Disobbedire per essere liberi

 

La disobbedienza civile rappresenta da decine di anni l’estrema soluzione per portare all’attenzione pubblica vuoti e contraddizioni nei sistemi legislativi moderni; per costruire uno Stato che sappia rendere i cittadini veramente liberi. 

 

di Beatrice Rebellato

 

 

La forma di lotta politica che prende il nome di disobbedienza civile si afferma grazie alle parole del filosofo e scrittore Henry David Thoreau, che con il suo saggio breve intitolato Disobbedienza civile (1849) mosse una forte critica ad un governo statunitense sempre più schiavista e violento. Il testo diventò uno dei pilastri della filosofia politica americana e pose delle solide basi per questo tipo di attivismo. Egli si mise in prima linea rifiutando di pagare le tasse che avrebbero sovvenzionato la guerra contro il Messico e per questo motivo fu incarcerato per una notte. Questi suoi atti furono inoltre di grande ispirazione per altri personaggi illustri come Martin Luther King e Mahatma Gandhi. Quest’ultimo incitava i suoi seguaci a non pagare le tasse e a praticare l’obiezione di coscienza al servizio militare, uno dei molti diritti fondamentali, che oggi riteniamo scontati, ma che sono frutto di lotte continue e gravose. 

 

In Italia, ormai da molti anni, siamo stati spettatori di vari atti di disobbedienza civile guidati da alcuni esponenti del partito radicale come Emma Bonino, Marco Pannella e Marco Cappato. Le battaglie di Bonino e Pannella hanno permesso alla nostra generazione di godere di moltissimi diritti come quello al divorzio e all’aborto; la loro filosofia si basa sulla riduzione del proibizionismo, una pratica che conduce solamente alla ribellione e non alla comprensione reale degli errori legati ad alcuni atti. 

 

Marco Cappato invece, ex parlamentare europeo, attua le sue azioni di disobbedienza per la legalizzazione dell’eutanasia e per quei diritti negati da leggi obsolete, che non permettono la soluzione di problemi moderni legati ad esempio alla fecondazione assistita, alla ricerca scientifica e all’uso delle piattaforme sul web. Tuttavia, deve la sua popolarità al caso di Fabiano Antoniani, meglio conosciuto come dj Fabo, un giovane milanese rimasto cieco e tetraplegico dopo un grave incidente stradale. Quando Fabiano si rese conto che ormai per lui non c’era nulla da fare, le cure non funzionavano e i dolori erano sempre più forti, decise di chiedere aiuto a Marco Cappato che lo portò in Svizzera per morire con dignità e insieme alle persone che più lo amavano. Questo portò inevitabilmente delle conseguenze legali, ma una volta arrivato il processo la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale di una parte dell’articolo 580 del Codice penale riguardante il suicidio assistito. Ancora una volta grazie alla disobbedienza civile si è stati in grado di portare, con azioni decise e irreversibili, un caso di contraddizione della legge, che anche lo Stato stesso ha dovuto riconoscere

 

Nel suo libro Credere, disobbedire, combattere, Cappato fa notare come nel nostro paese il numero di leggi sia stimato essere tra le 150.000 e le 160.000: già il fatto stesso che sia una stima dovrebbe essere un campanello d’allarme per farci comprendere che forse non sempre ciò che viene considerato giustizia lo è veramente. La necessità di disobbedire nasce proprio da questo: dalle ingiustizie che ogni giorno siamo costretti a subire a causa di un sistema legislativo impreciso, contraddittorio e pressapochista. Chi sceglie di lottare contro questo sistema lo fa per portare all’attenzione pubblica una delle tante falle delle nostre leggi, che vengono fatte notare per anni in parlamento ma sembrano non ricevere mai la giusta attenzione da parte di politici che non si curano del vero benessere della gente. Dovrebbero essere temperanti e lavorare in funzione di rappresentanti dei cittadini; infatti, come anche Platone specifica nelle Leggi, «le leggi sono giuste perché rendono felici coloro che le rispettano». Come potremmo noi essere felici di avere delle leggi contraddittorie, pensate e scritte per un’epoca totalmente diversa che ormai non rappresenta più la complessa società in cui viviamo? La democrazia viene depauperata quando non sia data la possibilità a tutti i partiti di discutere delle leggi in parlamento; quando si sopprima la voce di una minoranza che reclama i diritti dei cittadini che rappresenta. La legge è quindi ciò che tutti vogliamo, a livello ideale; e ciò che la legittima è il consenso popolare, senza il quale ogni tipo di sistema legislativo sarebbe destinato a crollare. 

 

C’è quindi da chiedersi però cosa renda la disobbedienza civile diversa dalla criminalità, dato che chi la pratica viola consapevolmente una legge. Gli attivisti dopo aver infranto la legge decidono di compiere un gesto fondamentale che è quello di autodenunciarsi ed è ciò che permette loro di differenziarsi dai criminali, intesi come persone che violano le leggi credendo di ottenere un vantaggio personale a scapito del bene altrui.

 

Portando il proprio caso davanti alla giustizia dimostrano come l’accusa non sussista e mettono in evidenza l'urgenza di cambiare la legge al momento in vigore. In caso di successo dunque si crea così un importantissimo precedente al seguito del quale le persone che compiranno la medesima azione non potranno essere condannate in quanto in Italia, fortunatamente, «la legge è uguale per tutti». 

 

Si può quindi affermare che quando ci si consegna alla giustizia non si sta infrangendo la legge, bensì la si sta esaltando. Il problema principale della legge è che è sorda e muta se non siamo noi a ripensarla e ravvivarla; per questo motivo, se la società non riesce più a riconoscere qualcosa nelle leggi, il gesto di infrangerle viola sicuramente il particolare ma punta a celebrare l’universale. Questo rende la disobbedienza civile così importante, permette di portare all’attenzione pubblica una mancanza di diritti, con esempi reali che possano veramente arrivare alle persone per far comprendere le sofferenze e le difficoltà che ogni giorno migliaia di persone devono affrontare per colpa di uno Stato che non dà voce a chi è in difficoltà.

 

 

Vorrei concludere usando le parole di Piergiorgio Welby, politico, poeta, pittore ma soprattutto attivista, che nel 2006 chiese di porre fine alle sue sofferenze causate da un gravissimo stato morboso degenerativo. In questa sua lettera all'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Welby fa un appello disperato, non solo per se stesso, ma per tutte le persone che come lui volevano smettere di soffrire, e volevano farlo sotto la tutela della legge. 

 

« Sono consapevole, signor Presidente, di averle parlato anche, attraverso il mio corpo malato, di politica e di obiettivi necessariamente affidati al libero dibattito parlamentare e non certo a un Suo intervento o pronunciamento nel merito.

 

Quello che però mi permetto di raccomandarle è la difesa del diritto di ciascuno e di tutti i cittadini di conoscere le proposte, le ragioni, le storie, le volontà e le vite che, come la mia, sono investite da questo confronto. »

 

21 maggio 2021

 









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