A regola d'arte. Intervista a Monica Nappo

 

In un’epoca come la nostra, in cui la cultura artistica viene considerata con notevole distacco e indifferenza, avere l’opportunità di confrontarsi con un’attrice e regista teatrale come Monica Nappo è stato un onore immenso. Grintosa, controcorrente, alternativa, Monica si forma a Napoli, dove a soli diciotto anni apre un teatro con dei giovani colleghi. Inizia da subito a lavorare in teatro, prima con Mario Martone, poi con Cesare Lievi e poi con la compagnia di Toni Servillo, per più di dieci anni. Nel cinema ha lavorato con registi importanti, quali Silvio Soldini, Antonio Capuano, Paolo Sorrentino, Matteo Garrone, Woody Allen e Ridley Scott.

 

di Francesca Zaramella

 

 

Abbiamo affrontato con Monica alcune questioni fondamentali declinate nel mondo dello spettacolo, per lo più cinematografico e teatrale.

 

F: Quanto è difficile – dal punto di vista femminile – l’affermazione nell’ambito dello spettacolo?

 

M: Ho avuto la fortuna di essere amica di Piera degli Esposti, e questo argomento lo avevamo toccato più volte. Piera ci scrisse anche un articolo-intervista per Rutelli e cito una sua frase emblematica di un lungo discorso perché le sue parole secondo me non hanno mai trovato la condivisione che meritavano: «Sicuramente il ruolo della donna è cambiato, cambia anche a distanza di pochi anni, però l’unica volta che ha avuto un fiorire è stato nel Rinascimento tramite la commedia dell’arte dove c’erano delle maschere femminili che rivendicavano la loro autonomia».

Personalmente credo che l'affermazione sia sempre  difficile, che tu sia uomo o donna. Soprattutto in Italia, se non hai santi in Paradiso, è ancora più arduo. Qui poi la donna indipendente viene vista con più diffidenza rispetto ad altri Paesi ed ogni volta fai molta più fatica. Pensa soltanto a quante poche donne l'Italia concede di dirigere un teatro, eppure il campo dell'arte dovrebbe essere il più innovativo sotto ogni punto di vista... Per smantellare il concetto di patriarcato serve impegno da entrambe le parti e invece molte volte le donne non sono neanche prese in considerazione per delle cariche, e non mi sembra ci manchino i talenti, anzi. Ma non bisogna demordere, bisogna iniziare a scrivere storie diverse che smuovano le coscienze.

 

F: Se e come è cambiato il ruolo della donna negli ultimi anni?

 

M: Il processo di cambiamento del ruolo femminile è veloce e lento allo stesso tempo. Lento perché si parla di archetipi. Ad esempio, in Inghilterra, non è così difficile come in Italia l’affermazione femminile. Perché? Perché come esempi hanno la regina Vittoria, quella attuale, la Thatcher, il movimento delle suffragette. Tutti esempi femminili di potere e quindi  nel loro immaginario collettivo ci sono state molte donne che hanno fatto la storia e che erano al comando. Noi siamo ancora alla Rai che fa il servizio a ora di pranzo di come una donna deve vestirsi in modo sexy per andare a fare la spesa, alle polemiche sulle donne solo vallette e non presentatrici. Insomma... un altro pianeta. Per quel che riguarda il nostro campo, ad esempio, in Italia è più difficile perché non si guarda all’attrice brava, piuttosto all’attrice bella, e quindi in primis deve avere i requisiti che richiedono dei prestabiliti canoni estetici. Per fortuna ci sono alcune eccezioni accolte bene dal pubblico, ma sono ancora troppo poche per determinare una controtendenza. Anche perché, quando questi canoni sono stati ignorati, hanno sempre portato successo.

 

Teatro della Pergola, Firenze
Teatro della Pergola, Firenze

 

F: Perché, secondo te, ci sono spesso poche pari opportunità e poca curiosità verso nuovi modi di espressione?

 

M: In realtà, credo ci sia poco rischio da parte di chi produce nel dare voce a qualcosa di più inusuale. Spesso, viene data precedenza ad una recitazione piccolo-borghese molto minimalista e piatta. Ma spero, ad esempio, che ci siano sempre più diverse voci di donna a scrivere, non possiamo lamentarci che ci siano delle storie a taglio unico se non ci mettiamo anche noi in gioco nell'inventarne di nuove.

 

F: Potere comunicativo delle immagini. Che tipo di messaggio ci può dare un’immagine cinematografica?

 

M: L’immagine ha il potere di materializzare gli stati d’animo, di sedurre (convincere), di rivelare. Poi dipende anche dal soggetto che guarda con che occhi sta guardando, certo. Ma credo sia comunque seduzione nel senso di convincerti a credere alla mia storia, al sapertela raccontare facendoti venire più curiosità. Parlando in senso metaforico mi riferisco a quel ladro/artista che cerca di scassinare la cassaforte, trovando la combinazione giusta per entrare nello spettatore. Più porte sai aprire e più riesci a comunicare qualcosa e a creare una connessione con il pubblico. Se riesci a creare connessioni su più livelli è il massimo. Non è detto che per arrivare a tanti devi essere banale, anzi. La semplicità arriva a tutti: per Leonardo Da Vinci era la forma più alta di sofisticazione.

 

F: Il teatro nell’antica Grecia aveva un ruolo molto importante. Ha ancora uno scopo educativo?

 

M: Qui in Italia c'è una concezione diversa rispetto, ad esempio, al teatro inglese che ha una cultura teatrale molto forte e che concepisce la performance come gli antichi greci, cioè sedersi in cerchio e parlare di quello che avviene nel mondo. Molto spesso in Italia viene finanziato di più il teatro classico, ma la funzione principale sarebbe quella di agganciare emotivamente il pubblico con degli archetipi ma poi si torna alla paura di essere banali e quindi si complicano le cose. Non capisco perché in Italia si pensa che la parola semplice sia sinonimo di banale. Niente di più sbagliato. Noi comunque siamo schiavi dell'estetica, molto spesso mi capita di vedere delle scenografie bellissime, ma di fatto non mi arrivano la storia e le emozioni. Sarebbe importante ripristinare il vero senso del teatro, di comunicare e dare un messaggio penetrante che faccia sentire lo spettatore meno solo. Credo si vada a teatro per sentirsi meno soli, da quando è stato creato.

 

F. Leighton, "Antigone"
F. Leighton, "Antigone"

Negli ultimi due anni, il settore artistico ha sofferto molto a causa della pandemia: sono state offerte poche tutele e pochi diritti per coloro che lavorano nel mondo dello spettacolo, e questo è stato invalidante per la cultura e lo stato di salute delle persone. Il cinema, il teatro, la musica dal vivo, che in Italia troppo spesso vengono relegati alla categoria di semplice “intrattenimento”, dovrebbero invece ritrovare il valore sociale di un tempo, la loro funzione di formazione della cittadinanza. Recuperando questa coscienza potremo ridare nuova linfa non solo ai lavoratori stremati di questo settore, ma anche alla Cultura stessa del nostro Paese, ormai anch’essa, come i lavoratori della cultura, caduta nel dimenticatoio collettivo.

 

Augurando una prosperosa ripresa, insieme lavorativa e culturale, dall’abbruttimento in cui siamo caduti, ringraziamo innanzitutto Monica e la sua attitudine artistica, e insieme a lei tutti gli artisti e i lavoratori che operano intensamente nel settore della cultura per dare identità e coscienza al nostro Paese.

L’arte esiste per tenere vivi gli esseri umani, per dar loro qualcosa per cui valga la pena vivere, per raccontare storie di persone comuni e per comunicare quei valori che danno un significato alla nostra esistenza.

 

9 febbraio 2022

 









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