del precedente al prodigio: il mare, nel quale assume la forma di un naufrago inglese scampato all’attacco del sopracitato U-Boot, il quale rimane comunque celato sotto le onde. Il naufrago (Cillian Murphy) è soccorso da Mr. Dawson (Mark Rylance), suo figlio Peter (Tom Glynn-Carney) e un ragazzino di nome George (Barry Keoghan), anche loro, civili, sulla Manica alla volta di Dunkerque. Il naufrago è in preda alla disperazione e pensa solo al proprio ritorno a casa; il perché di ciò è reso efficacemente dalle parole di Mr. Dawson quando questi afferma che il naufrago è fuori di sé. Quest’ultimo, infatti, è in stato di shock e la sua incapacità di pensare lucidamente lo porta, nel tentativo di impossessarsi del timone della barca, ad uccidere accidentalmente il giovane George.

Dunque, a questo livello, da un lato emerge la contrapposizione fra Mr. Dawson e il naufrago, in quanto il primo riconosce la comune condizione del proprio figlio partito per la guerra (e mai più tornato) e dei soldati bloccati sulla spiaggia francese e si adopera con tutte le proprie forze per salvare questi ultimi, il secondo nel momento in cui uccide George si comporta, per quanto involontariamente, in modo indifferente rispetto al nemico; dall’altro lato viene mostrato come la sopravvivenza ad ogni costo renda indifferenti rispetto a quella stessa anonima forza che si propone di negare tale sopravvivenza.

 

Prima scena del film
Prima scena del film

 

Il terzo livello cronologico è il cielo. È il momento più prossimo al miracolo e consta di un solo personaggio, un aviatore: Farrier (Tom Hardy) (altri personaggi presenti all’inizio di questa linea temporale muoiono o vengono dirottati sul secondo livello). Farrier pone la salvezza e il ritorno dei soldati sopra la propria vita in quanto, per permettere il loro rimpatrio, non si ritira nonostante l’esaurimento delle riserve di carburante, cosa che gli costerà la cattura da parte del nemico; nemico che solo a questo livello trova una forma definita in quanto solo nel cielo trova chi riesce a fronteggiarlo, quindi chi permette, seppur non da solo, la realizzazione piena del miracolo. Eppure, i bombardieri nemici sono presenti in ogni linea temporale poiché anche se realizzata secondo gradi differenti, l’opposizione al nemico, cioè la volontà di preservare i valori eterni ed universali che derivano dal riconoscimento reciproco, è sempre presente. I personaggi che esprimono tale originarietà sono coloro che permettono di passare da un livello all’altro, coloro che unificano i vari momenti della narrazione e mostrano che il salvataggio è azione corale come la salvezza è beneficio comune. Un esempio di ciò può essere Farrier, ma possono esserlo anche Mr. Dawson o il Comandante Bolton (Kenneth Branagh), il quale decide di rimanere a Dunkerque per aiutare i Francesi e riconosce nelle imbarcazioni civili la stessa patria che intende difendere e salvare.

Dunque il miracolo è compiuto, e presa la consapevolezza che c’è un Nemico comune da fronteggiare e che porta il nome di indifferenza, noi ci scopriamo tutti alleati e ciò non può che tradursi nel reciproco soccorso, rivolto anche a chi può presentarsi come nemico (si prenda ad esempio Peter, che mente al naufrago per non aggravare la sua disperazione).

E poi? I soldati tornano a casa, alcuni si sentono delusi da loro stessi, pensano: siamo solo sopravvissuti. La risposta che Nolan fornisce a questo problema è il nucleo centrale di questo suo ultimo film. Dunkirk, infatti, ci comunica che c’è qualcosa di noi che va al di là della nostra esistenza empirica, ed è proprio per questo che è necessario che trovi compimento la salvezza. Noi ci riconosciamo sempre, nonostante le diverse sfumature in cui ciò si declina, l’uno nell’altro in quanto la minaccia che avanza pretende di essere totale e noi, nel subire questa forza, possiamo riconoscerci nel nostro appartenere ad un orizzonte comune; così facendo possiamo ridurre sempre di più questa minaccia.

Questo è tutto ciò che possiamo fare, in attesa dei nuovi attacchi del Nemico, in relazione ai quali trova il suo senso e la sua importanza la nostra sopravvivenza.

 

12 ottobre 2017

 




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