Cosa c’è dietro l’avocado toast?

 

«Vedere come e cosa mangiano gli altri, condiziona anche le nostre scelte». Questo scrive il dipartimento di psicologia della Aston University. Seguire la massa può essere rassicurante, ma non è garanzia per la bontà delle nostre scelte.  

 

di Anna Antonello

 

 

Le persone che seguono attivamente i social lo fanno per restare al passo con i tempi, per non perdersi gli ultimi “gossip” e le ultime notizie, che fanno sempre moltissimo scalpore ma che si dimenticano dopo poco.

Secondo la ricerca Italiani e Social Media, che ha coinvolto 1.500 cittadini dai quindici ai sessantaquattro anni, il 42% degli intervistati usa i social esclusivamente per leggere le notizie e i post altrui; mentre solo il 13% condivide le proprie abitudini, senza guardare e considerare i contenuti degli altri creator. Il restante 45% legge, posta e commenta indistintamente.

I social sono anche utilizzati per sentirsi apprezzati e per sentirsi parte di qualcosa.

Il modo principale per essere accettati sembra quello di seguire le mode e i trend del momento, spesso adottati passivamente. È per sentirsi parte di qualcosa che gli utenti accettano i trend senza pensare alle conseguenze o al vero significato di ciò che stanno facendo; la giustificazione più semplice e impiegata è nota: «lo fanno tutti». Significherà che va bene e che è giusto? 

 

 

Come mai le persone tendono a ritenere vero quello che sentono in tv o che leggono sui social media senza mettere in discussione certe fonti?

Nel corso dell’evoluzione la nostra mente ha introiettato automatismi che hanno permesso alla specie umana di sopravvivere e prosperare in un tessuto sociale. Allo stesso modo, però, tali automatismi - i cosiddetti bias cognitivi  sono in grado di generare comportamenti inadeguati alle sfide del mondo d’oggi.  

Diversi bias cognitivi portano la nostra mente a fare degli errori di valutazione: il nostro cervello è progettato per pensare che qualcosa ritenuto giusto e vero sia effettivamente tale in un determinato contesto: il bias della disponibilità a cascata ci porta a ritenere che quanto è si sento dire o ripetere molte volte sia vero e socialmente accettato.

L’euristica della disponibilità, inoltre, induce a credere che le informazioni immediatamente disponibili siano quelle che noi riteniamo più vere. A differenza dei bias, l’euristica è un meccanismo cognitivo che ci permette di elaborare pensieri e giudizi in modo più veloce e ci permette di fare scelte in base agli stimoli e alle circostanze.

Oltre a ciò entra in gioco il bandwagon effect che ci porta a pensare e a dire: se ci credono tutti, sarà vero.

In psicologia questo è considerato un errore cognitivo che implica la tendenza a scegliere un determinato comportamento, atteggiamento o ideale solo perché è prediletto da molti altri. 

Il nostro cervello è portato a fare questo perché in natura ci siamo evoluti per vivere in piccoli gruppi, nei quali sarebbe molto funzionale concordare nelle scelte, nelle decisioni ed avere un pensiero condiviso all’interno del gruppo. 

 

 

Da qualche anno uno dei temi più apprezzati e ricercati all’interno dei social è quello ambientale. Giustamente visitando i social ci si imbatte in moltissimi post o video di sensibilizzazione; si vedono ad esempio molti “countdown” verso i punti di non ritorno. Questi ultimi sono delle situazioni che renderebbero la crisi climatica irreversibile, causando danni irreparabili.

I punti di non ritorno possono essere tre: lo scioglimento dei ghiacci, la perdita delle foreste con il disboscamento, l’alterazione della flora e della fauna.

D’altra parte moltissimi influencer, che cercano di sensibilizzare su questo argomento, lanciano delle mode che possono essere dannose per il pianeta. 

 

 

Molti personaggi conosciuti sui social condividono sulle piattaforme digitali le loro abitudini alimentari facendo incuriosire i loro follower e invogliandoli a seguire la loro dieta “sana ed equilibrata”.

Il dipartimento di psicologia della Aston University scrive: «Vedere come e cosa mangiano gli altri, condiziona anche le nostre scelte».

In questa maniera diventa moda anche il modo di mangiare. Mangiare come i personaggi conosciuti è ritenuto bello, salutare e sostenibile.

Ma è davvero sempre così?

Da quasi tre anni sui social spopola l’avocado, un frutto originario del Messico che è spesso accostato agli aggettivi: ecologico, ecosostenibile e sano.

Questi frutti si coltivano con un clima temperato in zone tropicali o sub tropicali: per questo, anche se può essere coltivato nel Sud Italia, il principale produttore di avocado è il Messico. È raro trovare nei supermercati comuni degli avocado che provengano dall’Italia e che quindi creino meno inquinamento al momento del trasposto.

Purtroppo però queste piantagioni non sono poco sostenibili solo per la spedizione. La loro coltivazione ha un forte impatto ambientale.

Questo frutto esotico è diventato un trend e la sua richiesta è cresciuta in maniera esponenziale: i consumatori sono cresciuti a dismisura. Per far fronte alle esigenze del mercato, le piantagioni di avocado hanno dovuto espandersi nel minor tempo possibile, senza pensare ai rischi e alle conseguenze che avrebbero comportato. Secondo uno studio pubblicato dal giornale quotidiano «The Guardian», per coltivare l’avocado ogni anno 690 ettari di terreno vengono sottratti alla foresta locale in Messico. Per rispondere alla richiesta mondiale di avocado le foreste di questo paese vengono distrutte, senza cura e preoccupazione per la fauna e la flora.

Dal 1990 quasi il 40% delle foreste di pini e querce in Messico è stato perduto, secondo Greenpeace Messico.  

 

 

Queste foreste sono indispensabili per la sopravvivenza della farfalla monarca, che necessita del clima all’interno della foresta per riprodursi. Con la riduzione delle foreste questo prezioso insetto è in pericolo e rischia l’estinzione.

Oltre a ciò le foreste di pini e querce richiedono molta meno acqua delle piantagioni di avocado, che hanno bisogno del doppio dell’acqua delle foreste per sopravvivere. Soddisfare la richiesta idrica di queste piante significa quindi sottrare acqua al resto della vegetazione e alla popolazione locale. In aggiunta, questi prodotti non sono ecosostenibili ed ecologici in quanto per la loro coltivazione vengono utilizzati pesticidi e fertilizzanti che avvelenano l’ambiente circostante.

 

 

Per essere eco-friendly non basta solo mangiare più verdure: è fondamentale avere una consapevolezza più ampia dei fattori che caratterizzano ciò che mangiamo. Non dobbiamo farci ingannare dalle piattaforme digitali. Aiutiamo il pianeta nel nostro piccolo anche stando attenti a cosa mangiamo e a come sono coltivati o allevati gli alimenti che mettiamo sulla nostra tavola.

 

22 novembre 2022

 









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