Letteratura e filosofia: Kierkegaard in Kafka

 

Quella di Kafka è una vita che si può definire come una lotta tra la sua persona e il mondo fuori, tant’è che l’autore scrive spesso di sentirsi come uno spettatore in balia della corrente, del flusso di vita, che guarda ciò che accade intorno. Egli rimane chiuso e sospeso in un microcosmo nella sua mente, dal quale non riesce a liberarsi. Per questo preferisce essere demolito dall’esterno e dalla sua solitudine esistenziale perché solo così, solo spezzandosi riesce a capire e rappresentare il mondo: un mondo pieno e vitale nella sua insignificanza

 

di Francesca Zaramella

 

 

Franz Kafka venne influenzato profondamente dalla filosofia del suo tempo, in particolare da alcune tematiche del pensiero esistenzialista kierkegaardiano, cercando di rappresentare, attraverso la scrittura, ciò che di negativo aveva la sua epoca.

L’importante passo, che illumina con luce cruda e fredda il significato storico dell’opera kafkiana è,  insieme, confessione e documento: «Io ho potentemente assunto (kräftig aufgenommen) il negativo del mio tempo (das Negative meiner Zeit) che mi è certo assai vicino e che io non ho il diritto di combattere, ma, in certo modo, di rappresentare. Né al pochissimo di positivo, né al negativo estremo che si rovescia in positivo, io ho partecipato in alcun modo. Io non sono stato introdotto nella vita, come Kierkegaard, dalla mano già cadente del cristianesimo, e neppure ho afferrato l’ultimo lembo dileguante del mantello ebraico da preghiera. Io sono una fine o un principio» (F. Kafka, Diari 1910-23). Con queste parole, Kafka riconosce il valore che la sua persona e la sua opera hanno come testimonianza di un tempo infelice e negativo. Kafka fu, quindi, l’interprete e il poeta del negativo, dell’assurdo, del nulla, di tutto ciò che per l’uomo è barriera che ostacola il cammino e delude la speranza mortificando la ragione. Questa “assunzione” del negativo vissuto come destino fu la croce dell’uomo Franz Kafka. Ammalato in cerca di guarigione, continua fino all’ultimo a cercare e volere il positivo.  

Kafka si sente un uomo estremamente estraniato e separato dalla vita e dalla società e lascia nelle sue opere un’immagine lucida, sobria e arida del mondo. Solitario, in cerca d’assoluto in un mondo svuotato di senso, cerca di descrivere la parte oscura del mondo, in maniera spietata, priva di ogni enfasi e meticolosamente oggettiva nella sua freddezza, fino al punto di collocare sullo stesso piano d’importanza descrittiva nelle sue narrazioni anche il più insignificante dei particolari, perché tutto è ugualmente insignificante. Ed è questo dell’insignificanza ultima di ogni vicenda umana il motivo più costante di tutta l’opera di Kafka.  

Quella di Kafka è, quindi, una vita che si può definire come una lotta tra la sua persona e il mondo fuori, tant’è che l’autore scrive spesso di sentirsi come uno spettatore in balia della corrente, del flusso di vita, che guarda ciò che accade intorno. Egli rimane chiuso e sospeso in un microcosmo nella sua mente, dal quale non riesce a liberarsi. Per questo preferisce essere demolito dall’esterno e dalla sua solitudine esistenziale, perché solo così riesce a capire e rappresentare il mondo: un mondo pieno e vitale nella sua insignificanza.

È doveroso citare uno dei racconti che più rappresentano la situazione esistenziale di Franz Kafka, si tratta del racconto La finestrina (Das Gassenfenster). Qui viene descritto il programma dell’osservazione nel modo più semplice che si possa pensare. 

La specificità dello sguardo di Kafka è il suo senso del dettaglio che polverizza la scena visiva scomponendo in frammenti l’impressione di una persona intera:

 

« Chi vive abbandonato e pur vorrebbe ogni tanto mantenere in qualche modo un rapporto col prossimo, chi tenendo presente i mutamenti della giornata, del tempo, delle relazioni professionali e d’ altre simili cose vuol veder comunque un qualsiasi braccio, a cui potersi attaccare – non potrà far meno, per molto tempo, di una finestrina. E anche se proprio non cercasse nulla e si avviasse verso il davanzale soltanto come un uomo stanco che leva continuamente gli occhi dal pubblico al cielo, e non volesse e se ne stesse con la testa un po’ spostato indietro, pure giù i cavalli lo trascinerebbero con sé nella sequenza delle vetture e del fracasso e così finalmente verso la concordia umana. » (F. Kafka, Tutti i racconti).

 

Questa sensazione di non appartenenza e non adattamento al mondo che lo circonda può essere definita appunto con il termine “mal di terra” o “mal di mare su terraferma”, ossia una mancanza di equilibrio sulla terraferma accompagnata da un forte senso di vertigine, proprio come quando l’individuo non riesce ad adattarsi anche dopo tanto tempo dall'essere sbarcato da un mezzo come nave o aereo.  Il soggetto perciò continua a sentire una sensazione di ciondolamento e oscillazione come se fosse ancora in viaggio. Questa immagine è sicuramente metaforica ed evoca appieno la percezione esistenzialista kafkiana: incapacità di adattamento in un mondo scomodo e lontano dalla propria identità.

L’autore boemo trova nel filosofo una somiglianza autobiografica, soprattutto nelle questioni del fidanzamento, del matrimonio e dei fallimenti amorosi (si faccia riferimento alla decisione di Kierkegaard di interrompere la relazione sentimentale con l’amante Regine Olsen) , nonostante ci siano delle differenze essenziali tra i due. Come Kierkegaard, infatti, anche Kafka decide di rinunciare al matrimonio. Essere scapolo è un metodo di isolamento, ma anche di fuga da un sistema che impone canoni molto rigidi. L’amore è per entrambi motivo di angoscia e logoramento. Si tratta di un’angoscia esistenziale o, meglio, una lotta dentro e fuori se stessi in cui subentra una perdita di integrità individuale.

 

Dopo essersi dedicato allo studio dei Diari kierkegaardiani si dedica poi all'analisi di altre opere, quali Timore e tremore (Furcht und Zittern, 1843), Aut–aut (EntwederOder, 1843), Il concetto di angoscia (Der Begriff Angst, 1844), Stadi sul cammino della vita (Stadien auf des Lebens Weg, 1845), La malattia mortale (Die Krankheit zum Tode, 1849).

Kafka riflette quindi sulle tendenze kierkegaardiane, quindi sulle domande teoretiche e astratte, e ragiona sul paradosso delle costruzioni culturali. Le riflessioni del filosofo sulle contraddizioni del modo di vivere, sull’etica ed estetica e su Aut–Aut sono per Kafka motivo di svolta personale verso un’ascesi e rinuncia alle passioni. Ciononostante non vi riesce appieno.

Il piacere, che reca l’esperienza estetica, rimane per Kierkegaard una causa di distrazione per l’elevazione personale. Bisogna essere in grado di non badare ai momenti di cedimento e di desiderio in modo tale da sentirsi come un martire/ sacrificio della vita: solo attraverso la rinuncia e il dolore si può raggiungere Dio. L’esperienza estetica, infatti, sembra dipendere da una energia estranea che rende l’uomo condizionato dagli impulsi. Così l’esteta, come dimostra il filosofo ne Il diario del seduttore, rimane dipendente dall’esterno e non riesce a raggiungere la vera sostanza della vita

Franz Kafka vive infatti una vita tormentata dal desiderio sessuale, condizionata da una forte paura del fallimento erotico. Ma, se da una parte nutre una forte pulsione sessuale, dall’altra aborrisce la carnalità e il suo stesso corpo. Infatti, nonostante l’ispirazione kierkegaardiana, si contraddice spesso, non riuscendo a praticare l'astinenza.

Di conseguenza, dopo ripetute letture di Timore e tremore cerca di avvicinarsi verso un'ascesi intellettuale, di fare in modo di non cadere nell’oblio della contraddizione e del piacere carnale.

Kafka è consapevole del fatto che dove l’essere umano agisce nel suo mondo carnale/sensuale, cade nella colpa e, unicamente attraverso l’esperienza interiore si può uscire dalla seduzione terrena.

 

 

Franz Kafka (1883-1924)
Franz Kafka (1883-1924)

 

Un confronto tra i due autori può avvenire attraverso le opere Il diario del seduttore di Kierkegaard e Lettere a Milena di Kafka.

Il diario del seduttore (1843) di Kierkegaard è la rappresentazione di una storia di seduzione turbolenta in cui il protagonista Johannes, dall’animo narcisista e manipolatore, fa in modo che la giovane Cordelia soccomba ai suoi dissidi interiori:

 

«Tale di più era il poetico di cui lui godeva nella situazione poetica della realtà, e che riprendeva nella forma di riflessione poetica. Questo era il secondo godimento, e al godimento era votata tutta la sua vita. Nel primo caso godeva in modo egoisticamente personale di ciò che gli forniva la realtà da una parte, dall’altra di ciò con cui lui stesso l’aveva fecondata; nel secondo la sua personalità si volatilizzava e lui godeva allora della situazione e di se stesso nella situazione. […] Dietro al mondo nel quale viviamo, lontano, sullo sfondo, c’è un altro mondo, che sta con questo pressoché nello stesso rapporto con cui sta la scena che talvolta si vede a teatro dietro a quella vera, con quest’ultima. Attraverso un velo sottile si vede come un mondo di velo, più leggero, più etereo, più di un’altra qualità rispetto a quello reale. Molti uomini che appaiono fisicamente nel mondo reale non appartengono a questo mondo, ma all’altro. E tuttavia che un uomo dunque si dilegui, sì, quasi svanisca dalla realtà, lo si può addebitare alla buona salute o a una malattia. Era quest’ultimo il caso del nostro uomo, che un tempo conobbi, pur senza conoscerlo. Egli non apparteneva alla realtà e tuttavia aveva molto a che fare con essa. Costantemente vi penetrava ma, proprio quando vi si abbandonava di più, la oltrepassava. » (S. Kierkegaard, Il diario del seduttore).

 

Queste sono le parole che scrive Kierkegaard nell’introduzione della sua opera Il diario del seduttore, in cui viene descritta la personalità di Johannes affrontata in precedenza. Nel corso del diario, il protagonista (Johannes) svela le sue ambiguità interiori: «La mia anima è ancor sempre  irretita nella stessa contraddizione. So di averla vista, ma so anche di averla scordata di nuovo, tuttavia in modo tale che il residuo di ricordo rimasto non mi rinfranca».

Si tratta di sentimenti e atteggiamenti contrastanti tipici di personalità doppia costituita da una parte attraente e amorevole e da una parte sadica e tormentata. Ecco che, tornando al discorso ancestrale, l’amore diventa patologico e causa di sofferenza. 

Johannes stesso, infine, dichiara la sua vulnerabilità e la sua attitudine invalidanti che rendono impossibile l’amore con Cordelia: «Mia Cordelia! Come può sopravvivere un regno che sia in lotta con se stesso, come potrei sopravvivere io, dal momento che sono in lotta con me stesso?».

 

Egli vive di tormento, una malattia dello spirito: seduce e abbandona la giovane ma in realtà è il protagonista che non riesce a liberarsi di se stesso, perseguitato dall’angoscia circolare della disperazione. 

 

Una situazione parallela di fallimento amoroso e di lotta con se stessi accade nelle Lettere a Milena di Franz Kafka. A differenza di Kierkegaard, però, quella di Kafka è una sottomissione ad un inganno: l’incontro con la realtà esterna avviene tramite la percezione visiva, che rimanda subito lo straniero nell’ordine delle idee del singolo soggetto. In questo modo si forma una struttura circolare che contiene il rischio di una graduale perdita di realtà.

Si tratta di un’opera epistolare in cui Kafka, rivolgendosi all’amata Milena, descrive i suoi sentimenti per lei e il suo stato psicosomatico. La malattia è una delle questioni emergenti di tutta la raccolta, la malattia psichica e spirituale va di pari passo con quella fisica polmonare: egli è torturato dall’angoscia e dall’insonnia, dai dolori e i sintomi della debolezza corporea.

 

Milena è una giornalista e scrittrice ceca, conosce Kafka in un caffè di Praga e tra i due poi nasce l’amore, tant’è che le spedisce circa centotrenta lettere. Quello con Milena diventa però un amore impossibile: lei non rinuncia al matrimonio col marito ed è titubante, esita a incontrare Kafka perché è impaurita dal suo stato psicofisico, dall’assente stabilità interiore di lui. 

Il loro distacco è causato quindi principalmente da un’auto-rivelazione involontaria in cui Kafka stesso testimonia inconsapevolmente attraverso i propri tratti di comportamento la sua incapacità a stare in una relazione. La sensazione di estraniamento, di alienazione, di incompatibilità con se stesso e il mondo sono un ostacolo insuperabile per l’amore; l’amore da solo non basta per permettere una relazione serena. 

Il sentimento morboso, ossessivo nei confronti di Milena gli crea un vuoto depressivo e una scarsa autostima, perché si sente rifiutato da una donna dubbiosa nei suoi confronti la quale vuole tutelarsi dalla persona di Kafka. Decidere di stare accanto ad un uomo così tormentato con una vita estremamente complicata è una responsabilità notevole che richiede un dispendio di energie. Alla fine, difatti, la donna decide di rinunciare all’eventuale relazione sentimentale con lo scrittore e preferisce rimanere col marito. «Ma forse Lei avrebbe persino ragione di non scrivermi più, alcuni passi della Sua lettera accennano a questa necessità » (F. Kafka, Lettere a Milena).

 

« Ieri ti consigliai di non scrivermi ogni giorno, anche oggi sono di questa opinione, sarebbe un gran bene per entrambi e oggi te lo consiglio di nuovo e con più insistenza – ti prego soltanto, Milena, di non darmi retta e di scrivermi ogni giorno, basta anche brevemente, più brevemente delle lettere di oggi, soltanto due righe, soltanto una, soltanto una parola, ma la mancanza di questa parola mi farebbe soffrire terribilmente . » (F. Kafka, Lettere a Milena).

 

Da queste parole, è evidente come Kafka abbia dentro di sé delle forti contraddizioni, in quanto se da una parte è consapevole che il distacco tra lui e l’amata sia la soluzione migliore, dall’altra non riesce proprio a fare a meno di lei.

 

Il tradimento a Felice Bauer (fidanzata precedente di Kafka) con Milena, viene visto in un ottica di “oltrepassamento” (Aufhebung), ossia un superamento che però conserva il momento precedente. Per questo, l’esperienza amorosa fallimentare nei confronti di Milena è una espiazione perché ciò che esiste è frutto di ciò che è stato e che ha determinato un presente e un futuro. Kafka deve scontare la sua colpa per aver ceduto alla dimensione carnale. L’ascesa corrisponde all’ideale di purezza alla quale egli permanentemente punta e che ogni volta puntualmente tradisce.

Difatti, nella retorica paradossale, con la quale Kafka commenta tale fallimento, gli sembra di ritornare e somigliare a Kierkegaard: come lui si vorrebbe confessare e dedicare all’elevazione al divino, anche se non presenta l’attitudine dell’intellettuale superbo.

 

S. Dalì, "La persistenza della memoria" (1931)
S. Dalì, "La persistenza della memoria" (1931)

 

In un passo della celebre opera di Kafka Lettera al padre, raccolta epistolare in cui l’autore stesso rivolgendosi al padre scrive: «Perché, dunque, non mi sono sposato? Vi furono ostacoli vari, come sempre accade, ma la vita consiste appunto nell’accettare tali ostacoli. L’impedimento essenziale, purtroppo indipendente da ogni singolo caso, era che io, non v’è dubbio, sono spiritualmente incapace di sposarmi. Prova ne sia che dal momento in cui risolvo di prender moglie, non posso più dormire, la testa mi brucia giorno e notte, non vivo più, vado in  giro barcollante, disperato. Non è la preoccupazione che mi riduce così; s’intende che tanti crucci m’assillano, in rapporto sempre alla mia malinconia e alla mia pedanteria, ma non sono l’essenziale, malgrado essi compaiono il loro lavorio come vermi in un cadavere; il fatto decisivo è tuttavia un altro. Vengo distrutto dall’assalto simultaneo della paura, della debolezza, del disprezzo di me stesso. […] ». 

 

In conclusione, si può confermare che, secondo la filosofia kierkegaardiana, la materia religiosa – che equivale all’abbandono (“superamento”) delle passioni terrene per alzarsi ad uno stadio superiore verso la salvezza di Dio – sia più importante della dimensione etica e ancor più di quella estetica. La salvezza della religione “va oltre” e permette infatti di liberarsi dalle contraddizioni della vita estetica, perché quest’ultima è seduttiva e manipolatrice e non dà autentica salvezza. 

Franz Kafka è quindi la dimostrazione della continua lotta con se stessi per cercare di aspirare all’ascesi e resistere alle tentazioni meramente estetiche dei sensi, ma in cui puntualmente la debolezza umana ricade.

 

25 giugno 2022




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