Sul presente a partire da Hegel e Foucault

 

Il problema principale di ogni presente è quello che riguarda la propria consapevolezza, ovvero la ricerca di un'interpretazione che ne sia all'altezza. Due grandi pensatori, quali Hegel e Foucault, possono indicarci una via da percorrere.

 

di Giovanni Fava

 

Arnaldo Pomodoro, "La Sfera Grande", Pesaro. Credits: Olycom
Arnaldo Pomodoro, "La Sfera Grande", Pesaro. Credits: Olycom

 

Ad un certo punto della Prefazione ai suoi Lineamenti di filosofia del diritto, Hegel introduce la famosa immagine della nottola di Minerva. Dice Hegel che a quest’ultima, a questo uccello i cui occhi sarebbero gli occhi della dea greca Atena, rassomiglia la filosofia, che spicca il suo volo sul far del tramonto, che cioè guarda alle cose ed ai fatti troppo tardi, quando essi avrebbero già trovato il loro compimento.


« Essa, la filosofia, come il fiore di cui vediamo il petalo ma non lo sviluppo di esso, si manifesta nel tempo solo dopo che la Realtà ha completato il proprio processo di formazione e si è ben assestata. » (G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto)

 

Questa similitudine divenuta nota è preceduta di poche pagine da un altro giro di frase, anch’esso divenuto famoso. Si tratta dell’equiparazione di razionalità e realtà che risuona nel distico che apre il paragrafo: «ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale». (Ivi)

 

Queste due immagini hanno decretato in larga parte fortuna e sfortuna di Hegel, facendone, a seconda della lettura, un pensatore reazionario e giustificazionista, certo grandissimo, ma pur sempre sottomesso all’esigenza di inserire forzatamente la fattualità del reale entro un ordine di razionalità già costituito, calando su di esso, sulle cose del mondo, una logicità del tutto discrezionale. Così, però, non è.

 

Al centro della metaforica hegeliana non ritroviamo alcun intento di tipo giustificazionista (rinvenibile, semmai, in altri luoghi del testo), bensì il tentativo d’indicare uno degli oggetti peculiari del pensiero filosofico: il presente. O meglio, il presente quale luogo d’emersione della razionalità storica. Spieghiamoci.

Quando Hegel utilizza la parola realtà non si riferisce tanto a ciò che potremmo chiamare, rifacendoci al senso comune, il concreto: questo tavolo che sento, questa mano che vedo, questo freddo che patisco. No; reale nel senso hegeliano è ciò che ha effetto, ciò che si produce come effetto e produce effetti. Bisogna cioè, prima di tutto, pensare alla realtà come ad un qualcosa di organico, come ad un corpo, la cui verità della parte starebbe nella verità del tutto – e viceversa. Ogni accadimento reale trova difatti la sua razionalità solo se inserito nel contesto più ampio del corpo, dell’organismo di cui esso è come un ingranaggio costituente e vivo, ed è proprio questa vita dell’intero, questa visione dal punto di vista dell’organismo, ovvero del tutto, che permette d’indentificare ciò che è, diciamo così, realmente reale

 

Per converso, la razionalità conviene a quell’elemento dell’insieme che è inserito in maniera armonica e funzionale nel tutto. Noi possiamo pensare, ossia indicare come razionale, ciò che realmente ci affetta, e diviene visibile e concreto in virtù dei suoi effetti. Una mano staccata dal corpo perde secondo Hegel della sua verità – e dunque di realtà e razionalità. Questo non vuol dire che la mano non sia pensabile o visibile o toccabile; lo è, certo, ma al di fuori dello schema di razionalità che ne costituisce l’essenza: la mano quale parte organica e integrante del corpo, o del mio braccio. 

 

René Magritte, "Le vacanze di Hegel" (1958)
René Magritte, "Le vacanze di Hegel" (1958)

Fino a questo punto, non ci allontaniamo troppo da Leibniz o da Spinoza. Hegel, tuttavia, da pensatore attento e geniale qual era, compie un passo in più rispetto ai due; introduce in questo schema, oltre a realtà e razionalità, una terza coordinata: il tempo.

 

La realtà diviene, e con essa diviene la sua stessa razionalità; e viceversa. Detto in parole semplici: le cose cambiano, tramontano civiltà, ne sorgono di nuove e lungamente il mondo si assesta di volta in volta su configurazioni determinate differenti.
La civetta di Minerva impiega del tempo per spiccare il suo volo, ma solo perché la realtà fa lo stesso nel suo svolgersi. Lungi dall’essere un blocco statico, come le costruzioni sferiche, dorate, di Arnaldo Pomodoro, la realtà diviene incessantemente. E con essa, con la realtà, per logica conseguenza anche la sua razionalità si troverà mutata, assumendo configurazioni diverse a seconda del tempo storico. Ciò non significa, tuttavia, che a governare la storia sia una sorta di moto confusionario, destinato all’entropia assoluta, al disordine totale. Persiste difatti, nel verificarsi degli eventi, un nocciolo duro, un cuore di razionalità che li inserisce nella logica del tutto – ed in essa procura loro la forza della verità. È, come lo chiama Hegel, il permanente, l’eterna presenza del lato razionale della storia, di contro alla scorza, il lato contingente e ineffettuale della realtà.

