Il complesso di Edipo, creazione freudiana riferita al passaggio dalla simbiosi materna con il piccolo, fino alla successiva separazione, ha avuto a lungo, e ancora mantiene, un posto di rilievo nell’interpretazione psicoanalitica dei comportamenti maschili, dall’età evolutiva in poi. Dopo Freud, Gustav Jung ipotizzò l’esistenza di un corrispondente femminile, che chiamò complesso di Elettra, caratterizzato da un'attrazione inconscia delle bambine verso la figura paterna. La fase in cui entrambi si manifestano, in modo più o meno evidente, è la stessa: dai tre ai sei anni. È un range temporale relativamente ampio e certamente determinante per la crescita psico-affettiva del bambino.
di Francesco Marcello
Il rapporto con la madre è ritenuto fondamentale, da molti studiosi, nel processo di conquista dell’autonomia da parte degli adolescenti maschi. Margaret Mahler (1897 - 1985), ha dedicato buona parte dei suoi studi alla comprensione del processo di separazione-individuazione nell'infanzia, ovvero il graduale emergere del sé del bambino, come entità distinta dalla madre. Secondo la Mahler l’adolescenza rappresenta una seconda, e più profonda, fase di separazione-individuazione, in quanto il distacco non è solo fisico ed emotivo ma riguarda anche la costruzione di un’identità sessuale autonoma.
Analizzando il problema da un punto di vista storico e filosofico, vediamo che la figura materna è centrale in quasi tutte le civiltà. Massimo Cacciari, con “La Passione secondo Maria” (il Mulino, Bologna 2024), ha inteso valorizzare il ruolo della madre di Dio, cruciale nella teologia e nell’iconografia religiosa, ampliando la visione della devozione occidentale e proiettandola in una dimensione filosofica. Cacciari con quest’operazione tenta di andare oltre una tradizione dove persino nell’idealismo di Hegel e Schelling la figura di Maria viene considerata in termini secondari.
Scorrendo la biografia del grande “nemico” di Hegel, Arthur Schopenhauer, si può ricavare qualche altro interessante indizio sul ruolo materno, nella maturazione dell’adolescente. Nell’aprile del 1805 Heinrich F., padre di Arthur, morì per un incidente, si affacciò, tuttavia, l’ipotesi di un suicidio per l’insofferenza che questi nutriva verso la moglie Johanna Henriette Trosiener. La signora Schopenhauer era una donna intelligente, amante dei salotti, scrittrice di romanzi e aveva un carattere fiero ed energico. Era testarda nelle dispute coniugali e possessiva nei confronti del figlio Arthur, che spesso litigava con lei. Fu certamente lei ad avviarlo allo studio della filosofia, ma Arthur aveva fatto una promessa al padre: seguire l’azienda di famiglia e per un po’ di tempo cercò di rispettare questo impegno morale che presto divenne un vero conflitto interiore. Aveva solo 17 anni, era nel pieno dell’adolescenza.
David Cartwright e Rüdiger Safranski, sono considerati i due più grandi biografi di Schopenhauer, entrambi riferiscono un conflitto crescente tra madre e figlio. Cartwright, analizzando il loro carteggio epistolare, riferisce la frustrazione di Johanna per il carattere «insopportabile e oneroso» del figlio, la sua "presunzione" e la sua "propensione” a trovare difetti negli altri. Un episodio particolarmente significativo, citato da Cartwright, riguarda la rottura quasi definitiva tra madre e figlio, avvenuta nel 1813, quando Arthur aveva 25 anni. Secondo Cartwright, Schopenhauer incolpava la madre per la morte del padre e questo suo risentimento profondo lo accompagnò per tutta la vita.
Cartwright suggerisce implicitamente come le complesse dinamiche familiari possano aver plasmato la visione del mondo del filosofo di Danzica, inclusa la sua prospettiva pessimistica e le sue visioni spesso critiche sulle donne.
