Simone Weil e le origini dell'hitlerismo

 

Nelle "origini dell'hitlerismo" la filosofa Simone Weil colpì il mondo con un'audace intuizione storica: il nucleo politico-concettuale della (iniziale) politica nazionalsocialista è legato all'Impero Romano  in particolare alla figura di Giulio Cesare.

 

Felix Nussbaum, "Il trionfo della morte"
Felix Nussbaum, "Il trionfo della morte"

 

Simone Weil (1909-1943) è stata una filosofa e una militante interessata contemporaneamente all’istruzione e ai problemi degli operai, contadini e disoccupati. Viaggiando, si rende conto in anticipo del dramma dell’ascesa del nazismo e della figura del “dittatore totalitario”. La condizione operaia la preoccupa a tal punto da decidere di farne esperienza sulla propria carne, facendosi assumere come operaia presso alcune fabbriche metallurgiche di Parigi. Nell’ultimo periodo della sua vita si avvicinerà al cristianesimo nella piena libertà teoretica, lontana dalle istituzioni ecclesiastiche. La condizione fisica di Simone Weil si indebolì in tempo di guerra, quando, anche per solidarietà con i suoi concittadini e concittadine, ridusse l’alimentazione ai limiti consentiti dalla tessera di razionamento e morì di tubercolosi, a soli 34 anni.

 

Innanzitutto, che cosa si intende per “dittatura”? In un testo del 1921 Die Diktatur, divenuto un classico della riflessione giuridica e politica, Carl Schmitt (aderirà al nazismo nel ’33) ricorda l’etimologia della parola “dittatore” e cita un passo concepito durante l’antica Repubblica romana: Dictator est qui dictat; vale a dire, il dittatore è colui che detta dopo la sua presa di potere, l’unico che può parlare.

La dittatura è una forma di esercizio del potere in cui parla una sola persona: un’autocrazia, o, meglio, una monarchia del XX secolo privata degli antichi fondamenti basati sull’eredità e sul diritto divino. Lo studio sui dittatori moderni rende la filosofia weiliana profetica. Infatti, nel 1939 pubblica il suo celebre saggio Riflessioni sulle origini dell’hitlerismo dove si analizza la storia delle nazioni nell’età moderna e nel suo evolversi in nazionalismi in lotta fra loro. 

 

Simone Weil
Simone Weil

In particolare la Francia e la Germania interessano alla Weil: uno dei due Stati costituirà un pericolo di dominio universale contro la libertà dei popoli. Già nel passato, l’Occidente ha conosciuto tre minacce di questo dominio: la Spagna di Carlo V e Filippo II, la Francia di Luigi XIV e l'età napoleonica.

Il mutamento delle condizioni, fa notare Weil, non significa meno massacri e violenze rispetto a prima. Al contrario, vi è una analogia nascosta tra Hitler e Luigi XIV. Non nella loro personalità, ma nel ruolo che rivestono: Luigi XIV, re legittimo, in parte possedeva il carattere da dittatore moderno convinto di governare un popolo solo dominandolo.

Occorrevano le lodi al re per qualsiasi azione: era vietato, per esempio, pubblicare uno scritto senza la sua approvazione. Stesso tono idolatrico che Weil rintraccia in Stalin. Si pensa che tessere le lodi sia clausola tipica di uno stato monarchico ma non è così: in Francia quel tipo di lodi servili erano del tutto nuove.

Invece, l’influenza del potere centrale sulla vita dei privati cittadini, la crudeltà delle persecuzioni, il terrore/orrore delle armi e la politica estera spinta da orgoglio spietato sono le stesse ispirazioni di Luigi XIV, Stalin e Hitler. Prima di Hitler e dopo l’antichità, vi è stato l’esempio storico del cardinale Richelieu, che suggerisce la definizione di Stato centralizzato, instauratore di un potere forte, come «macchina anonima, cieca, produttrice di ordine e di potenza». Secondo Weil, lo sviluppo del nazionalismo tedesco è stato possibile solo come reazione alle conquiste e oppressioni da parte di Napoleone III. Il pregiudizio razzista, però, non risale ai Germani di duemila anni fa, ma ai Romani. Le popolazioni germaniche descritte da Cesare e Tacito non assomigliano agli attuali Tedeschi; essi amavano guerreggiare, mentre Hitler ama il dominio e la volontà di un suo ideale di pace. Ciò che accomuna Hitler a Cesare stesso è la perfidia premeditata, l’arte della provocazione, l’astuzia, il prestigio di sottomettere col “terrore”.

 

« L’analogia tra il sistema hitleriano e l’antica Roma è sorprendente a tal punto da far credere che dopo duemila anni solo Hitler abbia saputo copiare correttamente i Romani. »

 

Prima eravamo i sostenitori dell’antica Roma, adesso invece la situazione è ribaltata dato che quell’antica gloria viene sostenuta dal nostro nemico. Occorre uno sforzo critico per comprendere che la storia non si schiera solo dalla parte dei vincitori, ma deve analizzare anche la situazione dei vinti – non a caso, scrive Weil, «i posteri [...] non ascoltano mai i vinti». L’esempio più sventurato riportato da Weil è quello di Cartagine, e il suo annientamento dalla “tragicità degna di Shakespeare”. Questo abile uso dei Romani della crudeltà fredda e calcolata provocata da una ‘sensibilità malata’, dall’odio o collera, forza totalizzante cieca e sorda, chiaroveggente – quindi un male consapevole e inconsapevole insieme – provoca nelle vittime accecamento, resa e neanche la sottomissione estrema può salvare dalla crudeltà. 

