Global warming: un clima che cambia alla scala del singolo

 

Per ciascuna problematica si riesce ad individuare il colpevole, sia esso una grande multinazionale o un fenomeno politico-economico ben specifico, ma raramente si arriva a riflettere sul ruolo che ha la società in tutto questo, e automaticamente (almeno dovrebbe esserlo) sul ruolo di ciascun cittadino.

 

 

“… E hai sentito Trump cosa ha detto? Ha detto che il surriscaldamento globale non esiste… pazzesco eh!” Quanto ci siamo indignati, e giustamente, per quella sua sparata alcuni mesi fa? Dall’inizio della sua campagna per la Casa Bianca il Presidente ha detto parecchie frasi di dubbia ragionevolezza, ma questa è forse quella che ha creato più sgomento tra tutti noi… perché il fatto che il clima stia cambiando è sotto gli occhi di tutti, anche dei più ottimisti, se non dovessero bastare i dati scientifici e le conclusioni degli esperti. 

 

L’estate appena passata è stata un’altra testimonianza del trend che da anni vede un’estremizzazione dei sistemi climatici globali, i quali rispecchiano ormai sempre meno il modello che viene tradizionalmente insegnato: quello delle quattro stagioni tipiche dei climi temperati non corrisponderà ancora per molto alle nostre latitudini e verrà sostituito da condizioni di una fascia climatica diversa. Non potremo più tanto sorridere bonariamente al nonno nostalgico che se ne esce con “Eh... Non ci sono più le stagioni di una volta…”. Infatti anche quest’anno i mesi estivi li abbiamo passati a boccheggiare dal gran caldo, a controllare affannosamente l’app del meteo sul telefono con la speranza che comparisse la nuvoletta con le gocce di pioggia rinfrescante, “ma non nel weekend per favore”, e a rimanere delusi da un mese di bel tempo e un weekend in cui non solo ha piovuto, ma ha anche grandinato.

 

A queste leggerezze si aggiungono poi gli episodi parossistici come alluvioni, frane e il solito uragano negli States che però sta diventando sempre più frequente e disastroso. Due uragani in un mese della potenza di Harvey e Irma sono un record che lancia un allarme difficile da ignorare, anche perché lo è altrettanto il caos in cui versano i paesi danneggiati per miliardi di dollari, nonostante sia stato ripetuto, forse per rassicurare, che Harvey è stato declassato a tempesta tropicale.

 

Che il clima stia cambiando è stato appurato, ma che le modificazioni a cui assistiamo in diretta e grazie ai media siano determinate dalle attività umane dell’ultimo secolo pare non sia una convinzione così tanto salda. Ultimamente essa è sferzata da voci fuori dal coro che propugnano l’idea di una sostanziale normalità nelle ampie variazioni di temperatura e precipitazioni in periodi più o meno lunghi, trascurando forse che è proprio la durata di questi il punto su cui verte la questione.

 

Quanto rapidi sono stati i cambiamenti climatici negli ultimi anni? Forse un po’ troppo per seguire i cicli naturali, che si svolgono minimo nell’ordine delle migliaia di anni. Tanto rapidi sono stati da non permetterci di capire ciò che succede nell’atmosfera del nostro pianeta e arrivarci in tempo, comprendendo il problema troppo a ridosso della scadenza, al punto di non ritorno.

 

Dunque una domanda sorge ancora: una volta comprese le dinamiche, quanto rapidi devono e dovranno essere i cambiamenti sociali di risposta per evitare che l’ecosistema terrestre rimanga compromesso irreparabilmente? Considerando che gli accordi sul clima di Parigi posizionano la soglia dei 2,7 gradi (all’inizio 2) da non superare entro la fine del secolo e che il campo di azione è quello di attenuazione dei sintomi, è auspicabile che questi avvengano il prima possibile, anche oggi stesso. Questo concetto ormai è stato detto in mille modi e in mille occasioni nelle diverse trasmissioni televisive incentrate sul tema, le quali chiudono ogni loro puntata con lo slogan “il tempo di agire è adesso”. Luca Mercalli, climatologo italiano, ormai non sa più come dirlo: 

 

« Siccità, uragani e alluvioni sono eventi sempre esistiti, ma non di questa portata e intensità. Il vero rischio, però, è il vertiginoso aumento della temperatura, un fenomeno che ha avuto un’accelerata negli ultimi 30 anni. Per correre ai ripari abbiamo tempo solo fino al 2020 ».

