La Tecnica: rovesciamento tra mezzi e fini

 

È opinione comune che l’uomo moderno disponga degli strumenti tecnologico-scientifici di cui si serve in vista del soddisfacimento degli scopi che decide di imporsi. La presa di coscienza di tale opinione ne attesta la veridicità? A tale quesito, una risposta interessante e particolarmente lucida ci è offerta dal pensiero di Emanuele Severino.

 

di Antonio Tricoli

 

 

U. Boccioni, "La città che sale", (1910-11)
U. Boccioni, "La città che sale", (1910-11)

 

Generalmente, si è soliti evidenziare la differenza che intercorre tra il viver bene per esser ricchi e l’esser ricchi per viver bene; le industrie, ad esempio, invitano i propri dipendenti ad essere onesti, e dunque a viver eticamente, affinché la produzione della ricchezza individuale ed aziendale venga massimizzata il più possibile. D’altro canto, la prospettiva inversa – l’esser ricchi per viver bene – può riuscire più difficoltoso. Quest’ultimo modo di vivere risale addirittura ad Aristotele, per il quale lo scopo supremo dell’esistenza non è quello di esser ricchi, bensì quello di condurre una vita buona, la cui prerogativa fondamentale corrisponda al non star male: se il corpo risulta essere “ostile” a colui che lo governa, dice Aristotele, ciò che ne viene conseguentemente è l’impossibilità del raggiungimento della felicità. In altri termini, si deve necessariamente appartenere alla dimensione del benessere corporeo per poter condurre un progetto di vita che sia sapiente e felice. 

Il concetto del “viver bene per esser ricchi” delle industrie post-moderne – in cui il “viver bene” risulta essere strumento per il godimento dello scopo dell’”esser ricchi” – viene pertanto capovolto rispetto all’originale concetto aristotelico. Più precisamente, il mezzo (il “viver bene”) diventa, per il filosofo greco, il fine; il quale per la sua piena realizzazione, si serve dello strumento dell’esser ricchi. Da qui appunto la massima “esser ricchi per viver bene”. 

 

Tale premessa costituisce solo uno dei tanti esempi di ribaltamento mezzo-fine di cui è costellata la storia dell’uomo. Se, inoltre, si considera la stessa come storia del progressivo sviluppo della civiltà tecnica – quale, effettivamente, la storia dell’uomo è, ne consegue che la riflessione sulla tecnica sia stata, sia, e sarà preponderante all’interno dell’orizzonte della riflessione filosofica e non solo. La perentorietà dell’assioma per cui la storia ed il divenire delle cose del mondo abbiano carattere prettamente tecnico non risponde, d’altra parte, alla domanda principale: «Che cos’è, propriamente, la tecnica?». 

Per Platone – assumendo che la sua sia una risposta che trova riscontro nel contesto storico attualmente abitato dalla tecnica – la téchne è poiesis (produzione). Platone parla esplicitamente della tecnica come della forma di produzione che trasforma l’essere niente delle cose in essere; poiché è un produrre sempre cose nuove, la tecnica fa essere ciò che prima non era e farà essere ciò che ancora non è. In tal senso, la tecnica innova continuamente l’essente. Gli operatori della produzione sono i cosiddetti demiurghi a cui spetta la gestione della produttività delle tecniche: i demiurghi sono, in sintesi, gli operatori della produzione in sé.

 

Il produrre è il carattere tipico dell’uomo. Non v’è umanità senza produttività, fabbricità, tecnicità. Occorre mettere a punto una piccola premessa: anche la nostra è un’epoca tecnica; anzi, contrariamente a quanto si pensa (e pensiero = azione: non esiste un agire consapevole che non sia suffragato da un pensare altrettanto consapevole, così che l’uomo materialmente ricco, se non sa di esser materialmente ricco, finisce con il non appartenere all’essenza dell’esser materialmente ricco), è l’epoca del dominio della tecnica o, se si preferisce, della fede che la tecnica sia strumento nelle mani dell’uomo il quale se ne serve relativamente ai propri scopi. Dunque, anche al giorno d’oggi, seppur superficialmente, si assiste ad uno di quei tanti ribaltamenti mezzo-fine che costituiscono il cuore pulsante dell’esistenza umana. La tecnica guidata dalla scienza moderna – il cui tratto caratteristico è la negazione assoluta di qualsiasi sapere che si ponga come immutabile, incontrovertibile, basti pensare all’enorme disparità che c’è tra una matematica o una fisica ottocentesche, convinte di possedere verità epistemiche, e i modelli scientifico-probabilistici attuali, pienamente coscienti della propria fallibilità – sta assurgendo sempre più, da mezzo che era, a fine ultimo dell’azione umana.

