Tracce per una critica del presente

 

Ora possiamo tranquillamente affermare che non solo il soggetto sia un mezzo attraverso cui il capitale produce ma anche assoggettato (d)alla stessa produzione. Tutto ciò va ad occupare ogni singolo attimo della vita delle soggettività, ma cosa degna di nota e sicuramente molto più pericolosa, è che le industrie, a cui si aggiunge anche quella culturale, cercano di eliminare ogni singolo attimo di riflessione

 

 

Filosofare è ridisegnare il paesaggio, riassemblando i corpi i desideri i rapporti tra singolarità. È immergersi nel presente e scoprirne la miseria; ma è anche aprirsi al possibile e alla sua ricchezza. Crediamo nella lezione consegnataci da Foucault, e la rilanciamo: sì, i saperi sono fatti per prendere posizione, ed ora stiamo prendendo la nostra posizione. Proprio perché, eredi della lezione marxiana, crediamo fermamente che la critica non possa e non debba rimanere al solo livello teoretico ma che anzi questa debba istituirsi a partire dalle contraddizioni del proprio tempo. Bisogna recuperare, riscoprire l’esistenza autentica contro l’inautenticità del quotidiano in cui violentemente siamo gettati.

Il nostro presente è impregnato dalla miseria del sovranismo e del populismo, dal fascismo istituzionale e dal crescente desiderio di fascismo nelle masse, dal governo disciplinare e securitario dei flussi di persone e dal liberismo dei flussi di merci. Il nostro presente ci consegna la miseria economica di fette sempre più grandi della popolazione globale, mentre solo 26 persone posseggono quanto 3,8 miliardi [1]. Ma per comprendere meglio il presente, riteniamo sia opportuno fare un passo indietro.

 

Tra populismo e neoliberismo: dentro e contro il "there is not alternative"

 

1989. La caduta del muro di Berlino segna, simbolicamente, la rottura del patto tra economico e politico. Il dualismo geopolitico, che ha segnato la vita politica sociale economica e culturale del secolo breve, crolla assieme a quel muro.

Ma a crollare non è solo o prima di tutto il dualismo politico ma un vero e proprio dualismo ontologico, perché dopo il crollo si incontrano quelle che sono due strutture ontologiche fino a quel momento completamente separate, politicamente opposte, soggettività che non avevano avuto alcun modo di conoscere l’alterità presente dall’altra parte del muro.

Dopo il 1989 si ha la necessità di ristabilire una politica sintetica ed unitaria dei due sistemi, cadono le “ideologie” ma allo stesso tempo viene annullata ed annientata la volontà emancipativa dei singoli soggetti stabilendo quella che è un’economia di tipo liberista.

I processi, interni ad entrambi i poli, di modificazione strutturale e infrastrutturale del lavoro, della società, dell’economia scoppiano come una bomba ad orologeria. Inizia una nuova epoca, di cui si sono date generalmente due letture contrapposte: quella postmoderna, che guarda all’autonomia dell’economico rispetto al politico come ad una totale liquefazione dei valori e dei rapporti sociali, che non appaiono più strutturabili; quella statalista (e poi populista e sovranista), che vede nell’autonomia del politico la risposta unica alla direzione capitalista dei processi di globalizzazione [2].

Crediamo, invece, che il presente richieda altro. Innanzitutto, la geometria tra politico, sociale ed economico non può continuare a vertere attorno ad un assolutismo dell’economico. Perché «là dove c’è potere c’è resistenza» [3], come dimostrano anche i fatti. Inoltre, per quanto riguarda la risposta statalista, crediamo che qualunque sogno di uno Stato rinforzato, di ritorno all’autonomia del politico e di rivendicazione di sovranità  tutti questi disegni, progetti, sogni sono destinati a fallire. Ma, fallendo, fanno male. Questo per quanto riguarda la sinistra  se, invece, volgiamo lo sguardo ai sovranismi e ai populismi di destra, osserviamo come sia proprio a loro che spetti il compito di portare al potere tali rivendicazioni. La migliore traduzione, dal punto di vista tecnico, del populismo di destra è appunto quella di Bolsonaro: guerra alle donne e alle differenze di genere, violenza di polizia, assassinii politici, impoverimento dei molti a favore dei pochi in nome del popolo, della patria, della famiglia. E allora, che la destra faccia la destra e la sinistra faccia (o tenti di fare) la sinistra. Certamente, non si può rincorrere né il polo moderato del liberismo (globalizzazione economica) né quello radicale del populismo o del sovranismo (rifiuto della globalizzazione e ripresa del nazionalismo).

 

 

Il primato logico-ontologico del sociale sul politico e sull’economico

 

Questo terzo spazio, prendendo in prestito le parole di Marsili e Varoufakis [4], da dove emerge? Da dove nasce la sua possibilità? La nuova geometria tra politico, sociale ed economico è in continua riconfigurazione, ma in essa appare evidente che una posizione privilegiata sia ricoperta dal sociale. D’altro canto il politico e l’economico hanno origine da esso, il prodotto ai capitalisti è fornito dagli stessi individui a cui è precluso l’accesso alla loro stessa produzione.

Ora ci torna utile la lezione consegnataci da Foucault  grazie al filosofo francese possiamo notare che tutto sia calcolato in misura di capitale (denaro), la stessa frase “il tempo è denaro”, emblema del capitalismo, sviscerata e portata alla sua essenza ci rivela la nostra stessa condizione di vita in cui versiamo. Ciò che importa è massificare, rendere oggetto le masse e di conseguenza poter agire un controllo su di esse che, come nella nostra epoca, sarà del tutto nascosto. Questo accade proprio perché la nostra esistenza è reclusa in una mera “vita economica”, il sociale non si rende più conto di essere stretto in una morsa in cui si valuta l’azione di un governo soltanto in base ai dati economici.

