L’amicizia: una sfida esistenziale ed evolutiva

 

Quante volte abbiamo incontrato il compagno che si mostra disponibile solo per una verifica? O chi cerca la tua presenza solo per far parte di un gruppo? Troppi. Sono legami effimeri, che svaniscono al mutare delle circostanze. Eppure, c’è chi ha avuto in sorte quell’amico il cui bene resiste al tempo e alle distanze – colui che «si ama semplicemente per ciò che è».

 

 

Il suono dell’ultima campanella segna la fine dell’anno scolastico e l’inizio delle vacanze: ozio per gli studenti, scrutini e bilanci per i docenti. Le aule vuote, le sedie inoccupate, i banchi ordinati diventano un’occasione preziosa per riflettere sui temi affrontati durante l’anno – quelli più stimolanti o fraintesi da una generazione dallo scroll facile. Per chi insegna filosofia, è tempo di rileggere e mettere a fuoco ciò che è stato seminato. Come scrive R. Fabbrichesi, «la filosofia nasce dunque come una strenua lotta per guadagnare comprensibilità là dove sembra esservi solo un terrificante caos» (R. Fabbrichesi, Che cosa si fa quando si fa filosofia?).

 

Tra le domande che resistono al silenzio dei libri chiusi e dei fogli accartocciati, l’amicizia emerge come antidoto al disincanto. Ridesta gli adolescenti dagli occhi spenti, portatori a volte di un dolore muto che gli adulti spesso non colgono, troppo distratti dalla sfida, dalla competizione, dal bisogno di consenso. A pensarci bene, «l’amicizia è una delle passioni più apprezzate; è spesso associata a qualcosa di nobile e di elevato» (S. Grandone, Duelli filosofici). In una società in cui l’altro è percepito come ostacolo, essa si rivela una sfida esistenziale imprescindibile. Come ricorda ancora Grandone, «la familiarità, l’abitudine, gli interessi condivisi generano, poco a poco, un filo indissolubile di cui non si riesce a cogliere l’inizio né gli elementi che lo compongono» (Ivi).

 

Il valore dell’amicizia per gli adolescenti

 

Il pensiero psicologico contemporaneo conferma e approfondisce tale visione. Matteo Lancini, nel saggio Chiamami adulto, riconosce nell’amicizia una funzione evolutiva essenziale nella vita degli adolescenti:

 

« L’amicizia preadolescenziale e adolescenziale sostiene il processo di separazione e individuazione dalla madre e dal padre, ma soddisfa anche esigenze affettive di riconoscimento del proprio valore personale e nuovi bisogni di appartenenza ». (M. Lancini, Chiamami adulto)

 

I ragazzi lo testimoniano, dentro e fuori dalle aule: si tengono per mano durante le interrogazioni per darsi coraggio; sono compatti nel chiedere il rinvio di una verifica; condividono segreti e lacrime nell’intervallo. Degli amici non possono fare a meno.

 

« Le intere giornate, i momenti, gli attimi trascorsi con “l’amico del cuore”, “la migliore amica” o il gruppo di amici, lontano dal controllo e dalla supervisione degli adulti, sono irripetibili e non riproducibili in un’altra fase della propria esistenza » (Ivi).

 

I coetanei spezzano quel cordone ombelicale che tiene i ragazzi legati a mamma e papà, evitando un ritardo relazionale che rischia di non poter essere recuperato. Con gli amici, ogni figlio diventa individuo, determinando l’adulto che sarà. Si tratta di un’esperienza tutt’altro che marginale: un vero e proprio laboratorio relazionale, nel quale l’individuo impara a stare con gli altri, a tessere legami, molti dei quali porterà con sé per tutta la vita. Siamo dinanzi a una passione fondamentale per l’evoluzione dell’essere umano: una consapevolezza che gli antichi possedevano, ma che noi, forse, stiamo smarrendo.

