Comprendere (l')insieme

 

Noi: che facciamo parte della famiglia, che siamo un “brandello” di un gruppo di amici, che contribuiamo a formare quell'insieme di uomini che chiamiamo Stato; noi, oggi, siamo proprio sicuri di (ri)conoscere davvero il ruolo importante che svolgiamo?

 

Jan Steen, "Effetti dell'intemperanza"
Jan Steen, "Effetti dell'intemperanza"

 

Nel cercare di sviluppare il concetto di un insieme di individui ci viene in aiuto il buon Henri Matisse.

 

Henri Matisse, "La danza"
Henri Matisse, "La danza"

In questo dipinto possiamo notare come un individuo che possiamo chiamare A tenga per mano B e C;  ma C a sua volta tiene per mano D e così via. Possiamo dire che D e A non siano legati fra loro? Impossibile, lo sono infatti attraverso C, e legati (in questo caso rispetto al dipinto) non significa solo tenersi per mano ma anche guardarsi negli occhi, sorridersi e sapere che se C lascia la mano a D il cerchio non può più esistere; ma se il cerchio non può più esistere tutti coloro che lo formano smettono di avere un senso, il che è impossibile. Se guardiamo A, non possiamo dire che A sia B o che sia C perché sono diversi fra loro. Ognuno infatti ha la propria individualità, personalità che non si può ridurre a quella di un altro: la mia esistenza dipende dall'altro, la mia individualità è legata all'altro. Essere legata non significa dire che essa si sciolga, si perda, o che “muoia” nell'altro, ma significa che esiste, ha senso, perché riconoscendo sé, riconosce l'altro e viceversa. L'unione non è l'equivalenza perché se due cose si equivalgono significa che non sono due ma è una sola, invece se due cose sono unite vuol dire che esistono l'una per l'altra mantenendo la propria singolarità. 

 

Il fatto di essere in relazione gli uni gli altri inevitabilmente dà vita a un insieme. Il problema è che affinché questo insieme possa dirsi un vero Stato, una vera comunità, un vero gruppo di amici o una vera famiglia, è necessario (cioè inevitabile) riconoscere il valore di cosa sia un gruppo, altrimenti ciò comporta il mancato riconoscimento dei suoi componenti e quindi del singolo. Il discorso, poi, può essere fatto viceversa: non capendo il singolo non comprendo quale sia il vero valore di un gruppo. 

 

Prendiamo come esempio una classe di studenti. All'interno della classe alcuni studenti si coalizzano e portano avanti l'idea (malsana) di deridere un loro compagno per l'aspetto fisico, o per altro (per definire meglio questo “altro” si guardi qualsiasi telegiornale). Ciò che il gruppo pensa (l'idea) e quindi produce è la sofferenza dello studente, ferito dai suoi compagni. Il gruppetto di studenti in questione non ha, quindi, riconosciuto il valore dell'insieme che era stato formato, un insieme che avrebbe dovuto portare avanti un'amicizia, per esempio, un aiuto reciproco. Essi hanno considerato lo studente come una persona separata da loro, non capendo di far parte non solo di quel gruppetto ma anche di una classe. Ecco quindi come sia naturale che ci siano (portando avanti l'esempio della classe) vari gruppetti di studenti ma è necessario che essi non solo riconoscano l'importanza del proprio gruppo, ciò che nel proprio insieme possono sviluppare, i valori che possono condividere, ma anche che tengano conto che tutto ciò che pensano e quindi producono (nel senso sano che ha questo termine) va a ripercuotersi, fa parte di un insieme un po' più grande che è la classe. 

Lo stesso discorso vale per la famiglia, per una comunità e quindi per uno stato. 

 

                          Bernardino Mei, "Il ciarlatano"
Bernardino Mei, "Il ciarlatano"

Sono tanti i motivi che portano a un mancato riconoscimento di un insieme, uno tra questi è affidarsi a un'idea senza averla criticata e quindi compresa. L'ignoranza concepisce l'insicurezza che in alcuni è talmente grande che per sopprimerla hanno bisogno della gratificazione dei loro “amici”. E la stessa cosa avviene con l'opinione comune all'interno di un paese, della società: se non hai qualcosa, se non vivi in un determinato modo allora non vali. E quest'opinione comune (l'ignoranza) diventa la “bibbia” di un insieme di individui che, insicuri proprio perché non sanno, ripetono e fanno ciò che dice “dio” non perché è bene farlo ma perché “dio” dice che è bene farlo. Ed è in questo modo che “si perde se stessi”, che ci si aliena da sé, che si vende se stessi al primo ciarlatano che pare ci renda davvero uomini; al primo che ci gratifica, che ci illude; e noi per le nostre miriadi di insicurezze e paure ci affidiamo a quella società, a quell'insieme che blatera di chiamarsi tale e che noi, per il fatto di non aver mai criticato davvero, gli crediamo. 

 

L'amico Solone in un'elegia scrive: 

 

« Se ora soffrite è per vostra viltà: 

non date a dio la colpa.

Proprio voi avete fatto grandi questi uomini,

dandogli potere, e adesso siete schiavi.

Da solo, ognuno va sull'orma della volpa,

ma tutti insieme avete la testa vuota:

siete sedotti dalla lingua e dalle parole di un uomo astuto, 

e non vedete le cose che succedono. » (traduz. M.Cavalli)  

 

Com'è che si sviluppa l'ignoranza, o meglio com'è che essa si stagna in noi, o ancora meglio com'è che la lasciamo stare lì dove sta? Per il fatto che è troppo comodo farci guidare dagli altri. «Tutti insieme avete la testa vuota»: ciò è inevitabile che accada se non c'è vero confronto, se l'analisi diventa come un qualsiasi strumento. “Massì, a volte mi serve, a volte no, la uso ogni tanto” cosa? Ah beh sì, certo, è ovvio, dal momento che nella nostra società “vivo nella piena comodità, nessuno mi toglie il pane di bocca, nessuno mi strappa dalla famiglia, le bombe in casa non so neanche cosa siano, mi limito a studiare qualcosa proprio per la verifica, mi diverto con gli amici.” E il lavoro? “Massì... C'è tempo! Arriverà ovviamente! Ci pensano i miei genitori!” 

 

Essere parte di un gruppo non vuol dire che la mia sola presenza sia sufficiente. È necessario conoscere se stessi e riconoscersi nell'altro per formare, per dare vita a un vero Stato, a una vera famiglia, comunità, un gruppo di amici; è necessario comprendere il valore della responsabilità che abbiamo nei confronti di noi stessi e degli altri, in questo senso potremmo definirci medici e cioè avere cura della nostra vita e quella degli altri. Cercare di trovare il nostro posto nel mondo non guidati da "quell'accozzaglia di turpiloquio" che è l'opinione comune ma dallo spirito scientifico che ci appartiene in quanto uomini, poiché altrimenti potremmo correre il rischio di formare solo "agglomerati di macchine" a cui verrebbe dato il nome di persone perché così era stato detto!

 

19 dicembre 2018

 









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