Attesa

 

Riflessione su quell’attesa che è ormai diventata per tutti noi uno stato d’animo tanto paralizzante quanto quotidiano.

 

di Giulia di Egidio

 

E. Hopper, "Automat (Tavola calda)" (1927)

 

Attesa. Ecco come definirei questo tempo sospeso in un eterno secondo, sempre in bilico tra il momento precedente e quello successivo. Si ha quasi l’impressione di stare aspettando qualcosa, in vista del quale è necessario ancora essere pazienti, fare un altro sforzo, sopportare un poco di più. 

 

Uno stato di attesa che assomiglia ad una immobilità. Quasi bloccati, congelati, nell’inverno non ancora primavera di quel febbraio 2020. Ai tempi nessuno avrebbe mai immaginato ciò che si prospettava, quel caos che avrebbe sconvolto le nostre effimere esistenze. 

 

E ora, ora che cosa ci aspetta?

Viene naturale il rimandare: il prossimo viaggio, la prossima uscita, il prossimo abbraccio. Ma non si può vivere protesi verso il futuro, per la paura di un presente troppo vivido, non può essere definita ‘vita’ quella che si tenda lontano da un presente che forse terrorizza, sconvolge. 

 

Siamo totalmente immersi in uno stato di tensione, in una dimensione che ci vede dare le spalle all’oggi per sperare nel domani. La possibilità della felicità sembra appartenere al futuro, a quella domenica che gli abitanti di Recanati attendono trepidanti ne Il sabato del villaggio di Giacomo Leopardi. Si pensi alla «donzelletta», che freme all’idea di agghindarsi l’indomani; oppure ai «fanciulli» che, impazienti, «fanno un lieto romore» per le vie; o ancora allo «zappatore», che di fronte al suo pur umile pasto, pregusta già il riposo che il giorno seguente sembra promettere. Tuttavia, ci insegna il poeta, tali speranze vengono presto deluse, con l’arrivo di una domenica che non realizza le attese custodite dal sabato:

 

« 38 Questo di sette è il piú gradito giorno,

39 pien di speme e di gioia:

40 diman tristezza e noia

41 recheran l’ore, ed al travaglio usato

42 ciascuno in suo pensier fará ritorno. »

(Giacomo Leopardi, Canti, XXV)

 

Grazie all’insegnamento leopardiano, capiamo che forse il piacere non sta nella nebulosa e incerta domenica bensì nello stesso sabato, nello stesso giorno che stiamo in questo momento vivendo. L’oggi è in realtà l’unico attimo su cui possiamo davvero avere il controllo, l’unica dimensione su cui possiamo agire, probabilmente non sempre con successo, certo, ma è pur sempre la sola possibilità di cui disponiamo.

 

Forse la vera vita è proprio quella dell’hic et nunc, dell’istante contingente, nella consapevolezza che il passato non è più e il futuro non è ancora. Forse dovremmo davvero rinchiuderci nella nostra anima, in quell’anima che è in grado di percepire il tempo, quello stesso distensio animi che, ci insegna Agostino, è altrimenti inattingibile dal corpo. 

 

« È in te, spirito mio, che misuro il tempo. Non strepitare contro di me: è così; non strepitare contro di te per colpa delle tue impressioni, che ti turbano. È in te, lo ripeto, che misuro il tempo. L'impressione che le cose producono in te al loro passaggio e che perdura dopo il loro passaggio, è quanto io misuro, presente, e non già le cose che passano, per produrla; è quanto misuro, allorché misuro il tempo. » (S. Agostino, Le confessioni, XI, 20, 36)

 

S. Bombardieri, "Il peso del tempo sospeso"

 

Tutto si svolge nel nostro intimo, in quello spirito senza il quale non si potrebbe neppure parlare di tempo. Ed è in questo modo che Agostino riporta tutto al presente, all’attimo contingente, alla percezione istantanea. Ecco allora che si dovrà parlare non più del passato, bensì del presente del passato, che consiste nella memoria. Ecco allora che al futuro si sostituirà il presente del futuro, ovvero l’attesa. Ed ecco infine come si individuerà anche un presente del presente, che consiste nella visione, nella percezione dell’istante.

 

« Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell'animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l'attesa. » (S. Agostino, Le confessioni, XI, 20, 26)

 

Forse inabissandoci in noi scopriremmo che siamo abbastanza, siamo sufficienti a noi stessi. Sì, ma siamo sufficienti alla nostra esistenza oppure alla nostra sopravvivenza? Badi bene, sopravvivere, specie di questi tempi non è affatto scontato. Tuttavia, forse, esistere è ben altra cosa. Probabilmente dovremmo riuscire ad apprezzare ciò che siamo, ciò che possiamo attingere da noi stessi, in una pienamente realizzata autarchia (αὐτάρκεια).

 

Forse solo in questo modo potrà emergere quella stella danzante che è la nostra anima. Chissà.

 

2 dicembre 2021

 







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