Convergenze parallele: Cioran lettore di Joseph de Maistre

 

Il limite di ogni rivoluzione è nel fatto che essa realisticamente e costituzionalmente non può far altro che prolungare il passato e perciò dopo che abbia avuto accesso al potere non si preoccuperà più di distruggere quel passato ma di tutelare il suo presente.

 

 

Sono poche e sfolgoranti le pagine dedicate da Emil M. Cioran a Joseph de Maistre sul finire degli anni Settanta del secolo scorso.  Al lettore italiano arrivano grazie all’ottima traduzione di Riccardo De Benedetti che ha curato anche la prefazione al volume (Emil M. Cioran, Saggio sul pensiero reazionario. A proposito di Joseph de Maistre, Medusa Edizioni, Milano, 2018, pp. 116). La riflessione di Cioran mette al centro una coppia dicotomica di concetti: reazione e rivoluzione. In entrambi egli scorge una cifra caratteristica della modernità che è riflessa nella convergenza dialettica tra la figura del reazionario e del rivoluzionario. Il nesso è stabilito dal fatto che i due concetti sono animati dal motore dell’utopia. La distanza tra questi ultimi è segnata invece dal tempo. Perciò se il primo è rivolto al passato e quindi al tempo che più non è, il secondo invece guarda al futuro e perciò al tempo che ancora non è. Prendere un partito o l’altro per Cioran è solo la «follia d’immaginare che la verità consista nella scelta, quando ogni presa di posizione equivale a un disprezzo della verità». Sfuggire a questa scelta è però impossibile e infatti nota: «Ciò che sembra certo è che “la storia” procede da un’identità spezzata, da una lacerazione iniziale, sorgente del multiplo, sorgente del male». La storia è vista come frutto diabolico in senso etimologico, è il regno in cui il male si moltiplica e di contro: «Ogni saggezza e, a maggior ragione ogni metafisica, sono reazionarie, così come si addice a ogni forma di pensiero che, in cerca di costanti, si emancipa dalla superstizione del diverso e del possibile». All’origine delle concezioni politiche sociali e individuali per Cioran c’è quindi una «visione del tempo» che diventa «l’agente di una metamorfosi totale». Reazionari e rivoluzionari discepoli ed epigoni di Eraclito? Entrambi per Cioran vogliono fermare il divenire e quindi il male, ma procedono in direzioni parallele perché da un lato stanno quelli che odiano il «movimento come tale», Joseph de Maistre è tra questi, dall’altro il rivoluzionario  e Cioran pensa ovviamente al tipo del marxista  che «idolatra il divenire solo fino all’instaurazione dell’ordine per il quale ha combattuto». Cioran con Joseph de Maistre scopre però una verità e cioè che al fondo del potere s’agita il mistero, i reazionari questo lo predicano sfacciatamente, i rivoluzionari invece hanno voluto svelare il mistero e per questo hanno potuto decollare il re dopo aver gridato alla sua nudità. Da ciò deriva «la disperazione dell’uomo di sinistra» che combatte «in nome di principi che gli impediscono il cinismo». Il limite di ogni rivoluzione è perciò nel fatto che essa realisticamente e costituzionalmente non può far altro che prolungare il passato e perciò dopo che abbia avuto accesso al potere non si preoccuperà più di distruggere quel passato ma di tutelare il suo presente (tentando di eternizzarlo) ed è tramite questo dinamismo immobile che la rivoluzione come in un movimento dialettico di matrice hegeliana si tramuta in ciò che aveva combattuto e cioè nella reazione. Ed è ancora per questa ragione che Cioran dichiara di intravedere nell’anarchico solo un reazionario che attende la sua ora. Cioran nel suo Saggio sul pensiero reazionario è alternativamente affascinato e respinto dalla figura di Joseph de Maistre, tanto da considerarlo «epitome» del pensiero reazionario come ricorda De Benedetti nella prefazione e va da sé che gli riconosca sol per questo una grandezza intellettuale. Ovviamente però non può sorprendere il suo giudizio finale: «più lo si frequenta, più si pensa alle delizie dello scetticismo o all’urgenza di una perorazione per l’eresia», scrive. Certo è che al transilvano non mancava l’ironia e il gusto del paradosso perché il termine eresia deriva dal greco αἵρεσις e significa propriamente scelta.

 

9 agosto 2019

 








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