Concezione dell'uomo e diritti umani tra Oriente e Occidente

 

I diritti umani costituiscono il fulcro delle società moderne. Il loro rispetto, la tutela di tali diritti e la punizione nel caso di loro violazione si pone come struttura di base delle Costituzioni moderne. La storia di tali diritti ha però origini lontane: la lotta per il loro riconoscimento è iniziata secoli fa in Europa e filosofi illustri hanno contribuito alla loro creazione. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 è una pietra miliare in tal senso. Ma i diritti umani, con la loro forza occidentale, possono essere accettati dai popoli orientali?

 

di Elisabetta Arcuri

 

Il Settecento è il secolo in cui trionfa l’universalismo, l’idea che i diritti debbano appartenere a tutti e che tutti gli uomini sono uguali. L’Ottocento è il secolo della “lotta per il diritto”: non è più sufficiente affermare che tutti gli uomini sono uguali e liberi, inizia a farsi strada l’idea che i diritti debbano essere riconosciuti, rivendicati e che si debba dar voce alle classi più deboli e svantaggiate. Nell’Ottocento iniziano a superarsi le differenze di sesso, di razza, di religione e si iniziano a gettare le basi per le conquiste del secolo successivo.

 

Soltanto dopo le due Guerre Mondiali l’esigenza del riconoscimento dei diritti umani diventa così impellente che non può più essere ignorata. Nelle Costituzioni europee, approvate negli anni successivi la fine della Seconda guerra mondiale, i diritti umani trovano riconoscimento esplicito. La comunità internazionale comprende quanto sia necessario dare un segnale forte per tutelare tutti gli uomini e garantire loro le libertà fondamentali: nasce così la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, approvata da quarantotto Stati, che contiene un impianto di diritti umani che appartengono a tutti gli uomini, indistintamente. La Dichiarazione Universale non tiene conto delle differenze culturali di tali Stati. Cercare di attribuire carattere universale a certi diritti, senza contare delle differenze culturali tra i diversi paesi, le loro storie e le loro tradizioni, è una forzatura e rischia di rivelarsi un’operazione infruttuosa. Nonostante, per molti versi, la Dichiarazione possa apparire superata, mantiene sempre il rango di Carta contenente l’impianto di diritti umani basilari che ogni Stato deve riconoscere ai propri cittadini, in quanto lo Stato che calpesta o ignora la Dichiarazione non è da considerarsi degno dell’approvazione della Comunità mondiale.

 

10 dicembre 1948. Firma della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
10 dicembre 1948. Firma della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

 

A causa delle gravi violazioni dei diritti umani che continuano ad essere commesse, si potrebbe pensare che i codici universali sui diritti umani e le convenzioni internazionali che li traducono in diritto positivo non siano abbastanza. Sviluppando questo dubbio alle estreme conseguenze, si potrebbe arrivare alla conclusione che, in quanto l’uomo è un essere malvagio per natura, non c’è da sorprendersi se alla fine i privati e i governi tendono sempre a prevaricare sugli altri: se l’uomo è ciò che è e che è sempre stato che senso ha cercare di escogitare sistemi per arginare la sua voglia di prevaricazione? Un altro errore in cui si potrebbe incorrere è iniziare a considerare i diritti umani come una sorta di “nuova religione dell’umanità”. Con lo spegnersi il fuoco delle grandi religioni storiche nasce in molti la speranza di “crearne” una nuova: una nuova religione laica, priva di liturgie e rituali, fatta per gli uomini sulla terra. Religione che pone al centro non la salvezza, ma l’uomo in quanto l’uomo, l’individuo e le sue esigenze di crescita, di sviluppo, di autodeterminazione.

 

In realtà i diritti umani hanno il grande merito di essere riusciti a stabilire spazi di libertà che gli Stati devono lasciare agli individui: hanno all’origine la speranza di unificare il mondo prescrivendo certe linee direttrici che tutte le strutture governative dovrebbero osservare. Ma è possibile sostenere un carattere transculturale dei diritti umani? La matrice culturale occidentale di tali diritti è chiara. È dunque importante analizzare la nascita e lo sviluppo dei diritti umani nel mondo orientale, in particolare in Cina, cercando di evitare di cadere in banali luoghi comuni.