 

Emanuele Severino (1929-2020)
Emanuele Severino (1929-2020)

Tale prospettiva, talvolta poco frequentata, è portata alla luce dal pensiero di Emanuele Severino (1929-2020), al centro del cui discorso circa la questione tecnica, il sottosuolo filosofico degli ultimi due secoli, fonte di quella “follia” che è il fattore comune dei saperi oggi costituiti: la fede nell’assenza di fedi. Pensatori come Leopardi, Nietzsche e Gentile hanno avuto, secondo Severino, il merito di aver portato alle più estreme conseguenze la convinzione del carattere radicalmente diveniente di tutte le cose, così che, sulla base di questa convinzione, che è “la fede indiscutibile dell’Occidente”, non è possibile tollerare alcuna forma permanente del pensare la verità. 

 

Le conseguenze dello “smembramento del Dio” sono sotto i nostri occhi: in campo artistico si fanno largo, prima di tutto nel campo delle arti del Novecento, il rifiuto del “bello assoluto” come modello al quale l’artista debba continuamente rapportarsi, la critica da parte dello Stato democratico allo Stato di tipo assolutistico, la fisica quantistica come distruzione delle precedenti teorie fisiche classiche. Nello spiraglio dell’inesistenza di limiti con i quali “fare i conti” (e, pertanto, nello spiraglio dell’illimitato) viene ad essere declinata la tecnica, il cui unico scopo, sottolinea Severino, è l’incremento indefinito della propria capacità di produrre scopi: uno scopo che, almeno all’apparenza, sembra non contrastare i fini che le forze (o le ideologie) vogliono perseguire. Forze o ideologie sono, tanto per citarne alcune, la democrazia, il cristianesimo e il capitalismo, i cui scopi sono rispettivamente la libertà o l’uguaglianza, la diffusione del messaggio del Dio rivelato e l’aumento/mantenimento del profitto privato. Tanto la democrazia quanto il cristianesimo ed il capitalismo, come si è potuto notare, hanno scopi tra di loro divergenti, il raggiungimento dei quali richiede il potenziamento dello strumento tecnico di cui essi dispongono. Ora, se si considera che la tecnica ha come scopo l’incremento indefinito della propria potenza, e se si tiene a mente che le forze in conflitto nel mondo si servono della tecnica per soppiantarsi a vicenda, ne risulta che la vittoria di una forza rispetto ad un’altra (poniamo la vittoria del capitalismo sul cristianesimo) derivi dal potenziamento ottimale dello strumento tecnico che la forza vincente (il capitalismo) opera nei confronti della perdente (il cristianesimo). Così lo scopo ultimo di tali forze non sarà più la prevaricazione del fine che è loro proprio, ma il potenziamento illimitato dello strumento tecnico di cui si servono. Lo scopo del capitalismo vittorioso risulterà quindi essere lo scopo dello stesso mezzo tecnico che ha permesso al capitalismo di innalzarsi a forza vincente. Si verifica così la giustapposizione dello scopo della tecnica a quello delle forze delle quali la tecnica è, in prima istanza, strumento. È questo, in sintesi, il nucleo della critica teoretica alla tecnica da parte di Emanuele Severino. 

 

Sul piano politico, facendo un inciso, si potrebbe affermare che, nella lotta tra USA e Cina, non risulteranno vincenti gli USA in quanto USA né risulterà vincente la Cina in quanto Cina, bensì lo strumento che la potenza vincente avrà maggiormente sviluppato, ossia la potenza che ha per prima assunto come unico suo scopo quello dello strumento di cui si serve.

Arriverà un tempo, secondo Severino, in cui tutte le ideologie cadranno e, solo da quell’istante, la tecnica risulterà essere vera ed unica dominatrice del mondo – come in parte già è. Arriverà dunque un tempo in cui l’uomo potrà soddisfare ogni sua esigenza, necessità, ogni suo desiderio, bisogno. D’altronde, tale “benessere in potenza” comincia già a sgomitare con i monoliti rappresentativi delle forze tradizionali. Il caso più lampante è quello dell’eutanasia: l’uomo moderno può decidere autonomamente quando morire; può, volendo, distruggere la prerogativa per eccellenza del Dio, cioè la sua onnipotenza, il suo decidere quando un ente debba nascere e quando debba morire. In questo senso appare del tutto naturale che la Chiesa esprima il suo dissenso riguardo al tema eutanasico.

 

Ma non è tutto. La tecnica, come già si è accennato, seguendo la logica della scienza moderna – ossia quella logica per cui non esistono verità immutabili, ma tutto è ipotetico – darà all’uomo una felicità essa stessa ipotetica. Il paradiso della tecnica è dunque destinato a trasformarsi in inferno, avverte Severino.

 

Ma questo, è un altro discorso.

 

7 giugno 2022

 









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