Corpi che resistono: sul secolo della razionalità infusa

 

Il corpo, materia animata, è il nostro esorcista. Egli è depositario, in questo secolo come mai prima, di un incarico fondamentale: scuotere l’ideazione forsennata della ragione dalle proprie mire espansionistiche per salvare così quel che resta dell’uomo reale, incarnato (embodied). Il corpo, in buona sostanza, è capace di salvare il soggetto conchiuso nella mente protagonista del secolo della nevrosi negazionista della realtà. Il seguente affondo non ha la pretesa di esaurire la vastità tematica del campo di ricerca che si propone di interrogare. 

 

di Claudia Rossi

 

A. Cabanel, "L'angelo caduto" (1847)
A. Cabanel, "L'angelo caduto" (1847)

 

Partiamo da un fatto. La razionalità, in senso lato, rozzo e volgare, ha la fastidiosa ed esuberante pretesa di appropriarsi di tutto lo spazio che c’è. Dal cosmo agli enti, dagli angeli al reale, questa, a mo' di materia oscura logico-concettuale, intesse sovrastrutture che si traducono storicamente in battaglie fra assoluti. Ma in che senso? Il potere dell’idea è trascendente, cerca di imporsi oltre la fisicità facendo ciò che la ragione, in un’opera di fama indiscussa firmata I. Kant, faceva con l’intelletto: indurlo in tentazione intimandogli di illuminare dei domini impossibili da contenere concettualmente.

 

Il dibattito sul potere della ragione che diviene strumentale non si è di certo fermato alle elucubrazioni trascendentali di fine ‘700. La ragione illuminata ha trovato la propria sedia elettrica adornata di guanciali nella descrizione della dialettica negativa che i signori T. Adorno ed M. Horkheimer buttarono giù dopo la Seconda guerra mondiale. Forse lo sterminio scientificamente architettato di parte della popolazione vivente aveva destato qualche interrogativo, seppure non sufficiente ad arginare per tempo la strage. Ma non c’è di certo da meravigliarsi. Qualcosa di simile era già avvenuto tempo prima, durante il Rinascimento, dove erano già ben visibili le tracce di quello che sarebbe stato il progressivo deteriorarsi della materia a favore dell’immagine e dell’icona, dell’idea.

 

Perché l’uomo ha tanta paura dell’oggetto? Ci si chiede. Perché l’oggetto naturale è la materia senz’anima per eccellenza, è ciò che sussiste come inscrutabile, eppure manifesto, sotto i nostri occhi. La paura dell’uomo è quindi primariamente quella della diversità in quanto tale. Le discriminazioni più raccapriccianti prima del XVIII secolo vestivano la forma della condanna e dell’epurazione del non ortodosso, dell’esoterico che veniva oggettificato sotto forma di gatti, donne e streghe. Cos’era questo se non il dare una qualche forma all’occulto suppostamente posizionato dietro al dato naturale? Al nascosto insito nei fenomeni del mondo di cui siamo noi stessi parte?

 

In qualche modo anche i movimenti precedenti al secolo dei lumi portavano il marchio di una sovradeterminazione simbolica dell’oggetto a carico dell’essere umano. E la dialettica attorno a cui si attorciglia questo meccanismo culmina in una consapevolezza spiazzante. L’uomo, infine, non teme tanto l’oggetto senz’anima quanto la sovradeterminazione significativa che egli stesso costruisce attorno a ciò che non può controllare: l’uomo teme se stesso. La concrezione surrettizia di risposte a domande sulle cose oltre la fisica costruite entro il dominio fisico – ora simbolico – della realtà storica è la scintilla da cui divampano gli incendi più infruttuosi del nostro secolo come di quelli passati. Si potrebbe scrivere, per semplificare, che la forzatura sta ed è stata nel voler far corrispondere per forza certe parole a date cose. Quest’ultima postilla non è casuale. Veniamo dunque all’oggi.

 

Cos’è successo dopo? Come siamo arrivati all’oggi, al secolo della post-tecnologia, del tardo capitalismo, dei social-media e della post-ironia memetica? Proprio nel tentativo di emancipazione dalla superstizione e dalla tenebra l’uomo ha finito col cadere nuovamente vittima del suo stesso errore, di una razionalità parossistica. Lo ha fatto portando avanti un’idea di ragione fortemente mitologizzata, in due parole: sovradeterminata simbolicamente. La nostra epoca è quella degli strumenti tecnologici affinati, del Wi-Fi e dell’hot-spot, del predominio della connessione virtuale su quella corporea e spirituale assieme (e sì, perché l’uomo non è mai solo corpo o sola mente).

