Quando qualcosa che si trova al di qua del nostro orizzonte ci si presenta in modo da farci pensare di poterlo raggiungere, ci sentiamo felici; ci sentiamo, invece, infelici se quella prospettiva ci è sottratta da sopraggiunte difficoltà.
di Arthur Schopenhauer
È difficile, se non impossibile, determinare i confini dei nostri desideri ragionevoli riguardanti il possesso; perché, sotto questo riguardo, la soddisfazione di ogni singolo individuo si riferisce a un valore che non è assoluto, ma soltanto relativo, vale a dire al rapporto fra quello che uno vorrebbe avere e quello che ha; e l’entità del possesso è, di per se stessa, un elemento privo di significato, come il numeratore di una frazione senza denominatore. Se uno non si è mai sognato di aspirare a certi beni non ne sente assolutamente la mancanza, è, anzi, pienamente soddisfatto anche senza di essi, mentre un altro, che è cento volte più ricco di lui, si sente infelice se gli manca uno solo di quelli che desidererebbe possedere.
Ciascuno ha, anche qui, un suo proprio orizzonte, che segna i limiti di quello che può, eventualmente, ottenere; e le sue aspirazioni non vanno più in là. Quando qualcosa che si trova al di qua di tale orizzonte gli si presenta in modo da fargli pensare di poterlo raggiungere, uno si sente felice; si sente, invece, infelice se quella prospettiva gli è sottratta da sopraggiunte difficoltà. Ciò che è situato al di fuori di quel campo visivo non esercita, su di lui, alcuna attrazione. Perciò le grandi proprietà dei ricchi non turbano il povero, mentre, all’opposto, il molto che già possiede non basta a consolare il ricco se gli va male un progetto. (La ricchezza è come l’acqua di mare: più se ne beve più si ha sete. Lo stesso vale per la fama.) Se, quando abbiamo perso la ricchezza o l’agiatezza, una volta superato il primo momento di dolore, il nostro umore abituale non è molto diverso da quello di prima, ciò dipende dal fatto che, quando il destino ha ridotto il fattore dei nostri possessi, noi stessi riduciamo di molto quello delle nostre ambizioni. Ciò che, in una disgrazia, è veramente doloroso, è proprio quell’operazione; una volta che è stata effettuata, il dolore si fa sentire sempre meno, fino a cessare del tutto: la ferita si rimargina. Al contrario, dopo un colpo di fortuna, aumenta la pressione sulle nostre ambizioni, e quelle si dilatano: ecco la gioia. Ma anch’essa non dura se non fino al termine di quel processo: ci abituiamo a quell’ampliamento delle nostre aspirazioni, e diventiamo indifferenti alle acquisizioni relative.
Arthur Schopenhauer, Aforismi per una vita saggia