Sull'essere madri. Giovanni Gentile e la donna

 

A respingere il classico assunto che vorrebbe la donna – per usare le espressioni usuali – angelo del focolare, come solo passivo riposo del guerriero, ci ha pensato, ormai un centinaio d’anni fa, il filosofo Giovanni Gentile.

 

di Valentina Gaspardo 

 

A respingere il classico assunto che vorrebbe la donna – per usare le espressioni usuali – angelo del focolare, come solo passivo riposo del guerriero, ci ha pensato, ormai un centinaio d’anni fa, il filosofo Giovanni Gentile. In genere, per cattiva prassi, ascriviamo a una immaginata legge caratteriale inderogabile quello che invece è nient’altro che l’abitudine cristallizzatasi – buona o cattiva – che ha contribuito a foggiare la tradizione di un popolo, e così anche quel carattere “femminile” di cui si diceva. Così, se la donna in tempi più antichi era ignorante e se ne stava in disparte, si credeva sbadatamente che conferma di ciò fosse la sua essenza, e che questo stato le toccasse come unica possibile vita terrenaè così per natura, dunque non le spettano la politica, gli affari, la filosofia… Si diceva così anche per la schiavitù: sono nati schiavi! Ciò che siamo arrivati a constatare, e questo con buona certezza, è che quella prospettiva erronea in cui era inquadrato il ruolo della donna, non ha fatto altro che inibirla e costringerla entro i confini di una tale natura presunta, che di fatto non le appartiene. Eppure residui di quelle credenze retrograde rimangono, ancora oggi, in quelle poche espressioni ricordate sopra. Perciò tanto vale proporsi di smentire, mostrandone la conseguenza orribile, chi vorrebbe davvero una donna domestica.

 

Pablo Picasso, "Madre con bambino"
Pablo Picasso, "Madre con bambino"

L’esigenza di superare quei dettami si mostra già in quell’indiscussa prerogativa femminile che è la maternità. Il solo arduo compito della maternità, insegna Gentile, sconfessa quella pretesa tradizionalistica. Questo eminente lavoro – crescere un figlio – che svolto insieme al padre e alla famiglia tutta andrà a dispiegare le intere fondamenta di una nuova vita, reclama da subito la sua importanza, e deborda già dai limiti imposti da quella cattiva consuetudine. Contrariamente a quanto sembrerebbe, il cimentarsi della donna nell’accudire il figlio, lungi dal ricacciarvela dentro, richiede già d’aver oltrepassato i confini di quell’astratto “focolare”. La madre è l’immediato riferimento del bambino, dallo stato embrionale al primo vagito; è il grembo su cui poggia la sua esistenza, non solo “fisica”, prima e dopo il parto:

 

« I primi sentimenti che essa insinua nell’anima dell’uomo sono il fondamento sul quale si può edificare ogni ulteriore struttura del carattere; e le conseguenze di quel che fa la madre, si risentono perciò in tutta la vita dell’uomo, e attraverso la sua condotta, si ripercuotono in tutto il futuro. » (Gentile, Lezioni di pedagogia)

 

L’educazione non comincia dalle scuole, bensì dal momento in cui la vita si presenta. Si è già trascesa la gretta fisicità, la mera sopravvivenza di cui soltanto, sbagliando, ci si cura. E la domanda radicale che dal testo gentiliano fa capolino è la seguente: la fisiologia è sufficiente? Oppure gli stessi processi fisiologici recano in sé significati più profondi, relativi al contesto in cui fioriscono? Afferma il grande filosofo siciliano nelle sue Lezioni di pedagogia:

 

Gentile con moglie e nipoti a Forte dei Marmi
Gentile con moglie e nipoti a Forte dei Marmi

« Questo indirizzo […] negli studi della donna, deriva da un concetto molto superficiale e grossolano del valore, come s’è detto, dello stesso allattamento materno; il quale non è raccomandato tanto per ragioni igieniche e fisiologiche, quanto piuttosto per ragioni morali; giacché la nutrice comincia essa a deporre nell’animo del bambino i primi germi de’ suoi sentimenti […]. Anche l’allattamento è parte di educazione, ossia di formazione morale dell’anima, e la funzione fisiologica è il semplice mezzo dell’opera che la madre allattando deve compiere: che è quella di fare non degli animali più o meno robusti, ma degli uomini, che occorrerà che siano sani, forti e robusti, ma per essere meglio uomini! »

 

se l’importanza e l’influenza che una madre ha sulla sua progenie sono queste già ai primi giorni e mesi di vita, senza contare il resto dell’infanzia e dell’adolescenza, com’è anche solo possibile auspicare un’inferiorità morale, cioè intellettuale, della donna? Al tempo si credeva, e ahimè a tratti si crede ancor oggi, che a esser buone madri bastasse possedere qualche nozione medica tale da saper nutrire un organismo, così da farlo crescere sano e forte. Bene, direbbe Gentile, e sia; d’altronde il corpo è il terreno su cui ci sviluppiamo, una condizione indispensabile del nostro spirito, ed è bene averne cura. Ma a rendere davvero “sano e forte” un uomo, la medicina, il corpo nutrito e funzionale, non bastano. Un uomo con dei grossi muscoli e con delle analisi del sangue impeccabili non ci dice ancora nulla della sua salute e virilità. Né un’ecografia o una visita pediatrica sull’integrità di un bimbo. D’altronde, si può sopravvivere in molti modi: si può crescere forzuti e con un buon livello di linfociti anche senza una buona madre o padre, con cattivi princìpi, senza andare a scuola, essendo affidati a balie, vivendo per strada, ecc. Ma quel che si intende con “salute”, con “essere uomini”, con vivere, è ben altro:

 

« Non è questa la parte più importante, perché l’uomo può essere sano e forte, ed essere causa d’infelicità a sé e agli altri, essere perverso […], e può essere debole e infermiccio e pure essere in grado di formare l’altrui felicità, e vivere per sé intensamente e lasciare di sé una luminosa orma nel mondo. » (Gentile, ivi)

 

Alexander Deineka, s.t.
Alexander Deineka, s.t.

Perciò una buona madre deve sapere in cosa consista questa vera salute, deve sapere, per insegnarli, quali siano i valori e i significati di cui suo figlio ha bisogno. Perché sì, questi un giorno potrà pure accorgersi, e poi correggersi, di un errore tra gli insegnamenti dei genitori; ma, da piccolo, si affiderà con tutto il suo amore e la sua innocenza a quello che gli raccontano e ai gesti che gli rivolgono. E più saranno solide, e cioè valide, quelle lezioni, tanto più il figlio sarà sulla buona strada per essere uno di coloro che lasceranno quella luminosa orma sulla terra. Questo è ciò che spetta alla donna che vuol essere madre, e la sua formazione deve saper rispondere a queste esigenze; ben oltre il focolare. Una madre che cerca il bene del figlio, deve pur sapere in cosa questo bene consista, altrimenti gli farà unicamente del male. Concetto che nella visione tradizionalistica che pensa che la donna debba semplicemente rammendare, preparare il cibo e tenere a bada la casa, non si scorge nemmeno lontanamente. Sbagliato era perciò il sistema che voleva la donna non istruita, perché davvero da lei, nella misura in cui si è detto, e nella misura in cui è all’altezza di questa missione, dipendono «le sorti dell’umanità».

 

12 novembre 2017 (pubblicato per la prima volta il 6 dicembre 2016)

 

 

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