L'illusione del tempo

 

Cosa c'è di più scontato del tempo che tutti i giorni ci incalza, che tutti i giorni misuriamo? Ma al di là dell'ovvio si cela questo misterioso universo, in un ordine che sappiamo solo goffamente immaginare, ma che cerchiamo giorno dopo giorno di capire. Come ha fatto Carlo Rovelli nel suo Ordine del tempo, da cui prendiamo spunto per le considerazioni che seguono.

 

di Alberto Frasson

 

 

Diciamo che il tempo vola, che ammazziamo il tempo, che non dobbiamo perdere tempo, che il tempo è denaro, che il tempo cancella ogni sofferenza e impieghiamo molte altre espressioni che, al primo approccio, danno una certa rilevanza a questa arcana entità che sembra trascendere l’uomo, come una sorta di divinità. Consideriamo il tempo un treno con un’unica direzione e senza possibilità di ritorno; per questo ci sollecitiamo a prestare molta attenzione a non perderci le occasioni alle quali ci conduce: i tragitti che mancheremo nessuno mai ce li darà indietro.

 

Ho provato a riassumere con una metafora quel che è la considerazione del tempo per l’uomo. Ma, come in molti casi accade, l’uomo si lascia ingannare da una visione limitata della realtà, in quella piccolissima frazione di mondo che gli appare: ci costruisce sopra un’altra realtà, fittizia, figlia dell’ignoranza che lo avvolge; che, se non confutata da una visione meno sfocata del mondo, si radica nelle menti delle persone e quindi nella società. Per concretizzare queste righe appena scritte porto l’esempio storico che più rappresenta l’idea: la terra piatta. Se osservo fuori dalla finestra quello che vedo è un’immensa distesa piatta. Questa non è un’affermazione falsa, ma è semplicemente una visione sfocata della realtà, la quale, prima di essere confutata, è stata un’idea profondamente radicata nelle menti degli uomini per migliaia di anni.  

 

 

Ecco, il tempo potrebbe essere un altro risultato di uno sguardo macroscopico sul mondo, quello umano. Ma il tempo si può intendere in modi diversi. La parola tempo deriva da una lingua indoeuropea e si può tradurre con “divisione”. Questa definizione di tempo si addice alla società attuale. Si è deciso che un minuto deve durare sessanta secondi, che un’ora deve durare sessanta minuti, che un giorno deve durare ventiquattro ore e un anno 365 giorni. Su queste divisioni noi fondiamo le nostre vite e le nostre attitudini. Come possiamo considerare vera una cosa che è semplicemente frutto della mente umana, creata appositamente per collocare facilmente degli eventi che di routine siamo portati a compiere? Ha lo stesso compito delle coordinate formate da meridiani e paralleli in una cartina geografica: quest’ultime non le si considerano reali, eppure al tempo attribuiamo una sostanza che pare non avere.

 

Come ci si spiega allora perché un orologio in montagna segni il tempo più velocemente rispetto ad un altro in pianura, come è possibile constatare da ciascuno con un orologio atomico? Una risposta ci sarebbe: il tempo passa più lento in pianura perché l’attrazione gravitazionale è maggiore e il tempo rallenta all'aumentare della gravità. Questo implica, quindi, che una dimensione tempo esiste?

 

