Guardare il mondo attraverso le parole

 

LINGUAGGIO E MONDO. Il potere della parola è il titolo della VII edizione del Concorso di filosofia per scuole superiori Romanae Disputationes. Il lavoro che coinvolge migliaia di studenti e docenti comincerà con la Lezione introduttiva del Prof. Carmine Di Martino (Università degli Studi di Milano) il prossimo lunedì 25 settembre presso l’Aula Magna dell’Università Cattolica di Milano e in diretta streaming da tutta Italia. Ecco una sua presentazione del tema.

 

di Carmine Di Martino

 

 

I Greci, per indicare l’uomo, usavano l’espressione zoon logon echon: il vivente che parla. Tante attuali ricerche in ambito scientifico – paleoantropologia, antropologia, psicologia evolutiva – identificano nell’apparizione del linguaggio simbolico la chiave di quella esplosione di creatività che ha accompagnato la comparsa sul pianeta della specie Homo sapiens. Martin Heidegger, adottando un verso del poeta tedesco Stefan George, affermava: «Nessuna cosa è dove la parola manca».

 

Ma perché parlare è così importante? Che cosa succede con il linguaggio? Che rapporto questo intrattiene con il pensiero? Si tratta di un rapporto essenziale o solo strumentale? Se fosse essenziale bisognerebbe dire che chi non parla non pensa? E che significa parlare? Come il linguaggio influisce sul pensiero? E poi: com’è emerso il linguaggio che parliamo (il linguaggio verbale convenzionalizzato)? È la conseguenza di una mutazione genetica? È il punto di arrivo di un lungo cammino di significazione? È il prodotto di una mente preventivamente capace di simbolizzazione?

 

Mantenendo nella coda dell’occhio l’insieme di tali domande, cominciamo col dire che un segno è linguistico quando suscita in maniera consapevole lo stesso significato (la stessa risposta, lo stesso gruppo di rappresentazioni) in tutti i membri di una determinata comunità. Un nodo al fazzoletto, per intenderci, non è un segno linguistico. Non solo. Un segno linguistico è tale in quanto significa in assenza – tanto del referente quanto di una situazione comunicativa determinata (posso dire: “Sto acquistando una casa in montagna…” mentre sono in riva al mare e non ci sono case nei paraggi). Tale assenza non è, beninteso, temporanea: anche quando, mediante i segni linguistici, ci rivolgiamo a qualcosa di presente, il “referente” del segno linguistico è, in certo modo, assente. Se dico: “Che bel sorriso che hai”, per quanto io intenda essere concreto e indicare proprio il tuo sorriso, non un altro, la frase potrà essere usata per infiniti altri sorrisi. Il linguaggio cioè universalizza, idealizza, obbiettivizza strutturalmente: anche quando con la parola si vuole indicare qualcosa di presente in carne e ossa essa indica sempre il significato ideale (di quel qualcosa), che è costitutivamente e caratteristicamente assente.

 

Avere un linguaggio vuol dire allora avere a disposizione i significati ideali di ciò che ci viene incontro (cose, situazioni, azioni), averli in ogni momento, fuori contesto, mentre siamo intenti ad altro o accade tutt’altro, potendo combinarli e ricombinarli a piacimento. In ciò risiede il segreto della nostra potenza, del possibile dominio sugli enti degli esseri umani moderni (con tutte le sue conseguenze). Man mano che approfondisce la sua familiarità con la lingua, il bambino estende il possesso dei significati ideali e moltiplica le possibilità di maneggiarli, ben al di là delle sue personali esperienze. Potrà così obbiettivare il mondo, costruire attivamente ricordi, fantasticare situazioni future e diventare riflessivamente autocosciente (grazie alla mediazione dei segni linguistici, che possono anche non essere vocali, potrà avere i significati dei propri gesti, pensare i propri pensieri, guardarsi per così dire da fuori). Il linguaggio consente insomma l’emergenza di quel “pensiero oggettivo-riflessivo-normativo”, per usare una nota espressione, che rappresenta una nostra prerogativa e uno strumento potentissimo. Il linguaggio orienta e plasma la nostra attenzione, da esso dipende il nostro modo di guardare il mondo e di averci a che fare. Perciò è interessante rifletterci e provare a rispondere alle domande sopra formulate.

 

5 settembre 2019

 







  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica