Il gioco delle tre boe

 

di Michele Rossi

 

 

In vista delle elezioni europee del 9 giugno, pochi guizzi della politica interna sono esilaranti come la centrifuga dei liberali nostrani. Alle idi di marzo viene infatti lanciata la lista “Stati Uniti d’Europa”, agguerrito manipolo di renziani, socialisti e “+Europeisti”. Le testate mainstream esplodono di giubilo; i maligni malignano: difficile pensare a qualcosa di diverso dalla classica fusione a freddo alimentata dalla paura di non superare l’asticella del 4% – ed è quantomeno curioso che le bordate lanciate quotidianamente dai grandi media contro l’alleanza PD-5Stelle si trasformino in fuochi d’artificio per una simile accozzaglia. Ma tant’è.

 

Neanche il tempo di stappare lo champagne e zittire le malelingue, che già iniziano i guai: a poche ore dall’accordo di lista, Pizzarotti – già sindaco grillino di Parma – lascia dopo un annetto la carica di presidente di +Europa e in poche ore si trasferisce armi e bagagli nel partito rivale, Azione di Carlo Calenda. Quest’ultimo, ovviamente, gongola per la deflagrazione in casa Bonino, con la quale al contempo non ha mai escluso un’alleanza per le europee. Tralasciando quest’ultimo scenario degno dei migliori cabaret, con Pizzarotti che si ritrova alleato del partito mollato poco prima sbattendo la porta, forse possiamo trarre qualche lezione dai continui rimescolamenti del mare minutum dei liberali all’italiana.

Qualcuno potrebbe scandalizzarsi fino a un certo punto: si tratta dei soliti voltafaccia e trasformismi che caratterizzano da sempre la politica italiana in generale – e il cosiddetto “Terzo Polo” in particolare.

Un ridicolo gioco delle tre boe nel quale i volti più noti, sospinti dalle dolci brezze delle testate di riferimento – Linkiesta, Formiche, il Foglio, ecc – non fanno altro che galleggiare da una forza all’altra occupandone i centri nevralgici, alla faccia delle migliaia di militanti che a quei centri aspirerebbero, con ragione, da anni.

“E’ la politica”, si dice: “funziona così dappertutto”.

 

Eppure c’è forse qualcosa di più, in questo gioco a somma zero, che apre uno squarcio sulla politica per come dovrebbe essere intesa in un approccio “liberale”.

Facciamo un gioco: cerchiamo le differenze tra le visioni politiche di Azione, +Europa, Italia Viva. Possiamo provarci e riprovarci, analizzando i programmi nel dettaglio, ma niente: i valori, le idee, le misure e gli obiettivi politici restano i medesimi.

Tolte le antipatie personali, non c’è nessun ostacolo politico alla realizzazione di un unico Polo “liberale”: tutte le formazioni sono al fianco di Israele nello sterminio in corso a Gaza e a favore della spedizione di armi all’Ucraina sine die; sono tutte pro-Nato e pro-Europa (qualunque cosa significhi); sono tutte invaghite di Milei; sono tutte per ridurre l’intervento dello Stato in economia e tutte visceralmente anti-grilline e anticomuniste.

Potremmo pensare, quindi, che la divisione in partiti e la polverizzazione del già esiguo bacino elettorale sia un’anomalia… e se invece incarnasse la vera modalità in cui la mentalità liberale intende la dialettica politica?

 

Perché, sì, superficialmente pensiamo il modello liberale come “pluralista”, cioè aperto a tutte le visioni politiche; e se, invece, fosse il contrario? Se ciò che caratterizza il pensiero politico liberale fosse innanzitutto un’omogeneità economico-sociale di fondo che esclude tutto ciò che è diverso e altro rispetto a sé?

Prendiamo uno dei fondatori del pensiero liberale: John Locke. Nel Secondo trattato sul Governo, dopo aver speso pagine e pagine a dimostrare la sacralità della libertà individuale, mette le mani avanti: nello Stato liberale tutti gli individui hanno cittadinanza, certo, tranne gli atei; e tutte le religioni sono ugualmente plausibili, ma il cristianesimo resta comunque la più ragionevole.

Pluralismo quindi, per carità, a patto che si rimanga nei binari della ragionevolezza.

Quella stessa, vaga ragionevolezza che nel Novecento permette a Popper di difendere la “società aperta” liberale contro “gli intolleranti”, unici individui verso cui è permessa la censura e l’allontanamento.

Ma cosa succede a chi mostra intolleranza verso le politiche guerrafondaie e coloniali, le alleanze imperialiste, le storture di un sistema economico sempre più brutale?

In fondo, è ciò che oggi si denuncia nel finto pluralismo dell’informazione occidentale.

Le visioni alternative sulla guerra in Ucraina, sulla NATO, sull’Unione Europea e sulle politiche sociali non vengono censurate – mica siamo in URSS! – ma ridicolizzate, isolate e bastonate dalla stragrande maggioranza dei mezzi d’informazione guidate da più o meno nobili interessi editoriali di bottega.

 

E se fosse proprio questa la politica che i liberali nostrani, sotto sotto, bramano?

Una sorta di società ristretta, un club in cui tutti la pensano allo stesso modo e la scelta degli elettori tra proposte politiche indistinguibili sia basata sulla simpatia e l’antipatia per il politico di turno?

Nell’attesa di convincere la maggioranza dei cittadini che nulla distingue il pluralismo liberale da Babbo Natale, da Belzebù o dagli gnomi con la pentola d’oro, continuiamo a goderci il gioco delle tre boe, sperando che non finiscano i popcorn prima del 9 giugno. 

 

 

18 aprile 2024

 




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R. Sasso, Politica e rappresentanza 






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