Aristotele considerava il tempo la misura del cambiamento, Newton lo concepiva come una dimensione vera e propria che non dipendeva dal movimento: il primo credeva che senza movimento il tempo non passasse, il secondo pensava che senza movimento il tempo trascorresse comunque. A trovare un’idea intermedia tra i due fu Albert Einstein con la celebre teoria della relatività. Per la fisica il tempo è la dimensione nella quale si misura il trascorrere degli eventi e proprio questo trascorrere porta alla distinzione tra passato, presente e futuro. Einstein, con la teoria precedentemente accennata, ha rivoluzionato la concezione di questi tre concetti. Ribaltò l’ideale newtoniano di tempo assoluto, dimostrando invece la relatività del tempo. Per fare un esempio: se una persona sulla Terra volesse sapere cosa stia facendo una persona che si trova in un pianeta che le dista 4 anni luce, prenderebbe un telescopio e la osserverebbe. Ma quando si osserva qualcosa si riceve luce da quel determinato ente: e finché trattiamo le distanze terrestri, il tempo che la luce impiega è di frazioni di secondo; se invece trattiamo distanze come quella del pianeta distante anni luce dalla terra, la luce non ci metterà più alcuni nanosecondi a raggiungerci, ma anni. La persona sulla terra quindi non vedrà cosa sta facendo l’altro “adesso” ma vedrà quello che ha fatto anni prima. Quindi il presente di qualcuno può essere il passato di un altro: ognuno ha un suo tempo “proprio” che è condizionato dal moto e dallo spazio. Ma quell’intervallo di tempo, che non è definibile né passato e futuro, fa perdere senso anche al concetto di presente traducibile con “adesso”: infatti il termine presente perde il suo significato di singolo istante per indicare un determinato tratto di tempo, quindi di più istanti. Ne deriva che la teoria della relatività sembra più affine al pensiero Aristotelico di tempo come misura degli eventi. Le teorie di Newton sono limitate alla realtà che conosciamo nel quotidiano, con le convenzioni che l’uomo si è posto; ma non sono funzionali per descrivere la realtà nel pieno delle sue relazioni.  

 

 

Con l’avvento e lo sviluppo della meccanica quantistica la nostra comune idea di tempo si è ulteriormente frantumata a causa della scoperta delle tre caratteristiche fondamentali della natura quantistica del mondo e dunque anche del tempo: granularità, indeterminazione e aspetto relazionale delle grandezze fisiche.

 

Meccanica quantistica e relatività generale sono due branche della fisica non conciliabili, ma crediamo che in condizioni estreme esse dovrebbero trovare armonia in un unico modello. Gli sforzi di molti scienziati attualmente sono volti alla ricerca di un tale modello. Tra le varie ipotesi vi è anche la relatività quantistica, nata nel 1967 quando i fisici statunitensi DeWitt e Wheeler formularono delle equazioni relativistiche e quantistiche in cui, sorprendentemente, si perse la dipendenza dal tempo. La teoria che ne è derivata modellizza una realtà in cui le cose non evolvono nel tempo ma accadono le une rispetto alle altre.

 

Questo sembrerebbe dimostrare – secondo le conclusioni di illustri fisici, tra cui Rovelli – che il tempo non sia una dimensione fondamentale dell’universo e non sia nemmeno indispensabile per studiarne le strutture. Ma ogni individuo percepisce il tempo: la sensazione del passato ricordato che ci causa gioia o dolore; la sensazione del futuro, di ciò che non sappiamo e che possiamo solo prevedere, sede delle nostre ambizioni e delle nostre preoccupazioni. Il tempo fisico, che pare non esistere così come lo immaginiamo, è nato dalla mente umana in cui risiede la sensazione di un continuo scorrere, che l’uomo ha voluto chiamare semplicemente “tempo”. La risoluzione del mistero del tempo come abitualmente lo intendiamo è dunque dentro di noi, lì nel luogo in cui è nato. La parte del nostro cervello in cui risiedono i ricordi, la memoria, ha creato dentro di noi la sensazione di lasciarci alle spalle qualcosa, il passato. Lo stesso si può dire del futuro: l’uomo è una macchina per prevedere eventi; la maggior parte dei nostri pensieri sono previsioni. Ogni cosa che facciamo, la compiamo perché abbiamo fatto delle previsioni e da qui nasce il concetto illusorio di futuro.

 

Se l’uomo non avesse la capacità di memorizzare non avrebbe un “passato”, se l’uomo non avesse la capacità di prevedere non avrebbe un “futuro”. Eppure è grazie al passato e al futuro degli sforzi della mente umana che l'universo si rivela; è nel tempo che il mistero del tempo squarcia il suo velo.

      

10 ottobre 2018

 







  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica