The tree of life: dalla Musica alla Metafisica, passando per la Meraviglia

 

La “Meraviglia” accompagna da sempre la filosofia: The tree of life ne è la lode a tale stupore originario. Rivediamo alcune tappe di quest'opera intramontabile e commovente che si presenta nel segno di un insanabile conflitto tra la Grazia e la Natura.

 

 

The tree of life di Terrence Malick (2011) è un film dall'estetica sbalorditiva, col suo montaggio che alterna in modo disinvolto e magnetico scenari immensi e prodigiosi dettagli microscopici. Sospeso tra un filo d'erba e una scogliera in tempesta, “l'albero” di Malick è anche un'opera profondamente concettuale e meditativa.

 

La riflessione qui proposta prende avvio dalla scelta di una delle splendide melodie della colonna sonora del film: il brano Funeral canticle del compositore britannico John Tavener. Un canto estatico ma anche straziante. 

Perché Malick sceglie un carme lancinante per celebrare la potenza generatrice dell’universo?

Perché un cantico mortifero per esaltare vivaci girasoli, esplosioni di vulcani, vapori di geyser, maestosi dinosauri, mari in tempesta, brulicare di protozoi e meduse sinuose? 

Perché una lode mortuaria a una festa di creature multiformi che scaturiscono da una fiamma? Perché Malick, col suo altissimo senso del miracolo immanente, sceglie un canto funebre come inno alla vita?

 

Malick, nel suo panteismo paradossale, sembra dire che la Meraviglia della natura è il funerale dello Spirito. La bellezza della natura è una trappola che ci trattiene dalla Grazia. La nascita della materia è la morte dello spirito e con esso della dimensione beata della Grazia. È il pianto dell’universo che soffre perché esiste; l'esistenza è conflitto e paura.

La sua bellezza è seducente ma crudele, apparente e inconsistente come già nel dualismo platonico.

Nella tradizione del beghinaggio, le religiose definivano l'umanità “stirpe di Satana”, in piena corrispondenza con la visione comune ai, seppur diversi, movimenti gnostici, radicalmente dualistici.

 

Salvador Dalí, "Galatea delle sfere" (1952)
Salvador Dalí, "Galatea delle sfere" (1952)

 

Vediamo galassie grandi ingoiare quelle più piccole; i bambini come Jack, il protagonista, che covano rancore per il padre; cellule inglobare altre cellule, nell'intrattenimento mondano della lotta e della prevaricazione. 

Le creature, umane comprese, si trovano al mondo e sono disposte a tutto per restarci e “giocare” alla sopraffazione, nel ruolo di prede e predatori, vittime e aguzzini, dinosauri che mangiano e dinosauri che vengono mangiati. Non riescono a liberarsi dall’esca del piacere e della bellezza erotica del cosmo, non riescono ad affrancarsi dall’oscillare degli opposti e dei contrari della dualità, dal cannibalismo, dalla dipendenza reciproca tra sottomettere e dominare. 

 

Il regista sembra quindi recuperare l'antitesi metafisica tra Grazia e Natura, dialettica fondamentale nella teologia di Sant’Agostino, e già pilastro veterotestamentario. L'auspicio escatologico è quello di una dimensione ultraterrena dove le creature antagoniste non dipendano più dall'assorbimento energetico delle altre, dimensione nella quale la natura non ha bisogno di auto-divorarsi per alimentare sé stessa. Stato di Grazia in cui nessun individuo combatte per mantenere solida la propria identità biologica e psicofisica, ma scopre la beatitudine nella diluizione dell'io in Dio. In cui il leone pascolerà con l'agnello senza necessità di fuggire e rincorrere, di nutrirsi l'uno dell'altro, senza alcuna tendenza cainitica. Annullamento dell'ego, davvero vivificante nella reintegrazione col divino, e che ritroviamo simbolicamente nell'espoliazione del sacerdote, nel voto di povertà e castità del monaco, nel rifiuto liberatorio del mondo da parte del mistico

 

Michelangelo, "Cappella Sistina-Profeta Isaia"
Michelangelo, "Cappella Sistina-Profeta Isaia"

Nell'Antico Testamento leggiamo infatti Isaia 11, 6-9:

 

« Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncino pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà.

 

La vacca e l'orsa pascoleranno insieme; si sdraieranno insieme i loro piccoli. Il leone si ciberà di paglia, come il bue.

Il lattante si trastullerà sulla buca dell'aspide; il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi.

 

Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la saggezza del Signore riempirà il paese come le acque ricoprono il mare. »

 

Anche nel manicheismo iraniano riscontriamo l'invito, anzi l'urgenza, di lasciare il mondo materico, a vantaggio di una condizione ultra-mondana più felice. In questa religione il mondo è il frutto insano di un'ibridazione tra tenebre demoniache e luce divina: auspicabile per la salvezza dell'anima è il ritorno allo stato pre-cosmico di separazione di queste due nature, affini a quelle che qui come nel lungometraggio chiamiamo Grazia e Natura. Il manicheismo prevedeva ferree regole alimentari, una dieta in funzione salvifica sia del soggetto che del divino, che aveva la missione cosmica di districare tramite la digestione, particelle divine imbrigliate nel cibo-materia. Questa religione soffriva il lutto dello spirito nella natura, ma al contempo lodava i colori, lo splendore e la meraviglia dei fiori, degli animali e degli elementi. Proprio come The tree of life.

 

Malick sembra carico di entusiasmo e insieme di repulsione per l'esistenza che si manifesta. Tentato dalla natura, ma anelante alla Grazia, combattuto tra il lutto che è il mondo e la vera vita che è altrove. Anche nella cultura orientale troviamo questo dualismo tra mondo fenomenico soggetto al perire e mondo divino, inalterabile dalle leggi del tempo, del mutamento e della sopraffazione. Tuttavia nelle religioni abramitiche il cosmo è frutto di un'intenzione creatrice, nella tradizione orientale esso deriva da uno sgorgare spontaneo, da un traboccare intelligente, ma non per questo propriamente volontaristico (nell'emanazionismo plotiniano troviamo probabilmente la cosmogonia occidentale che più si avvicina a questa concezione). 

Il protagonista, Jack, sembra diviso tra il padre (l’affermazione del sé sulla terra) e la madre (la diluizione del sé in Dio), prendendo ancora in prestito il registro filosofico d'Oriente, tra la vita karmica e la beatitudine nirvanica, tra la permanenza nel mondo e l’abbandono del mondo. 

Il mondo, come un film da ammirare e sul quale riflettere.

 

5 ottobre 2019

 




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