La forza e il potere

 

Tutti gli esseri – dai sudditi ai potenti – sono soggetti all’influsso della forza, tutti gravitano attorno al potere: chi subendo, chi agendo-subendo. Nessuno ne è immune. 

 

J.L. David, "Il giuramento degli Orazi" (1785)
J.L. David, "Il giuramento degli Orazi" (1785)

 

“Forza” e “potere” sono due tematiche che vengono spesso prese in esame nelle discussioni più varie. La loro attualità non potrà mai cessare, poiché i rapporti di forza e di potere rimangono caratteristiche fondative di ogni società civilizzata. Un mondo senza di esse ci appare tanto estraneo e fantasioso quanto le più felici e utopiche favole infantili. 

 

Le questioni che sorgono al cospetto di questi due temi sono innumerevoli, ma ciò non preclude una loro – seppur lieve – analisi. Quali sono gli effetti della forza e del potere? Possono essere detenute da un soggetto o questo pos-sesso gli si ritorcerà contro? Vi sono differenze tra loro? Insomma, cosa sono il “potere” e la “forza”?

 

La forza, intesa come atto coercitivo, è al centro di ogni vicenda umana. Un’opera che si prefigga di analizzarne la costituzione è destinata a divenire specchio della nostra società. La forza esercitata nei confronti di un essere umano, può essere intesa come «ciò che trasforma in cosa chiunque le sia sottomessa» (S. Weil, L'Iliade o il poema della forza), ovvero è, semplicemente, ciò che permette di convertire un uomo in un cadavere. Ma non solo, la forza può addirittura cosificare un uomo vivo e vegeto. Gli sventurati, costretti a questa cosificazione, temono di essere ridotti a cadaveri; in tal modo essi, vivendo in uno stato di perenne minaccia e pericolo, imitano ciò di cui hanno paura, trasmutandosi in cose: «È una morte che dura tutta la vita; una vita che la morte congela ben prima di sopprimere» (S. Weil, L'Iliade o il poema della forza).

 

S. Weil (1909-1943)
S. Weil (1909-1943)

 

Colui che possiede la forza, però, non rimane totalmente illeso dalla portata del suo stesso agire. Egli, anzi, subisce svariate ripercussioni sul suo agire. Innanzitutto, la potenza – intesa come possesso della forza – «racchiude in sé una sorta di fatalità che pesa con eguale spietatezza su coloro che comandano e su coloro che obbediscono; […] essa asservisce i primi nella misura stessa in cui schiaccia i secondi» (S. Weil, Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale).  Ciò è dovuto al fatto che i potenti, per mantenere il loro primato di forza, devono combattere un tempo contro i loro avversari e contro i loro inferiori, i quali ovviamente cercheranno di sostituirsi al padrone attraverso la loro – seppur minore – forza violenta.

 

La forza schiaccia parimenti sia chi passivamente subisce, sia chi attivamente agisce, poiché nessuno veramente la possiede, se non in modo apparente. La sua non detenibilità deriva dalla sua peculiare instabilità. Questa è causata dal fatto che le premesse della potenza (privilegi sociali, comando, rapporti di dominio, ecc.) sono esterne all’uomo stesso, e quindi non facilmente conservabili. Più che di potere, allora, si dovrebbe discutere di corsa al potere, alla quale si sacrifica tanto l’esistenza degli oppressi, quanto quella degli oppressori.

 

Un altro fattore a cui i detentori della forza devono badare è il comando. Esso viene metaforicamente paragonato da Elias Canetti in Massa e potere ad una freccia, mentre chi comanda a un arciere. L’arciere, scoccando una freccia e percependo di aver colpito il bersaglio, subisce un contraccolpo; ciò accade anche in chi comanda. Molti contraccolpi creano uno stato di angoscia del comando. Questo stato è dovuto al senso di pericolo che genererebbe una eventuale inversione delle parti (comandante-suddito). Il rischio dell’inversione delle parti è percepito poiché chi subisce il comando non viene ucciso da questa “freccia”, ma, anzi, i minacciati vivono e si ricordano della ferita subita. Dunque, da maggior potere di comando deriva, necessariamente, maggiore angoscia. 

 

E. Canetti (1905-1994)
E. Canetti (1905-1994)

 

Il potere esercitato dal potente è chiaramente esemplificabile nella situazione del gatto e del topo. Il gatto gioca con il topo, lo tiene sorvegliato, lo lascia muovere – ma non scappare –, la situazione è tenuta costantemente sotto controllo. Tutto ciò: «spazio, speranza, sorveglianza, interesse per la distruzione» (E. Canetti, Massa e potere) è l’essenza del potere stesso. Il potere, rispetto alla forza, è più ampio, prevede pazienza e maggiore tempo.

 

In ultima analisi risulta che tutti gli esseri – dai sudditi ai potenti – sono soggetti all’influsso della forza, tutti gravitano attorno al potere: chi subendo, chi agendo-subendo. Nessuno ne è immune. 

 

« E allora cos’è questa grande potenza, che è temuta in sommo grado da coloro che la posseggono, che nemmeno quando tu la vuoi avere ti rende sicuro, e, quando la vuoi deporre, non la puoi scansare? » (S. Boezio, La consolazione della filosofia).

 

 19 giugno 2019

 




DELLO STESSO AUTORE

L'etica dell'intenzione di Abelardo

 

 






  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica