Limitarismo

 

In un tempo in cui le disuguaglianze economiche sono sempre più in aumento, il limitarismo concentra la proprio riflessione sulla necessità di porre un limite all'accumulo di capitale. 

 

di Antonio Spoletta

 

 

Il Sole 24 Ore nel maggio del 2016 riportava lo studio di due economisti della Banca d’Italia, Sauro Mocetti e Guglielmo Barone, capace di stupire sia gli autori che i lettori. Lo studio in questione affermava che le famiglie più benestanti di Firenze fossero le stesse dal 1427, una ricchezza tramandata per sei secoli. Lo scalpore fu tale che anche il Wall Street Journal si interessò al caso, eppure questo non si tratta di un caso isolato: basta osservare i dati del Global Social Mobility Index per comprendere che la problematica è molto più ampia. Il Global Social Media Index è un indice di mobilità sociale fondato su diversi parametri, l’Italia si posiziona trentaquattresima su ottantadue paesi, dietro alla quasi totalità dei paesi considerati occidentali. Inoltre, più recentemente, come sottolineato dal Corriere della Sera, si rivela incessante l’incrementarsi delle disparità. 

 

« le consistenze patrimoniali nette dell’1% più ricco, titolare, a fine 2022, del 23,1% della ricchezza nazionale, erano oltre 84 volte superiori alla ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana. »

 

Considerando questi dati è lecito domandarsi quanto sia etico il divario economico che affligge la nostra società; a porsi tale quesito vi è tutta una corrente filosofica, il limitarismo, ed in particolare la professoressa Ingrid Robeyns soprattutto nel saggio Having too much. La domanda da cui parte la riflessione della Robeyns è chiara, ciò non toglie che vi siano diverse implicazioni che si celano all’interno di essa.

 

« But can we also say that there are situations in which someone has too much? »

 

 

In un sistema economico come quello vigente, fondato sulla produzione incessante di nuove ricchezze, di crescita del capitale, una domanda come questa sembra non essere sensata. Nei principi cardine del liberalismo infatti non è contemplata una ricchezza che possa considerarsi eccessiva: aumentare il capitale, secondo questa visione, non giova esclusivamente all’individuo ma a tutti tramite i collaudati meccanismi della nostra economia, gli investimenti faranno sì che i soldi accumulati si ridistribuiscono man mano a tutti i componenti della società. Questo assoluto di cui si nutre il nostro immaginario comune andrebbe largamente criticato, proprio in virtù del fatto che la maggior parte della ricchezza non è frutto di grandi capacità imprenditoriali bensì di eredità, rendendo dunque il ceto più alto della nostra società una sorta di piccola cerchia dinastica; bisogna appunto osservare come la crepa fra sempre più ricchi e sempre più poveri, di decennio in decennio, non accenni a fermarsi mostrandosi sempre più insanabile. L’opinione comune sviscerata nei saggi all’interno della raccolta Having Too Much è volta a dare un chiaro limite all'accumulazione del denaro e non solo: il limitarismo si pone in difesa di alcuni “beni scarsi”, che alcune logiche di mercato per il profitto violentano continuamente, scagliandosi dunque contro l’utilizzo dei gas serra e la deturpazione dei biosistemi. Il limitarismo è una visione di giustizia distributiva che giudica eticamente inammissibile possedere più risorse rispetto a quelle necessarie per prosperare nella vita. Tale visione può assumere diverse declinazioni, infatti  si rivela compatibile con altri paradigmi, e in aggiunta a seconda del pensatore vengono modificati i parametri che devono essere tenuti in considerazione per stabilire la soglia massima di patrimonio che sarebbe lecito detenere. In alcun modo gli autori, ed in particolare Robeyns, hanno tentato di istituire una teoria ideale; la difficoltà di instaurarla ed i limiti annessi a questa hanno fatto sì che le riflessioni concernano la ricchezza ed il reddito senza impantanarsi nella spinosa scelta su quale sia la più giusta delle ridistribuzioni.

 

 

Il limitarismo nasce da una duplice esigenza, una di carattere accademico e l’altra figlia del dibattito pubblico. Sono ormai diverse le rimostranze che vengono mosse a coloro che possono vantare redditi elevati: il rivolgersi sempre al ceto medio-basso in tempo di crisi ha stancato la popolazione che chiede sempre più una tassazione maggiore per i redditi maggiori, particolarmente acclamate in Spagna, ad esempio, sono state la “tassa di solidarietà” e i prelievi fiscali sopra i 200.000 euro attuati dal governo. Per quel che concerne l’ambito filosofico si sprecano le teorie di giustizia sulle diseguaglianze o ancora correnti come il sufficientismo, teorie incentrate sulla povertà, su come definirla e contrastarla. Nel palcoscenico filosofico è una novità assoluta invece concentrarsi e delimitare i ricchi e la ricchezza da loro detenuta. Una teoria come questa per essere applicata ha bisogno di ottime giustificazioni, il passo successivo della Robeyns è trovarle nel funzionamento democratico, minato proprio da questa logica di accumulazione; non si tratta certamente dell’unica giustificazione alla quale ricorrere ma indubbiamente si mostra la più solida. Il cosiddetto argomento democratico risiede nella grande capacità delle persone più ricche di influenzare la politica interna ma anche estera, celebre la scelta di Elon Musk di spegnere la rete di comunicazione satellitari per evitare un attacco ucraino, a sua detta in modo da prevenire un escalation del conflitto russo-ucraino. Thomas Cristiano, professore universitario dell’università dell’Arizona, delinea quattro tipi di meccanismi con i quali il denaro influenza i vari sistemi politici ed ai quali la Robeyns si rifà: 1) i ricchi hanno la possibilità materiale di finanziare i partiti politici e i singoli, potendo dunque ottenere in cambio un trattamento speciale, sostegno alle proprie cause, favoritismi generici, senza inoltrarsi nella possibilità di comprare direttamente voti; 2) maggiore capacità di influenzare l’agenda politica, le decisioni prese, il candidato del partito; 3) condizionare parzialmente o totalmente il dibattito pubblico tramite il controllo o l’influenza esercitabile sui media e, di conseguenza, sulle informazioni e gli argomenti alimentando o tacendo il dibattito stesso; 4) tramite i finanziamenti per la ricerca e dei think tanks possono investire sul cambiamento ideologico a livello sociale, economico e politico, Daniel Stedman Jones dimostra ad esempio come e quanto sia stato importante per lo sviluppo del neoliberalismo l’utilizzo di fondi privati investititi in questo campo. Risulta chiaro dunque evincere come sia semplice tradurre il denaro in potere politico.

 

Il limitarismo, nonostante i buoni propositi e le basi solide da cui parte, rimane una teoria limitata in quanto al di sotto di questo troviamo un movimento di autori che, differendo sulla soglia oltre il quale la ricchezza diventa eccessiva, trovano difficoltoso applicare il principio di una teoria, seppur interessante, nella nostra realtà economica.

 

 

XX febbraio 2024

 




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