 

La filosofia, come la civetta che spicca il suo volo sul far del tramonto, guarda gli eventi quando essi sono già accaduti, chiudendone perciò il processo effettivo. Ed è proprio dove termina il suo movimento, dove la realtà si compie ogni volta nel moto incessante delle cose, che emerge la questione del Presente: qual è la scorza dura, il nocciolo di razionalità che ha guidato questo brano di storia, che ha concluso questo pezzo di realtà? Il filosofo non cala dall’alto sul tempo il metro della ragione, ma trova nel divenire ciò che è permanente, mostrandone la razionalità. E tanto più questo lavoro, questa fatica è buona, quanto più egli saprà inquadrare il suo tempo, il suo presente, entro una prospettiva di razionalità universale. Discernendo la realtà effettuale da ciò che reale non è, la speculazione assicura ad una comprensione maggiore il flusso apparentemente disordinato della storia.

 

 

Per questo, la domanda intorno alla razionalità del reale deve trasformarsi nella domanda intorno alla problematicità del presente: che cos’è presente? Ovvero, che cos’è razionale? Dove riposa la scorza dura della storia, obliata dalla matassa di fatti e accadimenti che continuamente si verificano?

 

Ora, è interessante connettere questa breve riflessione hegeliana, a quanto detto da un altro grande filosofo contemporaneo, Michel Foucault, nel corso di una delle sue lezioni inaugurali al Collège de France. Siamo nell’anno accademico 1982-83, e Foucault apre il suo insegnamento di Storia dei sistemi di pensiero delineando intenti teorici e metodologici della ricerca sul tema delle tecnologie di costituzione del soggetto. Aggiunge però alla ricapitolazione teorica, un interludio su Kant e sul suo famoso articolo del 1784 Che cos’è l’Illuminismo. Sostiene Foucault che «in questo testo appaia un nuovo tipo di questione nel campo della riflessione filosofica. Tale questione è la questione del presente, dell’attualità; è la questione: cosa accade oggi? Cosa accade ora? Cosa è questo “ora” all’interno del quale stiamo noi, gli uni e gli altri». (M. Foucault, Il governo di sé e degli altri)

 

In questo testo kantiano, dunque, per la prima volta emergerebbe la questione cruciale circa la «determinazione di un certo elemento del presente che si tratta di riconoscere, di distinguere, di decifrare tra tutti gli altri. Che cos’è che nel presente, oggi, produce senso rispetto a una riflessione filosofica?» (Ivi)

 

                                                 Michel Foucault
Michel Foucault

Foucault individua, dunque, nella filosofia critica kantiana una svolta cruciale del pensiero occidentale: il filosofo, prima di tutto, si domanda cosa fa problema nel presente, e cosa è presente (ovvero attuale) nei problemi che la storia ci ha lasciato in eredità. È chiaro: prima Kant, poi Hegel, ma infine, per Foucault, il modello è Nietzsche, che pretendeva di guardare al suo presente con l’occhio del greco, ovvero con l’occhio dell’inattualità, per scostarsi dall’assorbimento che il proprio tempo produce sul soggetto che lo pensa.

 

« E perciò stesso, si vede che la pratica filosofica, o piuttosto il filosofo, tenendo il suo discorso filosofico, non può evitare di porre la questione della sua appartenenza a questo presente. Il che significa che la questione che bisognerà porgli non sarà più semplicemente, o non sarà più affatto, quella della sua appartenenza a una dottrina o a una tradizione, e nemmeno bisognerà porgli la questione della sua appartenenza a una comunità umana in generale. » (Ibidem)

 

C’è di più. Se tutto ciò è vero, se è vero cioè che con la modernità il presente diviene problema, e per il filosofo si tratta di pensarlo determinandone le fattezze, allora bisogna porsi una domanda ulteriore: a che fine? Qual è il motivo, o il movente, di questa domanda sull’attualità? È sempre Kant, secondo Foucault, a rispondere. Solo interrogandosi sul proprio presente, è possibile esercitare criticamente l’umana facoltà razionale, è possibile orientarsi nel pensiero, è possibile dire no al presente stesso che si è fatto concetto. Ed uscire, così, dallo stato di minorità che noi stessi ci siamo imposti.

 

L’Illuminismo diviene dunque l’operazione critica di pensare e discernere nel presente ciò che è razionale e ciò che non lo è. In questo senso, se, seguendo Foucault, aveva ragione Kant, l’Epoca dei Lumi ci appartiene almeno dalla Modernità in poi, ed anzi, essa perde il suo valore meramente evenemenziale per farsi puro atto filosofico: l’atto di rispondere al proprio tempo con un pensiero adeguato ad esso

 

Noi, a questo punto, ci chiediamo se tutte le prospettive nichilistiche della storia, tutte le rinunce davanti all’apparente irrazionalità del nostro tempo, non siano che figlie della paura; della paura di un pensiero all’altezza del presente, della paura della fatica che, come diceva Hegel, richiede il lavoro speculativo. Se così fosse, e così ci pare che sia, non aveva poi torto Leopardi quando riportava, come incipit de La Ginestra, il famoso distico tratto dal Vangelo di Giovanni:

 

E gli uomini vollero

piuttosto le tenebre che la luce.

 

 

16 ottobre 2019

 







  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica