Filosofia dei Talents

 

«I veri problemi della vita non hanno soluzione, ma storia», come ci suggerisce Nicolas Gomes Davila in Tra poche parole. Ed ecco una breve storia filosofica dei Talents, cinque giovani padovani nello spettro autistico che provano ad abbattere le barriere tra disabilità, lavoro e vita attraverso il gioco, l’umanesimo, l’arte, la letteratura e i Lego. È un viaggio – modesto e contenuto nei numeri –  che suggerisce però la capacità che può avere la filosofia di tenere insieme i pezzi, liberando piccoli frammenti di coraggio, di «sapere aude», come ci insegna Orazio nelle Epistole

 

I Talents con D. Marini
I Talents con D. Marini

 

Vi racconto la storia dei Talents, cinque giovani nello spettro autistico. È una storia che dura da tre anni e mezzo. Una come tante per chi bazzica il mondo del sociale e della cura, ma l’esperimento che faccio qui è pensare a come suggestioni e distillati di filosofia abbiano incrociato il percorso di Enrico Balestra, Nicola Barzon, Ludovico Lancia, Enrico Ortile e Alessandro Padrin. I Talents, appunto. 

 

Prologo

Dal 2019 seguo la comunicazione di una rete di cooperative sociali in Veneto, si va da quelle di tipo A – per disabilità grave – a quelle di tipo B, dove almeno il 30% di lavoratrici e lavoratori è con disabilità. Fra il primo e il secondo lockdown il SIL (Servizio Integrazione Lavorativa) dell’Ulss 6 di Padova chiese se potevamo seguire tre ragazzi autistici in un progetto sperimentale. Volgarizzo: i progetti sperimentali sono delle palestre per persone non così gravi da essere seguite da una cooperativa di tipo A, ma le cui chance di inserimento lavorativo appaiono perlomeno complesse. Erano Enrico Balestra, Ludovico ed Enrico Ortile. Nicola e Alessandro sarebbero arrivati nel 2021. L’obiettivo era far fare loro qualcosa col computer, un po’ di fotocopie, qualche scansione, data entry. Ci provai, cercai di stimolarli, attaccai tanti post-it e li feci attaccare a loro. Ci siamo cimentati con qualche software, con risultati anche discreti. 

 

Svolta socratica

Ma mancava qualcosa, erano passivi, non c’era energia. E così ho pensato a Socrate, all’arte della maieutica, al «diventa ciò che sei». Ho lasciato perdere i post-it e ho chiesto loro se avevano delle passioni, se amavano qualcosa: "Ditemi che non siete un guscio vuoto", come si liquidano spesso le persone nello spettro. Il giorno dopo Enrico Balestra si è presentato con un super Mario della Nintendo realizzato con i Lego, Ludovico con un libro che aveva pubblicato con Cleup, Jack e gli amici introdotto da una saggio sulla presa in carico di un giovane con sindrome di Asperger, Enrico Ortile mi ha fatto leggere un racconto pulp con delle freddure ironiche brillanti e ficcanti. 

 

Credo sia stata la svolta, Socrate aveva ragione. E aveva ragione pure Simone Weil quando scriveva che «l’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità» (Corrispondenza), e con lei Marguerite Yourcenaur «il vero luogo natìo è quello dove per la prima volta si è posato uno sguardo consapevole su se stessi» (Memorie di Adriano). Quel giorno abbiamo deciso che "avremmo frequentato attenzione e sguardi consapevoli", che li avremmo visti per ciò che erano e non per ciò che dovevano essere. Abbiamo riletto la favola della rana e dello scorpione, ci siamo affidati alla loro natura. 

 

E. Ortile, L. Lancia, N. Barzon, A. Padrin
E. Ortile, L. Lancia, N. Barzon, A. Padrin

 

Fortuna e determinazione autistica

Appena due giorni dopo la svolta ha fatto capolino la fortuna, perché in fondo – per dirla con Dostoevskij parafrasato da Woody Allen – nella vita «preferisco avere fortuna che talento» (incipit di Match Point). Così mi imbattei nella notizia di una nonna tedesca – Rita Ebel – rimasta in sedie a rotelle dopo un incidente: realizzava rampe di Lego riciclati per abbattere le barriere architettoniche. Le scrissi su Facebook, lei ci inviò le istruzioni per realizzare le rampe, proponemmo il progetto ad Enrico Balestra, disse di sì. E il suo fu un sì determinato e costante, animato da un pensiero che Heidegger definirebbe «incessante e appassionato» (L’abbandono). Un «santo dire di sì alla vita», quello del fanciullo di Nietzsche nelle tre metamorfosi (Così parlò Zarathustra). Quel sì, quel pensiero semplice ha dato continuità alla storia, ne è stato il filo: «Abbiamo bisogno di Lego, abbiamo bisogno di Lego». Enrico non mollava, ha imposto una priorità, ha scandito il discorso: «Capisco il lavoro, capisco le guerre, capisco il Covid e la crisi energetica, capisco tutto, la gente ha sempre tante preoccupazioni, io sono una persona molto gentile, ma i Lego? Perché non ci donano i Lego?» 

