Il segreto del successo

 

Oggigiorno non si fa che parlare della "gente di successo". Ma che cosa si nasconde dietro alla parola "successo"? Essa è stata gravemente travisata da chi induce a credere che là dove c’è fama e dove c’è ricchezza, debbano per forza esserci valore, talento, virtù e merito. È davvero così?

 

 

Si è detto che il fine ultimo dell’uomo, il suo bene supremo, sia la felicità. E si è detto che questa egli la cerchi, la voglia, la desideri, la brami e che la agogni più d’ogni altra cosa. Ora si può anche essere d’accordo con questa teoria, ma da dove nasce quel concetto? Di che natura è fatta la felicità, e quali sono i presupposti perché si sia felici? Domande come queste passano spesso in secondo piano davanti all’opportunità di fare ciò che gli altri fanno.

 

Ma partiamo dalle basi. Partiamo dalle parole. E chiediamoci: che cosa sono? Esse non sono che sacchi in cui si depositano le esperienze che facciamo. Ad ogni parola corrisponde un suono, e poiché noi designiamo la realtà per mezzo di suoni, ogni volta che associamo un suono ad un’immagine, questa si deposita in noi sotto forma di parola. Ma non tutte le parole sono uguali, perché certe parole simboleggiano concetti. E i concetti son parole, diciamo così, speciali.

 

Facciamo un esempio. Che cos’è "il fiore"? È una parola, certo; ma quando parliamo del "fiore", noi non ci riferiamo a un fiore specifico: ci riferiamo invece al concetto di fiore, quella forma che sorge astraendo dalle differenze esistenti tra tutti i fiori. Ma benché nella realtà "il fiore" non esista, noi ce ne formiamo nondimeno il concetto, da cui nasce l’idea che al mondo ci sarebbe "il fiore". 

 

Facciamo un altro esempio? Prendiamo il concetto di verità. Che cos’è la verità? Come facciamo a stabilirlo? Per determinare ciò che è vero, noi non disponiamo di nulla fuor che del linguaggio. E poiché il linguaggio è l’unico terreno ove sia possibile incontrarsi e stabilire ciò che è vero, è su questo terreno che alcuni si avvicinano, mentre altri si allontanano dal vero. Laddove alcuni si sforzano di rispettare il significato comunemente riconosciuto ai concetti, altri, consapevoli di quel comune riconoscimento, sfruttano la nebulosità delle parole a loro vantaggio – tacendo ciò che dev’esser detto, o dando a una cosa il nome che appartiene a un’altra. Il persuasore, il ciarlatano, il mentitore, il bugiardo, il paroliere – tutti questi usano le parole per far apparire una cosa al posto di un’altra, offrendo il destro a Mefistofele per dire: 

 

Eugène Delacroix, "Mefistofele nel cielo" (1828)
Eugène Delacroix, "Mefistofele nel cielo" (1828)

 

 

 

 

 

« Il piccolo dio del mondo è sempre uguale, 

stupefacente come il primo giorno. 

Vivrebbe un poco meglio, se non gli avessi dato 

il lume della tua luce celeste; 

lui la chiama ragione e se ne serve solo 

per essere più bestia di ogni bestia »  

J.W. Goethe, Faust

 

 

Di malintesi, intendiamoci, ne è pieno il mondo. Gli uomini utilizzano di continuo le parole ingannevolmente convinti che abbiano un significato universale, cioè che ciascuna susciti nell’altro le medesime impressioni che suscita in loro. Interrogate chiunque intorno a un qualsiasi concetto, e vedrete che le sue idee saranno per un verso o per l’altro opposte alle vostre. 

 

Ma il punto è che quando le cose alle quali è già stato assegnato un nome vengono chiamate col nome di qualcos'altro, oltre al significato si rischia di perdere anche il concetto. E benché sia vero che il linguaggio è soggetto a mutazioni, l’usare deliberatamente una parola che significa una cosa per designarne un’altra, non è propriamente evoluzione, bensì corruzione del linguaggio. Corruzione che sta avvenendo, se già non è avvenuta, con l’improprio impiego della parola "successo", oggi usata per indicare due cose che nella maggior parte dei casi sono lontanissime tra loro, ma che per saltuaria coincidenza vengono confuse dalla mente poco attenta. 

 

Il primo significato della parola "successo", è quello di raggiungimento di un obiettivo. Il secondo, meno evidente, è quello di gloria o celebrità e ricchezza monetaria o sfarzo. Più nel dettaglio, "successo" è uno di quei termini che nel loro significato di origine sono stati impiegati per rappresentare un concetto già adeguatamente rappresentato da uno specifico termine, il quale, non potendo per connotazione negativa essere liberamente impiegato, è con faciloneria stato ricondotto sotto la sfera di un altro termine di più libero impiego – sotto quella di "successo" nel nostro caso. In sostanza, non potendoti esortare ad essere avido e vanitoso, perché avidità e vanità son due cose moralmente riprovevoli, molti prendono a modello persone ricche e famose, ossia avide e vanitose, e le chiamano "gente di successo", e poi ti spingono a raggiungere il successo. Cosa che, nella sostanza, equivale a dire: sii avido e vanitoso, e sarai felice!

 

Quentin Metsys, "Il cambiavalute e sua moglie" (1514)
Quentin Metsys, "Il cambiavalute e sua moglie" (1514)

 

Come si è arrivati fino a qui? Chiamando le persone ricche e famose a mezzo di epiteti quali "persone di successo" o "gente di successo", si è per associazione venuti a riconoscere valore intrinseco alla fama e alla ricchezza, e si è poi formato un legame indissolubile tra la parola "successo" e quei due concetti, tale per cui ora l’una non può più quasi essere pensata senza che compaia lo spettro delle altre due. Perché? Perché siccome al talento e alla virtù sogliono seguire soldi e fama, qualche alta cima, confondendo la causa cogli effetti, dev’essersi convinta che quelle due cose fossero un’universale forma di rappresentazione di talento e di virtù, così arrivando a concepire che là dove ci sono ricchezza e fama, debbano per forza esserci valore, talento, virtù e merito.

 

Tuttavia, deve esser detto che sebbene né la gloria né il denaro siano di per sé un male, anzi, possono nondimeno diventarlo, se si assume che siano per se stessi un bene. Tanto l’una quanto l’altro sono infatti capaci di crescere e decrescere indipendentemente da quello che si vuole. E siccome la fama è vessillo di ciò che l’uomo rappresenta agli occhi altrui, e i soldi son vessillo di ciò che egli possiede, a considerare questi come fini, si rischia di perdere il senso delle cose, e di ritrovarsi come quel tale – come si chiama? – Eugene O ‘Kelly, che ripose tutto ciò che aveva nel perseguimento del “successo”, fino a che la vita non gli s’è fatta improvvisamente avanti.

 

3 aprile 2019

 




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