Accogliere la Vita

 

La Madre è colei che riconosce e custodisce, al di là della Natura, la fragilità della Vita. È l’emblema della trascendenza, di quell’amore cieco, forza senza eguali che scuote e al contempo nutre. 

 

 La biologia insegna che la vita si forma a partire dalla fecondazione, per tale intendendosi l’unione di due gameti di sesso diverso e la fusione dei rispettivi nuclei. Dunque, vero è che non si nasce senza l’unione dei gameti, ma altrettanto vero è che non si cresce, non si diventa grandi senza l’affetto, il riconoscimento, la testimonianza, la fede, la promessa e la cura, così come Heidegger la intendeva: l’aver cura degli altri come modo tipico d’essere dell’uomo, il quale è originariamente “con” gli altri e dunque “verso” gli altri, da sempre e per costituzione aperto. In tal caso, aperto naturalmente alla vita nella sua totalità e trascendenza.

Pablo Picasso, "Maternidad"
Pablo Picasso, "Maternidad"

Possessore della cura dell’Altro, qui inteso come figlio, è, sin dal primo istante di vita, la Madre. La Madre, come luogo originario della singola persona, è il primo amore. La madre è la «culla»: l’individuo lì nasce. E lì torna: è il suo sepolcro. È in questo senso, esistenziale, profondo, che la madre parla di Ugo al figlio defunto: «parla di me col tuo cenere muto» (Foscolo, In morte del fratello Giovanni): la madre porta nel grembo il figlio deceduto.  Egli vive ancora dentro il suo grembo. La Madre, anche dinanzi alla morte, è custode di Vita. Ma è vero anche il contrario: la madre, che ha dato la vita, riceve la vita dal figlio, una volta che è morta. E perciò Montale, in A mia madre, la fa risorgere, nella memoria filiale: « e la domanda che tu lasci è anch’essa / un gesto tuo, all’ombra delle croci ».  La Madre, continua ad essere per il poeta la stella polare, il porto sicuro, ristoro e quiete per i turbamenti dell’anima. Montale cerca la Madre anche dopo la morte, sfida quest’ultima, si aggrappa alla corporeità della Madre, ricordandola nei gesti e nella cura quotidiana che a lui riservava. Vive in lui nell’eterno ricordo

La madre è mediatrice: e non solo nell’immaginifico religioso. Nel mito classico, la madre Gea salva Giove dal padre Cronos. Fuori dal mito, ella assume una funzione mediatrice proprio in virtù del suo amore per i figli. Nella lirica La madre (1930) Ungaretti scrive: « Sarai una statua davanti all’Eterno ». Possiamo dire che la madre rinasce nel figlio che nasce. Questa è la maternità. Far nascere e insieme ri-nascere. Il tempo della maternità, tuttavia, non può essere ridotto alla nascita e alla ri-nascita, è anteriore a tale evento, è piuttosto un desiderio atemporale e pulsante che si manifesta ancor prima del concepimento. La maternità, declinata nelle sue numerose forme, è un , una risposta positiva al desiderio inconscio e innato nella donna.  Un che implica la volontà manifestata di ospitare la Vita, farsi garante di essa, più semplicemente è volontà di accoglierla. Scrive Massimo Recalcati nell’opera Le mani della madre :

 

« Bisognerebbe sottrarre la maternità a ogni sua rappresentazione naturalistica: madre non è il nome della genitrice, ma, al di là della Natura, al di là del sesso e della stirpe, è il nome di quell'Altro che offre le proprie mani alla vita che viene al mondo, che risponde alla sua invocazione, che la sostiene con il proprio desiderio [...]. Bisognerebbe provare a essere giusti con la madre e riconoscere nelle sue mani un'ospitalità senza proprietà di cui la vita umana necessita. Bisognerebbe rintracciare nel suo dono del respiro la possibilità che la vita abbia un inizio e che possa ogni volta ricominciare. »

 

Gustav Klimt, "Le tre età"
Gustav Klimt, "Le tre età"

La vita necessita di un Altro che, accogliendola, la porti alla luce nel mondo. Ed ecco che le gravidanze miracolose della Vergine Maria o della vecchia e infeconda Sara sono l’emblema della descrizione di Recalcati, ovvero di quella maternità intesa come apertura totale, gratuita e coraggiosa all’Altro. La Madre è colei che riconosce e custodisce, al di là della Natura, la fragilità della Vita. È l’emblema della trascendenza, di quell’amore cieco, forza senza eguali che scuote e al contempo nutre. Quell’amore capace di amare l’Altro nonostante le contingenze, e che in virtù di esse si scopre sempre più grande. Quell’amore che non è astratto, quasi fosse di un altro mondo, ma che vive di tutto ciò che col passare del tempo ha contribuito – anche ostacolandolo – a farlo fiorire. Una mamma adottiva raccontò il suddetto amore con tali parole:

 

« Dopo attimi dilatati la porta si apre. Ci guardiamo. Sto male. È il momento che attendiamo da 4 anni. Stiamo per incontrare per la prima volta nostra figlia. Ed entra l’assistente sociale con in braccio lei. È un momento che trafigge. Ogni altro pensiero sparisce, tutti i rumori svaniscono, tutto intorno si fa bianco e nero, lei sola a colori. Sto guardando mia figlia per la prima volta. E vorrei poter usare il rallentatore per non perdermi nessun secondo… cerco dei riferimenti su quel viso partendo dalla foto ricevuta all’abbinamento ma, incredula, non ne trovo… è lei? È lei. E lei è piccola nei suoi sei anni e mezzo. È in lacrime. Paonazza. Lineamenti tirati da neonato sofferente. Quanto ha atteso questa nascita? La paura dipinta sul piccolo viso. Appoggia il suo sguardo su di noi… ma scivola via. I capelli sono umidi, è tutta sudata. E io la sento e tutto mi risuona e mi viene da piangere. È un parto. »

 

Gustav Klimt, "Speranza"
Gustav Klimt, "Speranza"

Ed ecco che la vita umana ha bisogno di mani che accolgano, cullino e scaldino. Fuor di metafora, necessita per fiorire di accoglienza, affetto e calore dei quali la Madre è portatrice sana. Alla luce di ciò è da ritenersi legittima ogni postulata idea di divergenza tra l’esser Madre biologicamente o attraverso indirette vie? Se trascendessimo il piano puramente empirico, converremmo che non sussiste alcuna differenza poiché Madre è colei che accoglie la Vita indipendentemente-da; da tale considerazione discende un corollario: figlio è colui che abbia ricevuto un gratuito riconoscimento di Vita. Ed è per tal motivo che la giurisprudenza ha avuto cura di eliminare ogni differenza tra figli naturali e non, legittimi e illegittimi con la riforma del diritto di famiglia (Legge n.151 del 1975), ribadendo dal punto di vista dello ius l’unicità dello stato di figlio. Ciò che conta è l’accoglienza, il riconoscimento e la protezione che non cedono a differenze. Ad un bambino orfano manca la cura e per esso non sarà rilevante da chi proviene questa cura. L’amore non cede a differenze. L’amore non parla una sola lingua. L’amore crea, non distrugge. L’amore conserva, non abbandona. « L’amore non ha confini; ed è per questo che è perfetto », ebbe cura di scrivere Michela Marzano nel suo ultimo libro L’amore che resta. L’apertura delle mani alla Vita sarà completa nel momento in cui guarderemo ad ogni bambino del mondo con gli occhi della ‘’cura’’. Quando il cuore, con la mente, sarà in grado di effettuare l’universale riconoscimento: ogni Altro è mio figlio

 

11 febbraio 2018

 

 

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