 

Caratteri e tipologie di amicizia

 

Lo sguardo filosofico di Grandone ci aiuta a cogliere non solo il valore di questa passione, ma anche i suoi caratteri universali e le tipologie di legami che essa può generare, aiutandoci ad evitare illusioni e fraintendimenti. Le sue pagine ci ricordano che «l’amicizia è una passione calma, razionale, reciproca e proporzionata». Questa passione si manifesta quando la componente sessuale è assente o marginale; non prorompe come forza cieca, ma si presenta come impulso pacato, che non oscura la ragione, bensì la esalta. È un legame consapevole e deliberato.

 

E, infine, si può parlare di autentica amicizia solo quando si può ricambiare sentimenti e beni offerti. Ma se ne abbiamo chiarito i caratteri, resta da chiedersi: su cosa si fonda l’amicizia? Persone diverse stringono legami indissolubili, così come quelle simili: come si spiega? Il primo a distinguere le forme dell’amicizia è stato Aristotele, che nell’Etica Nicomachea individua tre tipologie: quella fondata sull’utile, quella basata sul piacere e quella radicata nella bontà. Quante volte abbiamo incontrato il compagno che si mostra disponibile solo per una verifica? O chi cerca la tua presenza solo per far parte di un gruppo? Troppi. Sono legami effimeri, che svaniscono al mutare delle circostanze.

 

Eppure, c’è chi ha avuto in sorte quell’amico il cui bene resiste al tempo e alle distanze – colui che «si ama semplicemente per ciò che è». Poco importa se non si condivide la pizza del sabato o l’allenamento in palestra: l’amico vero è quello a cui telefono anche solo per sapere come sta. L’utile e il piacere non sono condizioni dell’amicizia, ma effetti di una relazione basata su un amore disinteressato. Come ricorda Grandone:

 

« Solo chi è in grado di controllare le proprie passioni, di non essere schiavo dei piaceri e dei vizi, può aspirare a un’amicizia perfetta » (S. Grandone, Duelli filosofici). 

 

Il bisogno dell’altro

 

Se è chiara la natura di un legame autentico, vale la pena soffermarsi su ciò che esso risveglia: il bisogno dell’altro. Un bisogno che fende la nostra quotidianità, dominata dal mito dell’autosufficienza e dalla solitudine operosa. Eppure, timidamente, emerge da sempre. L’altro è nutrimento. L’altro è sostegno. L’altro è sfida. L’altro è rispecchiamento. Aristotele ci ricorda che «senza amici nessuno sceglierebbe di vivere, anche se possedesse tutti gli altri beni» (Aristotele, Etica nicomachea). E smentisce l’immagine dell’uomo virtuoso come figura autonoma e distaccata:

 

« Nel suo difficile cammino ha bisogno di avere accanto a sé persone simili a lui, in cui possa specchiarsi. Le azioni buone degli amici stimoleranno l’uomo virtuoso a non abbandonare la strada maestra e costituiranno un esempio da seguire » (S. Grandone, Duelli filosofici).

 

In questo specchiarsi avviene il riconoscimento, la conferma dell’identità, la cura reciproca. L’amicizia non è una debolezza, ma una forma elevata di forza condivisa, capace di sostenere, correggere e accompagnare lungo il cammino della virtù.

 

« L’uomo virtuoso vede così nei veri amici uno specchio di sé, il riflesso di ciò che è e di ciò che deve continuare a essere. […] L’amicizia si configura come un gioco di riflessi, in cui si è presso di sé nell’essere presso l’altro » (Ivi).

 

Ricordo ancora quando, qualche anno fa, durante un compito di filosofia, chiesi a una studentessa di aiutare una compagna in difficoltà in vista della verifica finale. Non avevano mai avuto un grande rapporto; si ritrovarono, per una circostanza fortuita, a collaborare. Dopo settimane di studio matto e disperato, sostennero insieme la prova. Si sostenevano a vicenda, gioivano dei successi dell’altra. In quel momento, vidi nascere un legame che oggi è più profondo che mai. Sono ormai professioniste affermate. Dividono casa, spese e persino le pene d’amore. Il loro legame testimonia come l’amicizia si nutra di tempo, di cura e di dedizione – di quella rara capacità di riconoscere il valore dell’altro. Perché il vero tesoro non è “trovare” un amico. È costruire una relazione autentica con l’altro. È uscire da sé e guardare la vita da un’altra prospettiva: quella di un amico.

 

29 luglio 2025









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