Verso una nuova consapevolezza del dialogo democratico

 

La crisi che la democrazia sta vivendo sembra ricalcare, se analizzata più attentamente, una crisi del linguaggio, legata, a sua volta, al sempre minor coinvolgimento dell’Altro nella propria vita.

 

 di Alessandra Zen

 

 

Risulta oramai sotto gli occhi dei più che la politica contemporanea sia permeata da profonde contraddizioni, la maggiore delle quali risiede nella convinzione radicata che la politica stessa sia di singola competenza dei cosiddetti politici di professione, coloro che quotidianamente compiono scelte sulla vita economica, sociale, culturale ecc. del Paese che governano. Ciò che, invece, non sembra essere stato compreso appieno è il fatto che tutti sono politici, nella dimensione in cui si è chiamati a partecipare alla vita sociale e pubblica, idea che risulta intrinseca alla definizione di democrazia stessa.

 

Eppure oggigiorno ognuno si dichiara apertamente un sostenitore della democrazia, della libertà di parola; molte sono le situazioni in cui si proclama l’importanza di compiere scelte in nome di una libera discussione delle proprie idee, senza, probabilmente, conoscere il reale significato delle asserzioni pronunciate a così alta voce.

 

 

Il termine democrazia deriva dal greco demokratia, parola composta da demos, che significa popolo, e kratos, che vuol dire potere. In italiano, quindi, il termine viene tradotto con l’espressione potere del popolo. Questa definizione introduce a delle problematiche abbastanza rilevanti, concernenti una definizione univoca e precisa di chi sia il popolo e in che termini e modalità possa esercitare il suo potere.    

 

Come fa notare il professore Giovanni Sartori in La democrazia in trenta lezioni e, più approfonditamente, in Democrazia. Cosa è, nel corso della storia il termine demos, successivamente tradotto in latino con populus, ha assunto varie accezioni, in relazione alla diversa estensione del diritto di partecipazione alla vita politica cittadina in determinati periodi storici. 

A livello teorico è facilmente possibile riscontrare il fatto che il popolo coincida con l’insieme dei cittadini di uno Stato, i quali possiedono il diritto a partecipare alla vita politica e, quindi, a esprimere le loro opinioni in merito. Lo Stato risulta l’istituzione che si occupa di assecondare quei bisogni e necessità manifestati dai cittadini stessi. 

È proprio nella possibilità di determinare le varie iniziative statali che risiede il potere del popolo. Quest’ultimo, infatti, è chiamato a manifestare la sua volontà, che deve essere rispettata dai vertici della politica, in quanto 

 

« democrazia vuol dire che il potere è legittimo solo se investito dal basso, solo se è una emanazione della volontà popolare. » (G. Sartori, Democrazia. Cosa è)

 

Giovanni Sartori (1924-2017)
Giovanni Sartori (1924-2017)

 

Nell’immaginario comune una tale asserzione verrebbe interpretata, sicuramente in modo parziale, come la mera e unica possibilità di scegliere i propri rappresentanti politici, ovvero coloro che dovrebbero attuare riforme e iniziative volte al rispetto della volontà della maggioranza.

Ora, in questa idea, se analizzata con cura, si riscontrano diverse problematiche. Innanzitutto bisognerebbe comprendere il significato di volontà, intrinsecamente connesso a quello di potere. Con quest’ultimo si intende essenzialmente una relazione tramite la quale un individuo convince un altro soggetto a compiere determinate azioni, le quali si conformano al volere del cittadino che ha potere. In questa prospettiva tutto il senso reale e profondo della democrazia arriva a coincidere con il concetto fondamentale di relazione fra uomini. Questi ultimi devono essere in grado di esercitare il potere che spetta loro, di cui sono titolari. E qui sorge spontaneo un interrogativo sulle modalità di esercizio del potere da parte dei cittadini.

La soluzione ritrovata e applicata consiste nel conferire il famoso diritto di voto ai cittadini; ciò significa che il popolo detiene il potere di scegliere un rappresentante politico, il quale dovrà assicurarsi che i diritti fondamentali dei membri della società vengano rispettati. Il popolo risulta, conseguentemente, sia governato (dai politici di professione, per l’appunto), che governante, perché spetta a lui il compito di prendere una decisione che riguarda l’intera collettività. Quello che appare un diritto assume le caratteristiche di un dovere: il cittadino non deve dimenticare che il suo ruolo di attivo partecipante della società implica una forte responsabilità, che coinvolge, non solo la sfera privata, bensì l’intero ambito della collettività. Il cittadino è chiamato, infatti, a compiere una scelta volta al bene comune, al raggiungimento di una situazione di benessere e giustizia collettivi.