 

Eravamo in un luogo di lavoro e stavamo giocando, dovevo ragionare sulla comunicazione e sul tentativo di capire se i Talents avrebbero mai avuto delle chance di occupazione e rincorrevamo i Lego. E mentre rincorrevamo i Lego, aprivamo le porte a tutto, accettavamo che i Talents potessero esprimersi a partire dalle loro passioni, dall’energia che covavano, dal loro immaginario di videogiochi, canzoni dei cartoni animati, Disney e serenità e purezza e spensieratezza di un’infanzia perduta. Ci raccontavamo – sempre abusando di Heidegger – che la verità è «non nascondimento» (Sull’essenza della verità), e la nostra ricerca con loro era un viaggio di verità, dovevamo togliere le oppressioni di un mondo che non li capiva, che li voleva guidare come marionette «perché bisogna produrre», e abbiamo provato a costruire contesti liberanti, contesti di «non nascondimento», contesti di verità. E quindi si è creduto nel talento letterario di Ludovico, presentando il suo libro in decine di situazioni; si è lasciato che il caos e la gioia di Nicola si esprimessero ispirando una graphic novel, Kairòs (Brenta Piave Edizioni), e si è deciso che non ci sarebbe stata nessuna omissione di cultura, e con lui non si sarebbe parlato solo di calcio, ma anche di letteratura e di Kubrick; si è pubblicato un libro con i racconti di Enrico Ortile, «Anch’io so stare al mondo» (Brenta Piave Edizioni), frase che ha pronunciato dopo aver fatto la pizza per la prima volta con le sue mani; e si è lasciata correre l’ispirazione di @bluepandora02, ovvero Alessandro, con le sue opere sgargianti disegnate su tablet e stampate su cartone riciclato, esposte in diverse mostre, arriveranno al Pedrocchi a gennaio del prossimo anno. «Grazie a questo percorso ora non ho più paura del futuro», ha detto Alessandro.

 

Il fiuto dei cani

"Conoscete chi siete, diventate ciò che siete". Avevamo solo risorse filosofiche, poco altro, ma qualcosa è accaduto. Mondi giovanili si sono avvicinati, sguardi consapevoli si sono posati. Nell’estate del 2022 i Talents hanno conosciuto Damiano Marini, atleta paraolimpico, campione italiano di handbike. Damiano si è innamorato dei Talents, delle rampe, del design urbano a base di Lego, i colori, la diversità, la disabilità motoria aiutata dalla disabilità intellettiva, l’economia circolare del riciclo dei mattoncini. Questo incontro ha moltiplicato gli incontri, le rampe nel 2023 hanno fatto tappa a Roma, Bruxelles, Milano, Belluno, Venezia, ogni giorno arrivano chiamate da tutta Italia, solo nelle ultime settimane Roma, Potenza, Napoli, Bergamo, Crema, Parma, Piacenza, Mantova, ovviamente tutto il Veneto, e così i Talents fanno cose, per l’Hospice Pediatrico, per i Musei dell’Università di Padova con More Than Words. I sogni a base di Lego hanno trovato spazio anche in uno spettacolo teatrale, «La banca dei sogni», andato in scena al Teatro Maddalene di Padova dal 5 al 10 marzo: e il teatro, che c’entra col lavoro? Ma ci fidiamo di ciò che annusiamo e di come veniamo annusati, e di Gadamer che definiva la noesis di Platone il «fiuto dei cani» (La responsabilità del pensare). La filosofia, ancora

 

A legare, a dare colore e calore ci sono i frammenti quotidiani; una mamma ci ha detto: «A mio figlio autistico dicono sempre che è stupido, come dicevano a te Enrico che eri ciccione e stupido, lui ama i Lego, vorrei le persone capissero che può fare qualcosa», e un’altra: «Vorrei che mio figlio, 14 anni, disabile, avesse l’occasione di esprimersi, di tirare fuori quello che è»

 

E. Balestra a teatro
E. Balestra a teatro

 

L’angoscia del «there is no alternative»

Resta la domanda di fondo: che sarà di noi, di loro, di chi è neurodiversə, biodiversə rispetto alla sedicente normalità? Tutto questo cinema, tutta questa poesia, tutto questo gioco a cosa porterà? Aver liberato i Lego, l’arte, la scrittura, aver dato spazio all’espressione e all’ispirazione, non aver nascosto la loro verità a cosa porterà? È stato giusto buttarsi in questa vita? Si sono create delle aspettative? Questa è "una vita in vacanza"? È bella la commozione delle persone, è fantastico l’ingaggio dei Comuni e delle scuole, ma basterà? Quando la Tecnica presenterà il conto, che sarà di noi? Bambine e bambini ci dicono: «È pazzesco, avete trasformato una passione in qualcosa che aiuta le persone» ma quanto può durare? Perché si fanno solo le cose che durano? Enrico Ortile in una scuola ha detto: «Hanno provato a fermarci, ma li abbiamo zittiti». Poi ha chiesto scusa: troppo diretto, troppo forte, ha continuato: «io non voglio mancare di rispetto».