Questo non significa che il rapporto tra il giovane Arthur e la madre sia la chiave di lettura cruciale delle riflessioni filosofiche di Schopenhauer, in grado quindi di incidere sulla rappresentazione della «volontà come forza cieca ed irrefrenabile, deterministica e totalmente irrazionale», come lui la intese. Secondo il filosofo tedesco Rüdiger Safranski, il pessimismo di Schopenhauer non è solo una caratteristica personale, ma una diretta conseguenza della sua metafisica della Volontà. Se la Volontà è un'energia irrazionale e insaziabile, la vita stessa è un susseguirsi di desideri che non possono mai essere pienamente soddisfatti, portando inevitabilmente alla sofferenza. La felicità è dunque solo un'illusione, un fuggevole intervallo tra un desiderio insoddisfatto e l'altro. La vita oscilla come un pendolo tra il dolore e la noia.
Safranski, come Cartwright, collega costantemente gli eventi della vita di Schopenhauer alla sua personalità, la sua biografia è considerata un'opera fondamentale per comprendere non solo Schopenhauer il filosofo, ma anche il contesto culturale e intellettuale in cui le sue idee hanno preso forma. In questa ricostruzione attenta, il rapporto tra il giovane Arthur e la madre Johanna, fornisce, a posteriori, un’ipotesi interpretativa quantomeno interessante.
Ritroviamo qualcosa di simile in Leopardi, anche se in verità la vita di Leopardi è stata segnata da un rapporto controverso con entrambi i genitori e fu soprattutto il padre Monaldo ad ostacolare palesemente le scelte di Giacomo. Antonio Ranieri, grande e intimo amico di Leopardi, fu anche il suo primo biografo. Ranieri tende a enfatizzare la miseria materiale e spirituale che Giacomo subiva a Recanati, causata soprattutto dalla soffocante atmosfera familiare che ostacolava la sua libertà. La sua testimonianza è preziosa per la vicinanza personale, ma anche perché arricchita dai racconti che Leopardi ha fornito all’amico.
Le dinamiche all’interno della famiglia Leopardi, sono enfatizzate da molti altri biografi come ad esempio Francesco Moroncini, che curò il "Carteggio epistolare" del poeta, Walter Binni, Mario Andrea Rigoni e Pietro Citati. È stata tuttavia Iris Origo scrittrice irlandese di origini toscane ad offrire un'analisi psicologica più approfondita delle dinamiche familiari del poeta di Recanati ("Leopardi: A Study in Solitude" 1953). Origo sottolinea l'amore per i libri e la disciplina imposti dal padre, ma pone l’accento anche sulla mancanza di affetto e sulla rigidità della madre nel quadro di una famiglia ossessionata dal decoro e dalla religione, incapace di fornire il calore emotivo di cui Giacomo avrebbe avuto bisogno.
L’infelicità adolescenziale di Arthur e di Giacomo potrebbe dunque essere considerata una figura paradigmatica, un tropo: l’immaginario collettivo, infatti, continua a perpetrare nel tempo l’idea che il loro dolore sia l’essenza della loro vita. Ricorrendo quindi ad un artificio retorico e, per certi versi forzato, si potrebbe ricondurre la “Natura” in Leopardi come incarnazione della madre mentre in Schopenhauer e la “Volontà” ad assumere i connotati materni.
Le diverse vie di liberazione, l’arte, la compassione, la giustizia, l’ascesi, conducono alla liberazione dalla madre, proprio come accade nel processo negativo dell’oltre-umano di Nietzsche:
« All’uomo non basta più amare gli altri come se stesso e fare per essi quanto fa per sé; ma sorge in lui un ribrezzo per l’essenza di cui è espressione, per la volontà di vivere, per l’essenza di quel mondo pieno di dolori ».
Ma forse quel che più colpisce della vita di Schopenhauer e Leopardi è la loro mitezza e gentilezza nei rapporti con il mondo. Arthur è più autoironico di Giacomo, ma l'uno e l'altro non hanno certo ricevuto in eredità, dai loro genitori anaffettivi, nessuna forma di aggressività o di prevaricazione, come se la loro vita dovesse essere un continuo inseguimento di un amore negato. Può sembrare un paradosso: dal punto di vista sociale forse può fare meno danni dei genitori che negano le proprie carezze al figlio, rispetto ad altri che ne elargiscono troppe.
