La guerra nella politica di Carl Schmitt

 

Carl Schmitt, uno dei più importanti giuristi e filosofi della politica del XX secolo, viene ricordato principalmente per la famosa teoria politica della distinzione amico-nemico scritta nel saggio Il concetto di ‘politico’ (1932). Tuttavia, il ‘politico’ non si racchiude solamente all’interno di tale dicotomia in quanto vi è un terzo elemento che completa la definizione.

 

di Luca Antonio Coppo

 

F. Usypenko, "Operazione notturna" (1958)
F. Usypenko, "Operazione notturna" (1958)

 

Il giurista tedesco di Plettenberg, Carl Schmitt (1888-1985), per poter dare una risposta concreta e pratica alla domanda sul che cos’è la politica, riduce ai minimi termini, fino all’atomo inscindibile, il concetto in questione. Egli intuisce che l’essenza della politica è la distinzione amico-nemico, la quale rende la stessa politica un qualcosa che riguarda l’uomo, un qualcosa di autonomo e indipendente rispetto ad altri concetti come economia, morale ed estetica, i quali sono caratterizzati da altre distinzioni particolari: «ciò che è moralmente cattivo, esteticamente brutto ed economicamente dannoso, non ha bisogno di essere per ciò stesso nemico; ciò che è buono, bello ed utile non diventa necessariamente amico» (C. Schmitt, Il concetto di ‘politico’).

 

Dunque, la politica è descritta dalla distinzione amico-nemico dove per nemico si intende «l’altro» con il quale è possibile, nel caso critico, un conflitto. Non è colui che ci è antipatico privatamente, che ci ha fatto qualche torto e noi, come singoli, dobbiamo vendicarci. Il nemico è pubblico, un popolo che in caso di conflitto si deve combattere, ecco perché «la contrapposizione politica è la più intensa ed estrema di tutte e ogni altra contrapposizione concreta è tanto più politica quanto più si avvicina al punto estremo, quello del raggruppamento amico-nemico» (C. Schmitt, Il concetto di ‘politico’). Si osserva che la distinzione, per essere veritiera e per assumere il suo significato autentico, deve aver presente la possibilità reale di conflitto (di lotta, di guerra), è questo il legame fondamentale tra l’amico e il nemico: cioè, afferma Schmitt, non è possibile parlare di politica senza la possibilità concreta di lotta. Allora, la definizione del ‘politico’ inevitabilmente si allarga in quanto non è sufficiente la diade amico-nemico ma, insieme a questa, ci deve essere la guerra — non sempre attuale, ma intesa come evento effettivamente realizzabile, come possibilità reale — che le permette (alla diade) di essere vera e intensa.

 

Sono i tre concetti, o elementi, amico-guerra-nemico che definiscono  la politica nella sua completezza e, nella teoria schmittiana, il legame è così forte e radicale da rendere ogni singolo elemento fondamentale: se la loro unione — intesa come somma tra amico, nemico, guerra — costituisce la politica ciò significa che considerando il singolo elemento (per esempio la guerra) esso diventa essenziale ed esistenziale per il concetto poiché senza un elemento qualsiasi dei tre (in questo caso la guerra) crollerebbe la realtà politica. Pertanto, è scorretto affermare che la politica è guerra, ma è scorretto anche affermare che la politica non è guerra. Lo stesso vale per l’amico e il nemico: si può parlare di triade politica.

 

Carl Schmitt (1888-1985)
Carl Schmitt (1888-1985)

 

Schmitt non vuole dire come Eraclito che «padre di tutte le cose è la guerra», essa per il giurista tedesco non è «scopo e meta o anche solo contenuto della politica, ma è il presupposto sempre presente come possibilità reale, che determina in modo particolare il pensiero e l’azione dell’uomo provocando così uno specifico comportamento politico» (C. Schmitt, Il concetto di ‘politico’): ovvero, la guerra come parte fondamentale della politica. Ciò mette in luce un’affinità di pensiero tra lo scritto del giurista e il Protagora, dialogo giovanile di Platone. Qui il sofista Protagora narra un mito a Socrate, in un’atmosfera che ricorda molto il libro della Genesi: Zeus generò le stirpi mortali con terra e fuoco ma queste non avevano ancora l’abilità di sopravvivere, così ordinò ai fratelli Epimeteo e Prometeo di aiutare i mortali. L’uomo, per errore di Epimeteo, fu lasciato nudo, scalzo e indifeso ma Prometeo rimediò il danno e diede all’uomo, attraverso la tecnica e il fuoco, la possibilità di sopravvivere. Tuttavia, non bastavano all’uomo il fuoco e la tecnica: egli aveva necessità di qualcosa di essenziale: «essi avevano bisogno ancora dell’arte politica, di cui l’arte della guerra è parte» (Platone, Protagora). Zeus, dunque, donò all’uomo il rispetto e la giustizia con i quali egli poté conoscere la politica, solo così era possibile la salvezza. Dunque, la guerra come parte fondamentale della politica vuol dire che se la prima viene a mancare la seconda di conseguenza si spegne.

 

A questo punto resta da rispondere ad una domanda imprescindibile che riguarda soprattutto il mondo occidentale: la fine della guerra segna la fine della politica?

Carl Schmitt riteneva che la guerra fosse scontro fisico, cioè la «possibilità reale dell’uccisione fisica» e se «un mondo nel quale sia stata definitivamente accantonata e distrutta la possibilità di una lotta di questo genere, [...] sarebbe un mondo senza più la distinzione fra amico e nemico e di conseguenza un mondo senza politica» (C. Schmitt, Il concetto di ‘politico’). Insomma, nella teoria schmittiana, domandarsi della politica è un domandarsi della guerra, e dunque è possibile un mondo senza guerra, di pace totale? È possibile un mondo senza politica? Domande che richiamano la questione fondamentale: è possibile la politica senza guerra?

 

 

11 settembre 2020

 









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