 

La storia del popolo cinese ha visto susseguirsi dinastie ed imperatori che per secoli lo hanno sottomesso. Nel tempo, i cittadini della Nazione hanno cercato di ribellarsi alla tirannia che li governava, hanno lottato duramente per conquistare l’indipendenza e la libertà, mai distaccandosi dalle tradizioni secolari che li contraddistinguono. Nelle prime Costituzioni cinesi i diritti umani non ricevevano alcun riconoscimento, in quanto la tradizione socialista che connota questo Paese pone al centro di tutto lo Stato e non l’uomo. È possibile notare quindi la prima differenza profonda tra la cultura orientale cinese e quella occidentale: porre al centro lo stato e non l’individuo, significa che l’uomo deve lavorare per lo Stato, che tutto deve essere fatto per il benessere e la prosperità della nazione. La Costituzione del 1954, prima, e poi quella del 1982, contengono un primo impianto di diritti umani che vengono riconosciuti ai cittadini cinesi, ma a ben guardare, i diritti vengono loro riconosciuti solo nella misura in cui non si pongano in contrapposizione con gli obiettivi della Nazione.

 

Non si può non tenere conto di quanto sia fondamentale la figura di Confucio per la Cina. Il filosofo ha da sempre accompagnato il popolo cinese, predicando la pace, la virtù, considerando un popolo veramente tale solo quando è capace di vivere in pace senza la minaccia della sanzione, soltanto cioè quando è capace di autogovernarsi con la disciplina. Un governante che non è in grado di mantenere il suo popolo in pace, non è degno di proseguire nel suo incarico.

 

Le differenze culturali tra la Cina e l’Europa sono profonde. Pretendere che i diritti umani trovino la medesima tutela e considerazione che ricevono in Occidente, in una Nazione come la Cina, è un’impresa difficile: i governanti cinesi con fatica potrebbero distaccarsi dalle tradizioni e dalla loro storia. In Europa vi sono vari Trattati internazionali che assicurano l’applicazione e il rispetto dei diritti umani e, allo stesso tempo, contengono norme che indicano la via in caso di loro violazione, in Cina non si incontrano meccanismi di questo genere. In ogni caso, l’approvazione della Carta dei Diritti Umani dell’Asia rappresenta un fatto culturalmente significativo, sollecitando infatti l’adozione di misure volte a garantire la promozione e la tutela dei diritti umani, mostrando un grado di consapevolezza maggiore sull’importanza di tali diritti e assumendo una rilevanza fondamentale, in quanto approvata non dagli Stati ma da organizzazioni appartenenti alla società civile. Con l’approvazione di tale documento si registra un segnale forte anche in termini transculturali: l’esigenza che i diritti umani vengano riconosciuti e tutelati non è più un’espressione dell’imperialismo culturale dell’occidente ma è un’aspirazione comune a persone di culture diverse.

 

        Copertina e retro della Carta dei Diritti Umani dell'Asia.
Copertina e retro della Carta dei Diritti Umani dell'Asia.

 

Anche l’adesione della Cina al WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio, potrebbe apparire come un segnale di apertura ai valori dell’Occidente e portare con sé un rispetto più profondo dei diritti umani stabiliti a partire da essi. In realtà, occorre distinguere la dimensione della globalizzazione economica dalla diffusione di strumenti giuridici, come nel caso dei diritti umani, che riflettono comunque una diversa concezione dell’uomo. A dimostrazione di questo, ancora al 2015 si registra l’arresto di molti degli avvocati cinesi che cercano di difendere e far rispettare i diritti umani, dopo una dura campagna di repressione avviata dal presidente Xi Jinping.

 

La Cina, del resto, è ancora oggi il Paese con il più alto tasso di esecuzioni capitali, non essendo ancora stata abolita la pratica della pena di morte. Sono stati compiuti dei piccoli passi avanti, abolendo la pena capitale per alcune tipologie di reato, ma non è ancora abbastanza. È allarmante il silenzio e il riserbo che le autorità cinesi continuano a mantenere su questo punto, nonostante i richiami che più volte sono stati fatti dalle Nazioni Unite. La Cina sta compiendo dei passi avanti, riconoscendo la possibilità di un’interpretazione comune dei diritti umani. Ma è un dato di fatto che l’universalità dei diritti non può essere analizzata prescindendo dalle situazioni dei singoli paesi. L’unica possibilità è che la Cina si adegui agli standard internazionali, se davvero vuole che le venga riconosciuto il ruolo di supremazia mondiale che cerca, ruolo che sicuramente si accinge a ricoprire sul piano economico e tecnologico.

 

L’universalità è una meta lontana e complessa, ma non impossibile. L’obiettivo non è e non può essere arrivare ad un’uniformità mondiale dei diritti umani, prescindendo dalle culture dei singoli Paesi del mondo, ma conseguire un minimum di precetti comuni in virtù dei quali possa essere assicurato il rispetto dei fondamenti essenziali della dignità umana, dovunque nel mondo.

 

1 maggio 2019

 









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