Ma anche in questo caso siamo sul piano delle congetture, una mamma che stringe al seno il suo bambino pensa di fargli del bene, ma se questo abbraccio non finisce mai, penserà che quello è il modo di stare con il corpo dell'altro. E quando crescerà e troverà una donna che non gradisce questo abbraccio stretto, questa fusione, per lui sarà un messaggio incomprensibile, una disconferma. È chiaro che l’educazione dei figli non è responsabilità esclusiva delle mamme. Una mamma troppo protettiva, che cerca nel rapporto con il figlio maschio una sorta di risarcimento per la sua solitudine, è una mamma che nella migliore delle ipotesi ha un partner assente, totalmente assorbito dal proprio lavoro, o peggio menefreghista o distratto da una vita parallela extraconiugale (cercando di immaginare queste dinamiche e, va detto, generalizzando). In certi casi una donna sola riesce ad essere più efficace ed equilibrata di una donna che vive la frustrazione di un rapporto problematico con il partner.
La letteratura scientifica, oltre che quella letteraria si è spesso occupata dell’effetto Werther, un fenomeno sociale, noto anche quando Goethe era in vita. La notizia di un suicidio, pubblicata dai mezzi di comunicazione di massa, provocò una catena di altri suicidi. Fu il sociologo David Phillips ad enunciare l'effetto Werther riferendosi al romanzo “I dolori del giovane Werther”. Werther si suicida perché perdutamente innamorato di una ragazza che aveva sposato un altro uomo. Successivamente alla pubblicazione del romanzo furono registrati moltissimi casi di suicidio fra giovani uomini e le autorità che indagavano, rivelarono che tutti quei ragazzi avevano in comune la lettura del romanzo. Quello stesso effetto si ripropose anche in altri paesi nei quali vennero pubblicate traduzioni del romanzo di Goethe, che vede Werther soffrire la separazione, fino al punto di non accettare la propria sopravvivenza. Il desiderio di autodistruzione è l’altra faccia della medaglia rispetto a quello distruttivo, è solo meno vile, il che non è poco, ma in chiave psicologica testimonia, al pari del suo opposto, un’incapacità dei maschi ad accettare il rifiuto. L’effetto Werther ci dice anche che esiste una “spinta all’emulazione” che nel caso dei femminicidi è ulteriormente enfatizzata dall’utilizzo ricorrente dei social network. L’autore del crimine diventa un personaggio noto, l’impressione di impunità è evidente. Quell’esposizione mediatica può essere attrattiva verso chi presenta tratti inequivocabilmente narcisistici o inclini alla mitomania, caratteristiche frequenti negli autori di questi delitti. La psicologia del comportamento ha segnalato spesso questa tematica la cui soluzione non è certamente semplice e risiede soprattutto nei rapporti triangolari tra madre, figlio e padre. Solo un progetto proiettato nel medio e lungo termine potrà favorirne la soluzione poiché le madri spesso sono determinanti senza volerlo, in quanto subiscono l’assenza del partner nell’educazione dei figli. Il padre ha una responsabilità cruciale, ineludibile nei confronti dei propri figli: l’esempio che saprà fornire è la sua arma migliore, non ci sono dati statistici al riguardo ma riesce difficile pensare che i figli di una coppia che ha fatto del rispetto reciproco, dell’alleanza educativa e dello scambio pacato di opinioni, il proprio vissuto quotidiano, possano concepire la prevaricazione e la violenza come scelta comportamentale.
L’adolescenza è una fase critica, affermarlo è certamente un’ovvietà, eppure c’è un diffuso atteggiamento di sottovalutazione e di oblio nei confronti delle problematiche adolescenziali. Non è necessario avere una formazione scientifica per sapere che l’adolescenza ha tempistiche differenti tra i due sessi, inizia intorno ai 10-12 anni per le ragazze e tra i 12 e i 14 per i ragazzi. Quei due anni di range, ci dicono inoltre che c’è una grande individualità per cui l’età biologica spesso non coincide con quella anagrafica. Alcuni mesi fa, ha avuto una vasta eco una miniserie televisiva britannica del 2025, ideata da Jack Thorne e Stephen Graham e diretta da Philip Barantini. Si intitola Adolescence ed è proposta da Netflix. Segue da diverse prospettive un caso di femminicidio di una adolescente, di cui è accusato un compagno di classe. I temi esplorati riguardano gli effetti del bullismo, del cyberbullismo e dell'assimilazione della sottocultura della “manosfera” e degli “incel“ sui più giovani. “Manosfera” è il nome di un gruppo eterogeneo di comunità online che include gli attivisti per i diritti degli uomini.