 

Per ciascuna problematica si riesce ad individuare il colpevole, sia esso una grande multinazionale o un fenomeno politico-economico ben specifico, ma raramente si arriva a riflettere sul ruolo che ha la società in tutto questo, e automaticamente (almeno dovrebbe esserlo) sul ruolo di ciascun cittadino. Allora se si intraprende questa riflessione ci si fa l’idea che quei cambiamenti sociali, sebbene ci siano, appaiano ancora troppo rapidi da attuare agli occhi di tutti, e così non si riesce a sostenere il ritmo che essi dovrebbero avere: è come se la vista fosse malata, affetta da una potente miopia che non le permette di arrivare a vedere l’ultimo saltello del ciottolo scagliato sul pelo dell’acqua. 

 

I cambiamenti necessari rimangono disinnescati per l’incapacità della maggior parte delle persone di accorgersi della conseguenza remota di ciascuna delle proprie scelte quotidiane, tradotte poi in azioni, e delle contraddizioni che si annidano malevole in certi comportamenti che bene o male coinvolgono più o meno tutti. Così non si giunge a fondere concettualmente una propria iniziativa con ciò che ne consegue a scala più vasta e a questa scarsa lungimiranza segue una fondamentale incoerenza del proprio agire, un’innocente superficialità, con un distacco dalla realtà che si addensa, come fa una cortina grigia sul lago, ed elimina ogni possibilità di vedere anche il primo balzo sull’acqua. A questo punto non si dà nemmeno più un senso al gesto che si compie, se non quello di essere dettato dall’abitudine, l’unica sicurezza rimasta; essa però è ingannevole, un appiglio fissato con viti che si arrugginiscono e cedono nel momento in cui lo si usa per salvarsi da qualcuno o qualcosa che mette in dubbio la correttezza di un comportamento.

 

La dimensione dell’abitudine è la quotidianità, e ciò risulta particolarmente evidente per quella che viene chiamata “civiltà occidentale”, ormai lontana da un’accezione geografica e identificabile più in generale tramite la condivisione interna di determinati principi politici e sociali e del benessere derivato dagli agi più disparati. Si prenda il caso del condizionatore, visto che ha risollevato le sorti di molti nei momenti difficili della seconda estate più calda dopo quella mostruosa del 2003. I meriti vanno riconosciuti e questa macchina ne ha, nessuno lo può negare dopo solo un secondo di tregua dal caldo soffocante di inizio agosto o una notte passata a dormire.

 

Si metta da parte però il piacere del momento e ci si sforzi di osservare il caso in tutti i suoi aspetti, magari anche quelli più scomodi: il condizionatore, in quanto pompa di calore, immette nella stanza aria fredda e ne emette di calda tramite un motore che funziona con la corrente, in quanto elettrodomestico. Non è paradossale difendersi dall’afa per mezzo di un oggetto che consumando corrente elettrica per l’intera giornata, è responsabile, anche se indirettamente, della stessa? Infatti gran parte dell’energia elettrica è ancora prodotta sfruttando le fonti fossili, le quali hanno il ruolo di protagonista nella triste vicenda del surriscaldamento globale.

 

In questo caso si osserva una contraddizione a livello di principio che, sebbene possa essere ritenuta ossessiva, c’è e sta alla base di quello che può definirsi un lusso in barba a tutti gli scrupoli del risparmio energetico, visti i casi di black out estivi in concomitanza con le ondate di calore. In quanto tale però viene anche ignorata come molte altre in contesti diversi perché procura in cambio un benessere momentaneo e di comodo, qualcosa che si avvicina all’illusione. Ma allora con quale coraggio si può continuare a vaneggiare distaccati dalla realtà? Nessuno! Perché esso non esisterà fintantoché non si proverà a svelare quell’illusione, attuando così il coraggio nella decisione ragionata di ogni singolo gesto, nella scelta della realtà con la quale ci si sarà ricongiunti e si vivrà in simbiosi.

 

Una volta diradata la nebbia sarà compito di ciascuno sforzare gli occhi della mente, sorridendo pietosamente a chi si congratula per la “buona occasione” che Harvey e Irma hanno offerto al popolo americano di dimostrare l’aiuto reciproco e la fratellanza che lo legano.     

                                  

20 settembre 2017

 




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