Weil pensa al terrore dei Paesi sotto l’ombra del dominio hitleriano, che ricorda come lo siano stati in passato anche la Grecia e la Macedonia soggiogati e asserviti da Roma. La crudeltà dei Romani era solo il mezzo, il fine era il prestigio.

 

« L’arte di salvare le apparenze sopprime o diminuisce negli altri lo slancio che l’indignazione potrebbe dare, e permette a se stessi di non venire indeboliti dall’esitazione. Ma, perché l’effetto si produca pienamente, bisogna essere effettivamente convinti di aver sempre ragione, non solo di avere il diritto del più forte, ma anche il diritto puro e semplice, e questo anche quando non è assolutamente così. »

 

I Greci per Weil si differenziano da questo comportamento tipico dei Romani perché quando commettevano abusi di potere, riconoscevano ciò che commettevano. 

I Romani possedevano una soddisfazione di sé, opaca e impenetrabile, che consentiva loro una coscienza tranquilla in mezzo a tanti crimini. Weil parla di svilimento del cuore e della mente che ostacola il pensiero, perché si fonda sulla “forza”. Racconta della preoccupazione per la propaganda nei Romani, realizzata sia con la costruzione di grandi monumenti, strade e acquedotti, sia con la letteratura utile alla percettibilità dei loro spiriti. I sudditi, i ribelli, i vinti e i pentiti, tutti erano costretti a lodare Roma, persino i neutrali subivano crimini.

 

« La propaganda e la forza si sostenevano reciprocamente; la forza rendeva la propaganda pressoché irresistibile impedendo in larga misura che si osasse resistervi; la propaganda faceva penetrare ovunque la rinomanza della forza. »

 

Una forza che Richelieu, Luigi XIV e Napoleone non possedevano completamente, questo cullare i nemici in una apparente sicurezza, paralizzarli con l’angoscia e terrore e senza consentire loro esitazioni. La paura di essere sommersi e non salvati produceva nelle anime delle vittime sottomissione totale come unica possibilità di sfuggire ad ogni male. L’orrore dentro le anime viene approfondito in un’altra opera di Simone Weil, La condizione operaia:

 

« Questo orrore è quello dell’attimo in cui una violenza imminente sta per infliggere la morte. Questo momento di orrore si prolungava una volta per tutta la vita in chi, disarmato sotto la spada del vincitore, era risparmiato. In cambio della vita che gli era lasciata, egli doveva consumare da schiavo la sua energia nelle fatiche, per tutto il giorno, tutti i giorni, senza poter sperare nulla, se non di essere ucciso o frustato. Non poteva perseguire altro bene che quello di esistere. Gli antichi dicevano che, quando era stato fatto schiavo, gli era stata tolta la metà dell’anima. » 

 

Giulio Cesare
Giulio Cesare

Nazionalismo e razzismo sono legati assieme – scrive Weil – e staccarli è puro mito romantico. Non sapeva ciò che sarebbe accaduto anni dopo con la Shoah, quindi sperava in un fallimento in Hitler che ha saputo solo “imitare” e non “inventare” strategie politiche affini a quelle dell'antica Roma quali l’ordine, il metodo, la disciplina, la sopportazione, l’ostinazione e l’attenzione per il lavoro:

 

« I campi di concentramento non sono un mezzo più efficace per distruggere la virtù dell’umanità di quanto non lo furono i giochi dei gladiatori e le sofferenze inflitte agli schiavi. »

 

Hitler esercita una dittatura totalitaria, prima ancora di essere padrone del mondo, e questo, secondo Weil, avrebbe dovuto impedire il suo trionfo, perché disintegra i suoi sudditi piuttosto che conquistarne altri.

Ci sono state, nella storia, moralità non macchiate dall’imperialismo e dalle brutalità sistematiche, come la cultura egizia o le tragedie greche di Eschilo e Sofocle, contrari all’odio, alla schiavitù e alla guerra. Si potrebbe anche citare il sacrificio di Socrate per la giustizia; in ogni caso la sensibilità morale a parere di Weil su certi valori di bene e male rimane più o meno la stessa, cambiano solo le epoche. 

Seppur vi sia cambiamento, rimane altrettanto grave l’ammirazione contemporanea verso Roma. Weil conclude il saggio con parole molto profetiche:

 

« La serie di massacri deve condurre o al trionfo di un solo Stato che riuscirebbe ad annientare una moltitudine di popoli sotto una nuova pace romana per poi disgregarsi lentamente, o alla distruzione reciproca degli Stati che finirebbero per spezzarsi sotto l’effetto di una tensione troppo grande. »

 

2 settembre 2020

 









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