Gli "incel" (dall'inglese “involuntary celibate”), sono una comunità costituita da individui che si autodefiniscono appunto "celibi involontari" e attribuiscono la loro condizione, priva di una relazione sentimentale o sessuale, al fatto di non essere attraenti, secondo alcuni criteri che essi ritengono oggettivi e indipendenti dalla loro volontà. I "Men Going Their Own Way" (MGTOW), sono una comunità antifemminista, misogina, attiva prevalentemente online che promuove il separatismo maschile da quella che considera una società ginocentrica ''corrotta'' dal femminismo. Sostiene specificamente che gli uomini debbano evitare il matrimonio e le relazioni sentimentali impegnative con le donne. Ci sono poi i “Pick-Up Artist” (PUA), gruppi per i diritti dei padri, composti prevalentemente da uomini eterosessuali. Sono persone il cui obiettivo è la seduzione e il successo sessuale. Questa comunità è attiva attraverso vari canali, tra cui newsletter online, blog, seminari, coaching individuali, forum, gruppi e club noti come "tane". L'ascesa della "scienza della seduzione", del "gioco" o del "carisma studiato" è stata attribuita alle moderne forme di appuntamenti on-line e alle norme sociali tra i sessi, sviluppatesi con la percezione di una maggiore uguaglianza tra i sessi nella società occidentale e di cambiamenti nei ruoli di genere tradizionali. Sebbene le specifiche ideologie di ciascun gruppo siano differenti, questi movimenti sono accomunati dalla convinzione che la società sia discriminatoria nei confronti degli uomini, a causa dell'influenza del femminismo che promuoverebbe odio nei confronti degli uomini.
Si tratta, evidentemente, di una conseguenza dei cambiamenti che sono intercorsi nei rapporti tra i sessi negli ultimi decenni. Non rappresentano certamente un bel segnale, poiché tendono ad allontanare ancora di più i due generi. L’obiettivo di una rapportazione paritetica e collaborativa sembra svanire e la formazione di queste comunità, al pari del femminismo più intransigente e suprematista, rappresenta una ulteriore forma di sottocultura, caratterizzata dalla tendenza al risentimento e all’autocommiserazione, all’oggettificazione sessuale, alla misoginia e alla misantropia. Conduce inevitabilmente all’idea che il sesso sia un diritto, all’odio generalizzato verso le donne e anche verso gli uomini che hanno rapporti sessuali ricorrenti, questi ultimi visti come beneficiari di una predeterminazione biologica in senso genetico-evoluzionista. Sono sentimenti patologici che preludono al nichilismo, alla cultura dello stupro e alla violenza fisica e sessuale verso le donne, perseguiti come vendetta per non riuscire ad ottenere successo dal punto di vista seduttivo.
La miniserie di Netflix, mostra diversi aspetti delle problematiche adolescenziali, il bullismo perpetrato anche da gruppi di ragazzine particolarmente aggressive che prediligono come vittime coetanei maschi dal carattere mite e apparentemente privi di autostima. Su un dato possiamo dire che c’è un’assoluta convergenza.
Un altro indicatore interessante è il comportamento dei più giovani, rispetto all’esercizio del voto politico: la metà della popolazione giovanile non vota, mentre i giovani che votano si dividono in due schieramenti correlati fortemente con il genere: le ragazze votano prevalentemente a sinistra, i ragazzi a destra. È ciò che emerge da uno studio dell’Osservatorio Democratico del dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università Bocconi. Schieramento per schieramento, partito per partito, il solco di genere scavato dalla politica tra gli elettori dai 18 ai 29 anni trova sempre più conferme.
Una separazione così netta fra i generi, nell’espressione del voto, è un dato che certamente non passa inosservato e non c’è niente, in questo riscontro, che può essere catalogato come prevedibile o scontato. I dati a livello globale testimoniano, oltreché disaffezione. anche divaricazione di genere nelle scelte. I dati pubblicati annualmente dall’ISTAT, evidenziano che le ragazze di oggi tendono a vivere i rapporti con i coetanei maschi (e in generale con i pari) in modo più orientato all'intimità, alla condivisione di confidenze e all'ascolto. Sono anche più attive nell'uso dei canali digitali per coltivare queste relazioni. Si è fortemente attenuata la visione romantica da parte delle ragazze ed emerge più spesso un desiderio di parità e di rifiuto degli stereotipi di genere che hanno caratterizzato l’adolescenza dei loro genitori e che ancora persistono nella società. Emerge una ricerca di connessione profonda, dove il digitale, anche se non sempre viene gestito nel modo migliore, diventa strumento relazionale utilizzato dalle ragazze più frequentemente che dai ragazzi. Date queste premesse potrebbero apparire sorprendenti il dati riferiti, sempre dall’ISTAT, nel 2024: il 76,9 % dei giovanissimi vorrebbero sposarsi prima dei trent’anni e la percentuale di ragazze che vorrebbero tre o più figli si attesta al 20,8 %.