 

 

Proprio per questo senso di dovere nei confronti dell’Altro, non è possibile ridurre il sistema democratico a mera elezione politica. Si può notare come qualsiasi forma di scambio intellettuale fra uomini sia permeata di un carattere di forte democraticità, per la ragione che l’uomo sostanzialmente dialoga con l’obiettivo, seppur inconscio, di ricercare il Bene, la Verità riguardo a determinate questioni. Come insegna Giovanni Gentile nel suo Sistema di logica come teoria del conoscere:

 

« l’uomo si propone e risolve nella prassi i problemi della vita. Se non che appunto in questa prassi, in cui si vengono ponendo tutti i problemi concreti che soli hanno valore filosofico, si realizza il vero pensiero dell'uomo e l'uomo viene perciò filosofando. » 

 

Ogni attività umana è finalizzata, quindi, alla soddisfazione dei bisogni che si manifestano nel soggetto. Per assecondarli, l’uomo deve compiere una ricerca, in se stesso e fuori di sé, come insegna nuovamente Gentile («l'uomo si cerca ora in se stesso, come prima si cercava fuori di sé»), attraverso un dialogo, prima con la propria anima, poi con l’Altro, la cui conoscenza permette di scoprire lati personali che precedentemente risultavano occulti. Si evince, così, che ogni pratica umana risulta la conseguenza della continua attività pensante, che assume la forma di un dialogo.

Come precedentemente affermato, qualsiasi forma di dialogo possiede una natura democratica, in quanto implica una pluralità di visioni e la possibilità di confrontare le proprie idee con argomentazioni contrarie (opportunità non minimamente contemplata in regimi totalitari, dove viene trasmessa un’ideologia unica attraverso l’eliminazione delle opinioni antitetiche).  A proposito Sartori cita le preziose parole dello storico Guglielmo Ferrero, il quale asserisce che

 

« nelle democrazie l’opposizione è un organo della sovranità popolare altrettanto vitale quanto il governo. Sopprimere l’opposizione significa sopprimere la sovranità del popolo. »

 

E poiché ogni opinione, per essere condivisa e per assumere la sua stessa identità deve superare un momento di negazione (come spiega Hegel con l’esplicazione del movimento dialettico), si diventa consapevoli che in realtà la democrazia riguarda l’uomo più di quanto egli non immagini.

Se ammettiamo, dunque, che la democrazia debba fondarsi essenzialmente sulla relazione fra i diversi cittadini, si evince come il linguaggio risulti lo strumento fondamentale attraverso il quale la democrazia si dispiega. Ogni relazione, infatti, necessita di un contatto (di natura cognitiva, affettiva, verbale o fisica) stabilito, per l’appunto, dal linguaggio, che sia verbale o meno.

Innanzitutto risulta necessario definire cosa si intenda con il termine linguaggio. Due sono le definizioni che fanno al caso nostro: «capacità tipica della specie umana di comunicare per mezzo di un sistema di segni vocali» e «insieme di simboli e regole per la redazione dei programmi di elaborazione» (Lo Zingarelli minore. Vocabolario della lingua italiana).

 

Il linguaggio risulta, quindi, una facoltà umana intrinsecamente connessa e dipendente dalla mente. Esso ha certamente una funzione comunicativa del pensiero, ma si identifica anche in uno strumento utile all’interpretazione della realtà. Come afferma Noam Chomsky in La scienza del linguaggio, esso «non si limita a raggruppare informazioni; non è un dispositivo di registrazione».

 

 

Noam Chomsky
Noam Chomsky

 

Il linguaggio possiede un’alta facoltà innovatrice, in quanto permette di creare infinite possibilità di espressione di un concetto tramite l’associazione di più lettere e, più in generale, termini. Funge anche da coordinatore e integratore di informazioni diverse e permette, inoltre, la loro interpretazione soggettiva. Ogni aspetto di cui l’uomo discute è, infatti, connesso all’esperienza soggettiva:

 

« quando parliamo di qualcosa come avente una funzione in particolare per noi, la concepiamo nei nostri diversi tentativi di capire il mondo per poterne parlare. Assegnare una funzione a qualcosa è darle un ruolo nel risolvere qualche problema o nello svolgere qualche compito richiesto da interessi particolari. » (N. Chomsky, La scienza del linguaggio)

 

Si ripresenta, quindi, il problema della soddisfazione dei bisogni umani attraverso il dialogo, strumento garantito dagli organi di natura democratica.

 

Si può quindi asserire che per adempiere pienamente al dovere di cittadini democratici bisognerebbe interrogarsi maggiormente sulla bontà o meno delle proprie azioni, consci che qualsiasi  comportamento crea necessariamente conseguenze nell’intera collettività. Il continuo processo di discussione e ampliamento dei propri orizzonti conoscitivi e culturali non può mai concepirsi come separato dalla riflessione sul linguaggio utilizzato. 

 

10 ottobre 2017

 




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