 

Nulla di nuovo, questa è la solita dialettica di buon senso e senso comune, dialettica spesso banale, nota, scontata: «La realtà è un’altra, there is no alternative, bisogna pensare a un lavoro vero». Il «lavoro vero», questa parola magica. Il «lavoro vero» che ci fa pensare alla distinzione fra lavoro e opera in Hannah Arendt (Lavoro, opera, azione. Le forme della vita attiva). Il lavoro che vorremmo fosse autonomia e possibilità di impatto nel mondo, intrecciando necessità e potenzialità. 

 

Eppure, al netto del sermone e delle critiche da parte della sedicente "realtà", le rampe di Lego sono diventate una chiave per aprire cervelli e cuori sui temi dell’inclusione come risposta, come programma per calare a terra le parole e le suggestioni. Quando tutta la storia è iniziata dovevamo fare "qualcosa col computer" e un po’ di comunicazione, e in fondo se fossimo andati da una super agenzia di marketing con il piano più cool del mondo avremmo speso un sacco di soldi e non avremmo portato a casa gli stessi risultati per le cooperative sociali della nostra rete. Sono state abbattute tante bolle, e abbiamo raccontato nei luoghi più disparati e trasversali Habile, il nostro programma per l’inserimento lavorativo di persone con disabilità che stiamo portando anche nelle aziende profit, per costruire percorsi che facciano crescere l’inclusione e abbattano le barriere fra disabilità e lavoro, tra fragilità e occupazione. All’inizio la biodiversità sembra complicare la vita (e la complessità c’è). Ma è il contesto che rende spesso una persona più o meno disabile. E quindi la complessità può diventare opportunità e possibilità trovando il lavoro lì dove sembrava poco visibile e molto impossibile.

 

Il pensiero incessante e appassionato

Ci abbandoniamo a una sensazione profonda, che ci consente forse di chiudere il cerchio della filosofia e del lavoro, della filosofia e dei Talents, del pensiero unico contro un pensiero fondato sulla neurodivergenza, della leva obbligatoria di massa del tardo capitalismo globalizzato  e in crisi climatica estrema – e la domanda di felicità di cinque ragazzi. La sensazione profonda è che l’umanesimo, l’arte, la poesia, il pensiero, la letteratura possano spingere alcuni processi economici a modificarsi, a cambiare, a farsi delle domande di senso oltre la tecnica e l’algoritmo. Invitano a ragionare, a cercare significati, a portarci dentro un tempo che non è solo bulimia informativa e smarrimento. L’umanesimo rompe inerzie e porta a comunità più solidali, oltre l’epidemia delle solitudini. Ed è forse questa la risposta all’angoscia delle famiglie: «Che sarà dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze dopo di noi?»

 

Potrebbe essere una comunità solidale. Che include dentro di sé tutta quella varietà – dolce salata faticosa –che è l’umanità. Ed è un’umanità che solo il Pensiero e l’ossessione della verità possono liberare.

 

Ancora: tutto questo è folle? Tutto questo è esagerato? Ha scritto Proust nel terzo volume della sua Recherche:

 

 

 

«Conoscerete la storia di quell'uomo che credeva di tenere in una bottiglia la principessa della Cina. Era una follia. Lo guarirono. Ma da che smise d'essere pazzo, diventò scemo. Ci sono mali da cui non bisogna cercar di guarire perché solo essi ci proteggono da mali più gravi» (Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, I Guermantes).

 

 

Quindi non vale la pena guarire, non conviene farsi guarire, e quindi uniformare. Nell’ostinazione autistica di questi giovani a voler essere se stessi – che poi, fatto non banale: possono essere altro? – sta forse un elemento di resistenza umana che per qualche istante salva dal flusso del pensiero unico, dagli automatismi, dalle abitudini, che ci butta dentro verità e tenerezza.

Langer diceva:

 

« Lentius, profundius, suavius, più lento, più profondo, più dolce. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo » (Convegno giovanile di Assisi del 1994). 

 

Il fiato della filosofia. E del nostro Esserci autentico nel mondo.

 

15 marzo 2024

 









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