Educare i dottorandi a essere pensatori, non semplici specialisti

 

Molti curricola di dottorato cercano di produrre ricercatori strettamente specializzati piuttosto che pensatori critici. Questo può e deve cambiare.

 

 

Spinti a crescere velocemente specialisti produttivi, molti programmi di dottorato nell’ambito delle scienze biomediche hanno accorciato i loro corsi, diminuendo le opportunità di portare la ricerca nel suo più ampio contesto di riferimento. Di conseguenza, molti programmi di dottorato non sono capaci di allevare i grandi pensatori e problem-solvers di cui la società ha bisogno.

Questo significa che gli studenti apprendono ogni dettaglio del ciclo vitale di un microbo ma ben poco relativamente alla vita scientifica. Eppure bisognerebbe insegnare loro a riconoscere come un errore può possa verificarsi. I tirocinanti dovrebbero valutare casi di studio presi da ricerche scientifiche reali e viziate da errori, o fare analisi interdisciplinari per trovare fallacie logiche nella letteratura scientifica. Soprattutto, agli studenti va mostrato il processo scientifico nel suo vero aspetto – con le sue limitazioni e potenziali insidie così come il suo lato divertente, come le scoperte fortuite e le esilaranti esecuzioni.

 

Questo è esattamente il salto di qualità che sto tentando di compiere alla Johns Hopkins University a Baltimora, Maryland, dove un nuovo programma universitario di studi scientifici è al suo secondo anno. Assieme al microbiologo Arturo Casadevall, ho iniziato a sollecitare per la riforma all’inizio del 2015, evidenziando la necessità di rimettere la filosofia nel dottorato di filosofia: esattamente questo, il “Ph” che ritorna nel “Phd”. Abbiamo chiamato il nostro programma R3, il che significa che i nostri studenti imparano ad essere rigorosi nella progettazione e nella conduzione degli esperimenti; a vedere i loro lavori secondo l’ottica della responsabilità sociale; e a pensare criticamente, comunicare meglio, e dunque a migliorare l'applicabilità. Benché siamo a conoscenza di molti corsi individuali innovativi sviluppati in tale direzione, ci stiamo adoperando per compiere una riforma più completa.

Le nostre offerte sono differenti dalle altre lauree. Assegniamo compiti che necessitano di pensiero critico, in cui gli studenti analizzino errori nei ragionamenti presenti in un articolo del New York Times relativo al “Big Sugar”, e le implicazioni etiche di un argomento scritto in un articolo del New Yorker dal chirurgo Atul Gawande intitolato “La sfiducia nella scienza”. I nostri corsi sulla ricerca rigorosa, l’integrità scientifica, la logica e abilità matematiche e di programmazione sono integrati con attività laboratoriali e sul campo. Coloro che studiano il virus dell’influenza, per esempio, lavorano con dati riguardanti pazienti reali e lottano con le sfide offerte dalle statistiche applicate.

 

  

Un nuovo programma comincia vincendo gli alleati. Sia gli studenti che i docenti devono vedere il valore nell'uscire dai binari tradizionali. Abbiamo usato interviste informali e analisi di gruppo per identificare aree nelle quali studenti e docenti vedevano lacune nella propria formazione. I temi ricorrenti includevano l’incapacità di applicare la conoscenza teoretica in test statistici in laboratorio, errori frequenti nello scegliere un set appropriato di controlli sperimentali e una notevole difficoltà nello spiegare il lavoro ai non esperti.

 

Con il progetto pilota così nuovo, non abbiamo potuto fornire dati sul rendimento degli studenti, ma possiamo rispondere allo scetticismo dei docenti. Molti colleghi erano preoccupati che gli studenti avrebbero fatto meno corsi in contenuti specializzati per fare spazio ai corsi interdisciplinari sull’etica, l’epistemologia e le abilità quantitative. In particolare, erano preoccupati che il programma R3 potesse allungare il tempo richiesto agli studenti per completare la loro laurea, lasciando loro una scarsa conoscenza della propria area di studio, rendendoli meno produttivi in laboratorio. 

Abbiamo risposto che un migliore pensiero critico e un numero minore di classi su specifiche discipline potrebbero in realtà rendere gli studenti più produttivi. Abbiamo convinto parecchi professori a provare il nuovo metodo e partecipare a valutazioni strutturate sull’effettivo contributo del programma R3 alla produttività degli studenti.

 

 

Fino ad ora, abbiamo sviluppato cinque nuovi corsi da zero e si sono iscritti 85 studenti da circa una dozzina di dipartimenti e divisioni. I corsi riguardano l’anatomia degli errori e la cattiva condotta nella pratica scientifica e insegnano agli studenti come analizzare la letteratura scientifica. Una serie di discussioni interdisciplinari incoraggiano un pensiero ampio e critico sulla scienza. I nostri studenti imparano a considerare le conseguenze sociali degli avanzamenti nella ricerca, come l’abilità di alterare geneticamente gli spermatozoi e gli ovuli.

Le discussioni sulle questioni maggiori dell’ambito scientifico portano gli studenti a riflettere sui limiti della scienza, e sui luoghi in cui la capacità scientifica di fare qualcosa si scontra con ciò che gli scienziati dovrebbero fare da un punto di vista morale. Inoltre, abbiamo seminari e workshop sulle competenze professionali, in particolare le capacità di leadership attraverso una comunicazione efficace, l’insegnamento e il tutoraggio.

 

È ancora presto per trarre conclusioni. Finora, comunque, i tirocinanti hanno ripetutamente sottolineato che ottenere una prospettiva più ampia è stato d’aiuto. In futuro, otterremo informazioni sull’impatto che l’approccio R3 ha sulle scelte di carriera e i risultati conseguiti dei laureati. Crediamo che i ricercatori che ottengono una formazione più ampia faranno scienza con più criterio, con il risultato che gli altri scienziati, e la società in generale, potranno fare affidamento su questo lavoro per un mondo migliore e più razionale. La scienza dovrebbe sforzarsi di migliorare se stessa, evitando di chiudersi nella propria settorialità.

 

21 febbraio 2018 (articolo in lingua originale)

 

 

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