Austerità e malattia mentale

 

Due anni fa terminava l’ultimo programma di austerità imposto dalle istituzioni europee al governo greco a maggioranza Syriza. A partire dal report della commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Mijatović e riprendendo una tesi del filosofo e attivista Mark Fisher si riflette sui rapporti che intercorrono tra misure economiche restrittive e salute mentale dei cittadini. 

 

E. Munch, "L'urlo"
E. Munch, "L'urlo"

 

All’indomani della sua visita in Grecia nel non lontano 2018, la commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović ha stilato un report nel quale si leggono i dati che descrivono lo stato del paese al termine del lungo programma di riforme strutturali (si legga austerità) imposto dalle istituzioni europee (Commissione Europea e Banca Centrale Europea) e dal Fondo Monetario Internazionale a partire da primo salvataggio del 2010. 

 

Tsipras
Tsipras

 

Sebbene i grandi d’Europa (e lo stesso ex primo ministro Tsipras) abbiano salutato con entusiasmo la fine dei lavori della troika ad Atene, l’indagine di Mijatović illustra uno scenario poco confortante. Non sorprende che siano welfare e spesa pubblica ad aver subito tagli in misura maggiore: per citare un esempio su tutti, il sistema sanitario nazionale greco risultava, alla fine dei programmi, severamente sottofinanziato rispetto alla media europea. È però soffermandosi su altre statistiche, non immediatamente inerenti la politica economica, che il report si fa più inquietante. Si guardi ai dati relativi allo stato di salute mentale dei cittadini greci dall’inizio della crisi:

 

« Più della metà dei greci nel 2017 soffriva di problemi di salute mentale, con stress, insicurezza e delusione tra le cause più citate; i suicidi sono aumentati del 40% tra il 2010 e il 2015, con la mortalità per suicidio arrivata al tasso medio annuo del 7,8%, rispetto all'1,6% prima della crisi […]. L'impatto delle misure economiche restrittive ha avuto effetti devastanti anche sulla salute mentale dei cittadini greci, notevolmente deteriorata, con la depressione particolarmente diffusa a causa della crisi economica. » 

 

Sembra emergere una forte concomitanza tra l’imposizione di politiche di austerità, che hanno finito per colpire la maggioranza dei cittadini greci, e il notevole peggioramento delle condizioni di salute mentale degli stessi. Al fine di evitare fallacie del tipo post hoc, propter hoc è bene trattenersi dal sostenere che la crisi economica e sociale abbia necessariamente condotto a stress, depressione e suicidio nelle fasce più o meno deboli della popolazione ellenica, ma sarebbe allo stesso modo fallace voler affermare la tesi contraria, ovvero che sia impossibile che una situazione economicamente difficile possa contribuire al sopraggiungere di problemi mentali. 

 

Mark Fisher
Mark Fisher

 

Ragiona in questi termini Mark Fisher, filosofo e teorico culturale inglese, riflettendo sui possibili rapporti che intercorrono tra scelte politiche ed economiche sbagliate e problemi di salute mentale. In particolare, nota Fisher, se da un lato non è impensabile che condizioni socio-economiche caratterizzate dalla precarietà possano provocare disturbi come ansia e stress, dall’altro l’approccio terapeutico a tali patologie sembra negare completamente questa eventualità: esse sono considerate piuttosto squilibri chimici del nostro cervello che un intervento medico sull’individuo può trattare e, in alcuni casi, risolvere (ad esempio con la prescrizione di psicofarmaci). 

 

Questa tendenza ad escludere aprioristicamente ogni potenziale causa sistemica della malattia mentale e la conseguente concentrazione medicalizzata sul disagio dei singoli vengono intesi da Fisher come un derivato ideologico dell’impostazione politica neoliberista, egemone nel mondo occidentale negli ultimi quarant’anni:

 

« La malattia mentale è stata depoliticizzata […]. Le politiche neoliberiste implementate dai governi Thatcher negli anni Ottanta e poi proseguite dal New Labour e dall’attuale coalizione [il governo conservatore guidato da David Cameron, ndr] hanno condotto a una privatizzazione dello stress. Sotto il regime neoliberista, i lavoratori hanno visto ristagnare i salari e farsi sempre più precarie le condizioni di lavoro e la certezza di un impiego. Secondo quanto riferisce oggi il Guardian, i suicidi tra i maschi di mezza età sono in aumento, e Jane Powell, la direttrice di Calm [Campaign Against Living Miserably], ricollega parte di quest’aumento a disoccupazione e lavoro precario. » (Mark Fisher, Il nostro desiderio è senza nome)

 

Margaret Thatcher
Margaret Thatcher

In particolare, l’incapacità di considerare il disturbo mentale come un prodotto di natura sociale sembra sposarsi alla perfezione, secondo Fisher, con il famoso adagio di Margaret Thatcher secondo cui la società non esiste, ma esistono solo individui e famiglie che devono cavarsela da soli. È questa la premessa che si porrebbe alle origini di quella “privatizzazione dello stress” implicata dalla completa depoliticizzazione dei disturbi mentali: le uniche cause contemplabili di questi ultimi andranno ricercate nell’individuo che ne soffre. Così scriveva Fisher sul The Guardian nel 2012 invitando, nelle battute finali dell’articolo, a considerare la necessità di riconoscere la salute mentale come problema politico.  

 

A questo punto è bene tornare al report greco per porsi la seguente domanda: possono politiche di austerità improntate al ridimensionamento del welfare (tagli su salute pubblica, pensioni ecc.), alla flessibilizzazione del lavoro e, più in generale, alla progressiva precarizzazione della vita condurre alcune persone a frustrazione, insicurezza, depressione e, in casi estremi, al suicidio? I dati sulla depressione dal 2010 e l’aumento della frequenza dei suicidi di cittadini greci ridotti all’indigenza sembrano una prova sufficiente per dare risposta positiva. Un cattivo welfare prodotto da politiche economiche scellerate può essere annoverato tra le cause di debilitamento della salute mentale dei più fragili; ed è arrivato il momento di raccogliere il testimone offerto da Fisher valutando con attenzione l’esempio greco per fare in modo che l’esperimento della troika ad Atene non si ripeta altrove, che misure economiche austere (volte alla riduzione del debito sovrano, al pareggio di bilancio e ad altri miti) non siano imposte in modo antidemocratico ai governi nazionali (come avvenuto l’ultima volta nel 2015, quando la BCE destabilizzò volutamente l’economia greca affinché firmasse lo spietato memorandum) e, soprattutto, che queste non siano anteposte alla salute e ai diritti fondamentali dei più deboli. 

 

2 novembre 2020

 









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