 

Ma tiriamo la freccetta dritta al centro del bersaglio. Cos’hanno in comune pire su cui bruciare streghe, olocausto, Zuckerberg e Musk? Il web: la grottesca proiezione del pensiero senza corpo. World Wide Web: una ragnatela d’idee capace di racchiudere il mondo intero. Vi suona famigliare?

 

Il passaggio ulteriore nel quale la contemporaneità indulge è quello di una sublimazione del razionale e dello spirituale ancora successiva a quella di stampo illuministico. La nostra epoca è infatti supportata da una strumentazione assolutamente avanzata che consente facilmente la dispersione delle tracce di realtà di cui il mondo è disseminato. La realtà è oggi una una monade senza mondo. Ma vediamo meglio. 

 

Baudrillard nel ’94 si chiedeva se la televisione avesse ucciso la realtà, nei primi decenni degli anni 2000 la domanda riecheggia proiettata su un piano estremamente più intricato. La piattaforma digitale regala l’illusione dell’onnipotenza del pensiero. Rimuove lo spazio e i limiti imposti dalla fisicità per regalare un magma assoluto di antitesi alla materia. Tale antitesi è soprattutto sintesi del complesso e dello sfaccettato operata in virtù delle regole imposte da quello che Zizek definisce come il Grande Altro: la mano visibilissima che opera dietro gli schermi, letteralmente, dell’ideologia contemporanea. Perché se è vero che il soggetto è oggi sempre più nevrotico e scisso fra ciò che è e ciò di cui può dar mostra, è ancor più vero che questo stato di cose ha dotato il Capitale di uno strumento, di potenza e controllo sui bisogni e i desideri delle masse, immane.

 

L’effetto immediato direttamente osservabile di simile logica è che mentre risulta possibile eludere il corporeo in favore del virtuale, il virtuale saprà sfruttare la razionalità umana, così trasposta, come vera e sola risorsa rinnovabile per il sistema di produzione della nostra società. Il social, Internet, la rete di connessioni a distanza sono diventate lo schedario infinito e senza confini spazio-temporali della produzione industriale post-fordista. La contemporaneità cerca di incorporare la metafisica della razionalità alla concrezione della materia andando a plasmare un individuo sempre più scorporato e dislocato da se stesso, traslato, cioè, sul piano metafisico. Metafisica e scienza della natura si scontrano ad oggi fondendo i propri nuclei atomici. Il risultato della fusione paradossale è un soggetto OGM fatto di carne, sì, ma costretto a vivere una realtà che non è più corrispettivo oggettivo dell’idea bensì idea essa stessa, una realtà priva di materia che ingloba entro sé tutta la materia esistente, in poche parole: una realtà virtuale

 

 

La metafisica della razionalità oggi altro non è che l’illusione di poter esistere non esistendo, negando cioè tutti i connotati tipici della realtà materica in virtù della dimensione algoritmica, sempre più capace di imitare ed osservare bisogni e necessità del nostro spirito. La definizione esatta di questo nuovo piano metafisico e al contempo creaturale si sostituisce alla triade della metafisica classica (Io, Mondo, Dio), e descrive oggi il soggetto senza mondo che auto-proietta i propri desideri, le proprie aspettative e speranze su uno schermo in parziale armonia e totale condivisione con altri soggetti simbolici. Il connotato tipico di questa nuova realtà metafisica è infatti un florilegio di autodeterminazioni simboliche, un corollario cioè di ideologie, credenze e mistificazioni che la razionalità individuale proietta senza sosta su altri Io presenti solamente come fantasmi nell’arena della medesima realtà senza mondo.

 

Come se la realtà non bastasse più, coi suoi limiti e le sue risorse esauribilissime, il giogo delle merci ha finito per trovare casa negli schermi di un cinema aperto 24h su 24. L’algoritmo fa ormai inesausta incetta di quanto sia possibile desiderare fra il corollario di merci disponibili per poi vomitarne una continua televendita, talvolta lapalissiana talvolta impersonata da reels e post apparentemente ludici e trasparenti. Le colonne d’Ercole dello spirito umano, oggi così architettate, finiscono per essere le stesse che sorreggono i meccanismi della produzione delle merci mondiale. Si tratta della sottomissione dello spirituale immanente (incarnato, cioè, in un corpo) ai meccanismi ineffabili del consumo, del marketing e della comunicazione post-capitalistica; niente di nuovo insomma, se non fosse che questa sottomissione riesce a penetrare in modo estremamente più efficace, capillare e sottile per mezzo del piano virtuale.