Tornando alla considerazione iniziale sull’evidente divaricazione nell’espressione del voto tra maschi e femmine, per provare a fornire una chiave di lettura che non abbia connotati ideologici, dobbiamo entrare necessariamente in un ambito che attiene alla sfera psicologica e alla dimensione personale dei giovani, perché anche la scelta dell’orientamento politico rispecchia un bisogno di rassicurazione a cui ogni giovane anela. Se gli schieramenti politici riuscissero, proporzionalmente, ad essere attrattivi sia verso i ragazzi che verso le ragazze, i numeri complessivi non muterebbero il quadro, ma avremmo la certezza che nessuno di loro ha letto una specifica parte politica come inadeguata a comprendere i bisogni del proprio genere (femminile o maschile). In questo senso ricollegare questa divaricazione elettorale con “la guerra dei sessi” che drammaticamente sfocia, troppo spesso, nel femminicidio potrebbe sembrare una forzatura, ma analizzando più a fondo come vengono gestiti anche mediaticamente questi eventi, forse non lo è.
La psicanalisi contemporanea sta dedicando all'educazione dei figli maschi molte più attenzioni rispetto al passato, evidenziando come è dal rapporto tra la madre e il figlio che può nascere il rispetto per l’altro e l’autonomia affettiva. Da questo punto di vista, il “Complesso di Edipo”, descritto da Freud nei "Tre saggi sulla teoria sessuale" del 1905, ma anticipato nella corrispondenza con il suo amico Fliess fin dal 1897, non perde la sua attualità. “Non ditegli ti amo, aiutatelo a distaccarsi da voi”, è il suggerimento che la psicologia contemporanea elargisce alle madri. Certamente il compito materno consiste anche nell’offrire cure esclusive ai propri figli, ma le madri (e mi verrebbe da dire i genitori in generale, al fine di non colpevolizzare un solo genitore) dovrebbero cercare un punto di equilibrio tra lontananza e presenza, ponendo tra loro e i piccoli la giusta distanza. Educare un figlio (ma anche una figlia), al rispetto e alla creazione di relazioni sane, scaturisce dal saper tracciare dei limiti. Non è un percorso facile e con un maschio il primo momento fondamentale è tra i 6 mesi e l'anno, la madre dovrebbe far capire al piccolo che è un individuo staccato da lei: “questo è Luca, questa sono io, la tua mamma”.
Spesso, mi sembra, non è così e abbondano messaggi come “guarda come siamo belli!”, si commette l’errore di mostrarsi come una sola entità. Sta alla madre favorire il distacco dal suo corpo, trasformandolo auspicabilmente, in un tabù. La mamma ha diritto alla sua privacy e non dovrebbe mostrare la propria nudità. Spesso, invece, il corpo materno è sempre a disposizione, “a richiesta”, la mamma teme che uscire dalla zona di comfort sia traumatico per il bambino. Il lettone viene condiviso fino ad età improponibili, e ci sono persino i baci sulla bocca, il dire ti amo. Sostanzialmente il figlio viene trattato come si fa con il partner. Questi gesti possono creare confusione ed esigere il rispetto può divenire impossibile perché la madre, per il bambino, è sempre stata ''fruibile''. Naturalmente, questo discorso si può anche (e deve) trasporre ai padri. Il rischio di codeste analisi, le quali ricorrono alla psicoanalisi — perché negarlo — è quello di caricare troppo il ruolo della madre, dimenticando che esso deve sempre essere in linea, equamente parlando, con quello del padre: è dalla coppia che il bambino o la bambina devono ricevere amore e attenzioni genitoriali.
16 agosto 2025