Dov'è finito l'illuminismo?

 

Siamo giunti alla fine della grande spinta razionale generata dall’illuminismo o, come affermano Max Horkheimer e  Theodor W. Adorno, lo stesso Illuminismo non c’è mai stato?

 

Immanuel Kant, il più grande pensatore illuminista, spesso mette tutti d’accordo. Ci si potrebbe allora rivolgere a lui, più che a pensatori più ideologi o militanti come ad esempio Voltaire, per provare a capire in che cosa è consistito quello straordinario fenomeno che va sotto il nome di “illuminismo”. Quello che Kant intuisce perfettamente è che esso riconosce finalmente il senso di uguaglianza che la ragione afferma in noi, proprio perché ognuno ne è dotato e non può farne a meno per orientarsi nel mondo, come egli stesso scrive nel saggio “Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo”:

 

« L'Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d'intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'Illuminismo. »

 

La ragione è ciò che ci consente di uscire dal  “sonno dogmatico”, ma allo stesso tempo secondo Kant ci spinge oltre, verso ciò che non conosciamo, verso l’ignoto che instancabilmente vogliamo ma non possiamo conoscere. Non siamo più fermi in noi stessi, con le nostre solide convinzioni, ma mettiamo tutto in dubbio e, facendo questo, allora ne stiamo facendo il giusto uso: quindi possiamo affermare che prima di tutto mettiamo in dubbio, così come fece il grande René Descartes, proprio noi stessi, che fino a questo momento siamo stati la nostra unica fonte di certezza assoluta. Ciò significa che ci immergiamo in un mare di certezze relative? Assolutamente no! In questo modo allontaniamo il relativismo proprio perché abbandoniamo quelle certezze che sono nostre e solamente nostre.

 

In ciò si coglie il valore essenzialmente democratico della ragione in quanto essa permette di mettere in dubbio ogni cosa, persino il proprio sé, liberando l’uomo dalle gabbie di un individualismo soggettivistico ed egoistico. La ragione illuminista è per sua natura “comunitaria”.

 

Nel Novecento i due dioscuri della Scuola di Francoforte, Horkheimer e Adorno, hanno sollevato qualche dubbio su tale ottimismo emancipativo proprio di Kant e degli illuministi. Nella loro opera più celebre, Dialettica dell’illuminismo, i due hanno provato a mostrare come l’illuminismo stesso abbia prodotto de facto dei risultati del tutto opposti ed in controtendenza rispetto a ciò che si proponeva di fare: ha cioè illuso l’uomo di essere totalmente invincibile e immortale, e perciò lo ha persuaso che è il suo io e solo il suo io che genera valori assoluti da perseguire. Caso emblematico è il grado di superiorità che l’uomo nutre nei confronti della natura stessa attraverso lo sviluppo della tecnica, rilanciando con forza inaudita la proposta baconiana di un metodo scientifico volto al dominio del mondo e al conseguimento della potenza.

Ciò si vede bene nell’allegoria di Ulisse e le sirene proposta dai due filosofi tedeschi in un capitolo dedicatogli (Odisseo, o mito e illuminismo): la figura di Ulisse è presentata come quella dell’uomo moderno schiavo dei risultati dell’illuminismo. Nel momento in cui Ulisse incontra le sirene si fa attaccare all’albero della nave e costringe gli altri uomini presenti su di essa a remare con la cera sciolta nelle orecchie per non ascoltare il loro canto mentre egli è legato: in tal modo solo egli può ascoltare e non cadere nella loro trappola.

 

Cosa vogliono suggerire Horkheimer e Adorno con questa allegoria? I due pensatori affermeranno che l’illuminismo in realtà ha prodotto il contrario di ciò che si proponeva di risolvere, o addirittura non c’è mai stato dal momento che esso conferisce all’uomo un potere assoluto che finisce paradossalmente con lo schiavizzare e rendere imbelli i singoli, deprivati di autentica emancipazione.

 

Ritornando al punto di partenza: dov’è finito l’illuminismo? Tutto ciò che è stato fatto da Descartes e Kant è stato spazzato via con enorme facilità: oramai abbiamo perso la capacità di mettere in dubbio noi stessi, siamo disperatamente ritornati a credere solo in verità presupposte e nella dialettica quotidiana si usa sempre più spesso una falsa modestia che nasconde la volontà di affermare se stessi come delle realtà assolute. Ciò che abbiamo perso soprattutto è la fiducia nell’altro, in chi ci sta di fronte, perché oramai crediamo di essere autosufficienti e che il nostro misero bagaglio culturale (la nostra “piccola ragione”) possa bastarci per tutta la vita, perché “l’altro” per me non è più fonte di meraviglia e di arricchimento ma è semplicemente ciò di cui non ho bisogno, o peggio ciò che è inferiore a me. L’illuminismo, come secolo dei lumi, ha esaurito la spinta democratica ed emancipatrice e siamo oramai impantanati nella banalità di ogni giorno, senza apparente via d’uscita dallo stato delle cose attuale.

 

11 gennaio 2018

 




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