 

Perché? Perché il web è metafisico, è al di là della tridimensionalità dello spazio e della caducità della carne. Paradossalmente, se non vi fossero più merci, resterebbe sempre qualcosa da desiderare. Il movimento, però, non è unidirezionale, ed è l’aspetto che preoccupa di più. Questa dialettica intrusiva, che incoraggia la sovrapposizione del virtuale con il reale, vede internet stesso ergersi a demiurgo creatore dei contenuti di cui poi sarà invasa la realtà e materiale e simbolica. Parafrasando: non solo internet apprende, atterrando sulla terra come una specie di sonda ultraterrena, quando e dove battere il ferro affinché resti caldo, ma, dopo l’apprendistato, inizia proprio ad istillare ragioni e moventi di volizioni originariamente umane.

 

Ma il corpo, infine, torna a manifestarsi.

 

Il corpo in questo senso ci richiama alla realtà, alla fisicità. Nel nostro tempo, che è quello delle nevrosi e delle psicosi, assistiamo alla progressiva abitudine alla dissociazione del corpo dalla mente. Nel Seicento Descartes parlava di res cogitans e res extensa ponendo le basi della filosofia moderna. Anni di pensiero hanno smentito questa visione bipolare dell’uomo ripristinandola ad un livello esclusivamente formale. Il corpo, in effetti, somatizza. Nevrosi e psicosi, con le loro manifestazioni, altro non sono che la sedimentazione tangibile di un vissuto inespresso o inesprimibile, spesso traumatico.  Il dominio della razionalità odierna si estrinseca attraverso una tecnica estremamente avanzata che riporta sotto differenti forme gli schemi sociali ed economici, primariamente economici, dell’attuale società dei consumi. L’attenzione da porre a questo passaggio è massima. La sfera del virtuale è ormai diventata l’arto fantasma del soggetto contemporaneo. Si comporta come un enorme Cloud di immagazzinamento dati in grado di sostituirsi al pensiero individuale stesso. L’individuo oggi delega, inconsapevolmente, da soggetto passivo, il contenuto del proprio pensiero ad un apparato collettivo più grande capace di fornire senza sosta la risposta alle questioni contingenti della storia. Non c’è più il soggetto cartesiano diviso fra mente e corpo, ci sono tanti individui corporei facenti capo ad una sola, unanime, razionalità infusa.

 

Questo fenomeno ci parla di un soggetto dissociato da se stesso, anzi, dislocato e indifferenziato. La mente che abita il nostro corpo, cioè, è altrove. La strategia dissociativa è la cifra caratteristica dei meccanismi di difesa psicologica, in questo caso, invece, appare lo strumento di cui si serve il carnefice per manipolare la propria vittima. Le ripercussioni psicologiche sull’individuo sono lungi dall’essere vanificate. Ciò di cui l’uomo contemporaneo ha bisogno è il pensiero del corpo, un pensiero, cioè, abituato ad una qualche forma di pedagogia che lo incorpori saldamente alla propria struttura neuronale. Ci stiamo abituando alla dissociazione dell’io dal corpo fisico. La fenomenologia di questo meccanismo annovera nel suo corollario patologie psichiche come la depressione o la sindrome da Burnout. L’OMS ha definito simili patologie come conseguenze sintomatiche dell’esposizione continuativa a situazioni stressogene correlate al lavoro. Nella sintomatologia rientra, non a caso, la depersonalizzazione, una specie di alienazione dell’individuo da se stesso attuata come strategia di sopravvivenza a situazioni di forte fatica psichica. Durante l’orario lavorativo sono moltissime le persone costrette ad impiegare la maggior parte del tempo della loro esistenza in attività che sono totalmente altre rispetto alle inclinazioni della loro essenza individuale. Ma cosa succede al soggetto se la dissociazione perdura anche oltre l’orario lavorativo?

 

La domanda va secolarizzata. Non ci troviamo più, ad oggi, a disquisire sull’alienazione del lavoratore discussa e tematizzata da Karl Marx, di cui dovremmo tutti ormai avere un’idea. L’alienazione dell’individuo contemporaneo è conseguenza di un’ipnosi estremamente subdola, certamente meno fluorescente della vendita della propria individualità al lavoro in fabbrica. Terminato l’orario lavorativo non torniamo a noi stessi, alla nostra originalità radicale, continuiamo ad ingrossare le fila del mercato internazionale, ad essere soggetti consumati, consumanti e consunti. Il contratto a tempo indeterminato che inconsapevolmente abbiamo firmato è quello con un feticcio, ancella del Capitale, che trova casa proprio dentro al nostro smartphone e che ci segue in ogni nostra espressione verbale o volizione alimentando la nostra dipendenza. A processo di spersonalizzazione e consunzione neuronale ultimato, ciò che resta è un corpo disanimato, affetto, inespresso, inascoltato e, infine, dissociato dal sé più proprio.  La chiusura apocalittica è voluta.

 

3 maggio 2023

 




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