La verità può cambiare? Verità e tempo ai nostri giorni

 

Nella nostra epoca, sempre più frequentemente, conviene affermare che la verità sia ciò che costantemente cambia. Ma cambiando la verità allora rimane sempre vero ciò che ho detto precedentemente?

 

Una "Sfera" di Arnaldo Pomodoro
Una "Sfera" di Arnaldo Pomodoro

 

La grande vittoria dei relativisti è, a parer loro, affermare che ci sia una verità ma che questa, allo stesso tempo, possa cambiare e magari dopo non essere più la stessa che affermata un secondo prima. Posso affermare che la mia maglietta adesso è rossa e magari domani potrebbe essere rosa, un altro giorno questa stessa potrebbe essere nera e così continuare in una variazione infinita. Da tutto questo essi sarebbero pronti a dedurre che la costante – la verità – di tutte queste affermazioni sia “l’essere”, ma, così facendo, si dovrebbe ammettere che il suo carattere principale sia il poter mutare continuamente senza destare scalpore.

Fermiamoci un attimo e riflettiamo. Ogni volta in cui affermiamo una verità attraverso un giudizio siamo soliti dire “questo è vero”: come possiamo ben notare, affermiamo o neghiamo qualcosa sempre attraverso l’essere;  ciò che ora possiamo affermare è che la verità appartiene ad esso o almeno è con esso in stretta relazione. Ma affinché la verità sia “vera”, lo deve essere sempre. E quindi cosa sarà ciò che cambia? Cosa fare di questo suo carattere mutevole?

 

Sarebbe sciocco negare che le cose siano soggette a cambiamenti ma, come affermava il filosofo spagnolo Xavier Zubiri, c’è sempre una verità che ci viene attestata attraverso il referto mutevole dei sensi e che il filosofo spagnolo chiamava “verità della realtà”.

 

« Nella realtà della verità, che è il sentire, abbiamo la verità della realtà (verdad de la realidad), non la realtà vera (realidad verdadera). »

 

Cosa avrebbe pensato Zubiri, se si fosse ritrovato nel nuovo millennio, quello in cui la verità sembra disperdersi nella miriade innumerabile di “fake news”, non possiamo dirlo. Ma in mezzo al frastuono, sembra davvero difficile capire quale sia la realidad verdadera. Sembra la situazione che descriveva Nietzsche nel secolo scorso riferendosi alle “mosche del mercato”:

 

« Una verità che si insinui solo in orecchi raffinati, egli la chiama bugia e nulla. In verità, egli crede solo a dèi che facciano un gran baccano nel mondo. »

 

Xavier Zubiri (1898-1983)
Xavier Zubiri (1898-1983)

 

Ma sicuramente Zubiri ci offre un ottimo spunto per orientarci, quando ci parla della differenza tra scienze ed episteme come due modi di conoscere le cose. La scienza odierna è totalmente differente da quella che i greci chiamavano episteme, e sicuramente il modo di conoscere ciò che ci circonda determina il nostro modo di definire la verità, e magari trovarla. Ciò che caratterizza la conoscenza dell’uomo dei nostri giorni è sicuramente la scienza e non l’episteme, proprio perché essa non conosce il “che cosa” delle cose ma solo il “come”. Slavoj Žižek, nella sua recente opera Odia il prossimo tuo ha messo ancora una volta in luce il carattere solo apparentemente oggettivo della scienza, richiamando al fatto che, quando conosciamo attraverso essa ed il suo metodo una realtà esterna a noi, escludiamo noi stessi dal raggio di conoscenza ed allora quest’ultima diviene “relativa” al soggetto che vi si approccia.

I relativisti si appoggiano a questo modo di conoscere la realtà proprio perché il modo di manifestarsi di qualsiasi cosa cambia a seconda della situazione e del soggetto e non rimane costante tutte le volte in cui si manifesta. L’episteme, a differenza della scienza, non si caratterizza per la sua volontà di conoscere il modo di “accadere” o “manifestarsi” delle cose ma più profondamente vuole conoscere il “che cosa” sia questa cosa, al di là del suo prospettico manifestarsi.

 

Affermare che la verità sia relativa o che sia assoluta cambia fondamentalmente il modo ed il grado di conoscenza di qualcosa: se l’episteme vuole giungere a conoscere la verità di qualcosa, quindi la totalità di ciò che si sta conoscendo, la scienza non vuole conoscere totalmente una cosa ma solo il modo di manifestarsi a noi. E allora non è lo stesso relativista a voler conoscere relativamente qualcosa? A non voler andare “oltre” una determinata prospettiva? Egli si arresta al modo – uno dei modi – in cui la verità accade, ma non la coglie mai e non sembra voler farlo.

 

Il relativismo non si afferma come modo di essere della verità ma come modo di conoscere la realtà: il relativista allora è colui che non vuol vedere la verità.

 

22 agosto 2018

 




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