I singoli soggetti non sono più in grado né hanno la possibilità di poter prendere posizione diversa rispetto, ad esempio, al ministro degli interni. Cosa ci spaventa di questo? Il fatto che, per il popolo, “va tutto bene”.

Il sociale ricopre una posizione potentemente ambivalente  sulla quale ritorneremo nell’ultimo intervento  che qui riassumiamo: esso si pone come condizione tanto della produzione del politico quanto della riproduzione dell’economico, e al tempo stesso è riconfigurato da essi. Viene, cioè, ontologicamente e logicamente prima del politico e dell’economico, ma emerge cronologicamente nel mentre o a posteriori. È proprio in questa ambivalenza, in questo stare prima e tra, che il sociale si presenta come terzo spazio  alternativa, cioè, tanto al neoliberismo quanto al sovranismo, tanto al partitismo quanto al populismo, tanto al securitarismo quanto al pan-penalismo. Infatti, è sempre stato dal sociale che il capitale ha preso la misura  di tempo socialmente necessario e tempo eccedente, quindi di valore e plusvalore , è sempre dal sociale che sono emerse le forze egemonizzate e organizzate dal tempo di fabbrica, dalla cultura, dalle istituzioni sovrane, dal sistema dei partiti del Novecento. Ciò che oggi fa sì che il sociale non sia solo terra di mezzo tra economico e politico, ma proprio condizione d’esistenza di entrambi sta nell’annichilimento della funzione di emancipazione che il secondo polo ha ricoperto nei confronti del primo all’interno dell’intero arco della storia costituzionale dello stato moderno. Il rapporto tra diritto pubblico e privato, infatti, oggi crolla in una piena egemonia del secondo rispetto al primo - stato d’emergenza permanente, il divenire-totale della dimensione penale, il divenire-militare della polizia e il divenire-polizia dell’esercito [5] ne sono la piena dimostrazione.

 

 

Tempo, produzione, vita: l’inautenticità oggi

 

La temporalità è totale, in cui tempo di lavoro e tempo di non-lavoro  la vita sans phrase  si fondono in un continuum difficile da classificare secondo il vecchio dualismo dell’ozio e del lavoro proprio dell’antichità, decostruendo la vecchia distinzione e classificazione, che noi potremmo definire a posteriori anche costitutiva, tra otium e negotium, il cui prodotto di queste due fasi va a formare l’umano come soggetto della modernità.

Ora possiamo tranquillamente affermare che non solo il soggetto sia un mezzo attraverso cui il capitale produce ma anche assoggettato (d)alla stessa produzione. Tutto ciò va ad occupare ogni singolo attimo della vita delle soggettività, ma cosa degna di nota e sicuramente molto più pericolosa, è che le industrie, a cui si aggiunge anche quella culturale [6], cercano di eliminare ogni singolo attimo di riflessione, di pensiero affinché non ci sia una comprensione della propria miserevole situazione. Questo processo, descritto da Marx attraverso il rovesciamento del concetto hegeliano di alienazione, lo abbiamo visto all’opera nella fabbrica fordista attraverso la catena di montaggio. Oggi lo ritroviamo più potentemente nel divenire-tayloristico tanto dell’istruzione [7] quanto nell’organizzazione del lavoro cognitivo [8]. Nel sociale, dunque, nei suoi differenti plateaux, ritroviamo i processi di soggettivazione/assoggettamento che stanno alla base dei processi di sussunzione e valorizzazione di capitale.

Tutto ciò di cui abbiamo parlato fino ad ora vuole essere un’introduzione ad un’analisi più ampia dell’esistente. Abbiamo tracciato le linee di quello che seguirà dove proporremo una cartografia in cui mobiliteremo quanto qui solo esposto in maniera superficiale, ma  secondo noi  efficace per l’intrapresa di questo discorso. Dunque, nel prossimo intervento proseguiremo intensificando l’analisi del crollo della sovranità stato-nazionale all’interno dello spazio europeo, e inoltre indagheremo teoreticamente il concetto di moltitudine; poi, nel terzo intervento, allargheremo l’analisi sul concetto di comune, assieme a quello delle sue istituzioni possibili.

 

[1] A tale proposito, si veda: https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2019-01-21/disuguaglianze-26-posseggono-ricchezze-38-miliardi-persone-094242.shtml?uuid=AEldC7IH.

[2] Per quanto riguarda la prima lettura, rimandiamo ovviamente a: Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002. Inoltre, sul postmoderno “politico” rimandiamo a: G. Vattimo, P. A. Rovatti (a cura di), Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 1983; M. Cacciari, Krisis, Feltrinelli, Milano 1976. Per quanto riguarda, invece, la seconda lettura ci riferiamo a M. Tronti, La politica al tramonto, Einaudi, Torino 1998; ma anche, seppur più recente, E. Laclau, La ragione populista, Laterza, Roma-Bari 2008.

[3] M. Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano 1978, p. 84.

[4] L. Marsili, Y. Varoufakis, Il terzo spazio. Oltre establishment e populismo, Laterza, Roma-Bari, 2017.

[5] A. De Giorgi, Guerra globale e controllo metropolitano in AA.VV., Controimpero. Per un lessico dei movimenti globali, Manifestolibri, Roma 2002, pp. 28-30.

[6] M. Horkeimer, T. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1966, pp. 126-127.

[7] R. Ciccarelli, Capitale disumano. La vita in alternanza scuola-lavoro. Forza-lavoro 2, Manifestolibri, Roma 2018.

[8] A. Fumagalli, Economia politica del comune. Sfruttamento e sussunzione nel capitalismo bio-cognitivo, DeriveApprodi, Roma 2017.

 

12 aprile 2019

 









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