Per una percezione sinestetica

 

Cosa significa “essere senziente”? È possibile partecipare delle proprie sensazioni, come corpo, anziché come mente? Per poter rispondere a questi interrogativi ci avvarremo delle Meditazioni metafisiche di Descartes, per capire, con la Fenomenologia della percezione di Maurice Merleau-Ponty, se sia possibile una sintesi percettiva.

 

 

« Un dato percettivo isolato è inconcepibile, se per lo meno facciamo l’esperienza mentale di percepirlo. » (M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, La sensazione)

 

Riflettiamo un po’ su queste parole, o, meglio, dubitiamone la veridicità. René Descartes, l’eroe della filosofia moderna, negherebbe la tesi di Merleau-Ponty sostenendo che sia possibile percepire isolatamente qualcosa e che, proprio l’intuizione di questa esperienza mentale sia la fonte di ogni mio singolo pensiero: questa intuizione è il Cogito della Meditazione Seconda. In questa stessa Meditazione, Cartesio arriva addirittura a suppore che potremmo rinunciare al nostro corpo, ma non potremmo mai poter fare a meno di pensare, perché ogni percezione confusa, dirà nella VI Meditazione, può essere riportata ad una pura intellezione.

 

« Poi attraverso queste stesse sensazioni di dolore, fame, sete, ecc…, la natura mi insegna pure che io non sono meramente presente al mio corpo come un nocchiero lo è al suo vascello, bensì gli sono congiunto quanto mai strettamente e (per così dire) mescolato, in modo da comporre un’unità con esso […] quando il corpo ha bisogno di cibo o bevande, ciò io lo intenderei intellettualmente […] ché di sicuro queste sensazioni di sete, fame, dolore ecc… non sono che modi confusi di pensare. » (René Descartes, VI Meditazione)

 

È interessante osservare come Cartesio, in queste poche righe, abbia ricondotto il corpo non ad un pensiero confuso, ma ad una confusione del pensiero: pertanto del nostro corpo potremmo anche non saperne nulla (e forse nemmeno potremmo vederlo, avrebbe aggiunto Malebranche). Ma, poiché la mia mente è «come quell’anima che tutto pensa» (Quinte Risposte), non posso ingannarmi delle mie pure intellezioni, seguendo l’insegnamento della Seconda Meditazione. Dunque, arrivati a questo punto, possiamo dire con certezza che al fondo, nel cuore di ogni nostro modo confuso di pensare, vi sia sempre e comunque uno spettatore imperturbabile, eterno, e, aggiungerei, privo di diottrie. Però, seguendo l’insegnamento della Meditazione, non posso fare a meno di perseguire nel mio dubbio libero: il soggetto della Meditazione sarebbe un vero e proprio scrutatore o un cieco? L’uomo-Cartesio che scriveva la Seconda Meditazione avrebbe mai potuto non vedere quella cera che tanto lo perturbava? La risposta è una sola: sì, ma non seguendo il ragionamento di Cartesio, circa l’astensione da ogni giudizio sensibile.

 

« Io che contemplo l’azzurro del cielo, non sono, di fronte a questo azzurro, un soggetto acosmico, non lo possiedo nel pensiero, non dispiego innanzi a esso un’idea dell’azzurro che me ne scioglierebbe il segreto, ma mi abbandono in esso, mi immergo in questo mistero, esso “si pensa in me”. » (M. Merleau-Ponty, FP, Il sentire)

 

Io non sono la mia sensazione, mai cosa fu più vera, e la intuirono entrambi i francesi; ma Cartesio pensava di vedere, per questo il Cogito non può essere l’atto intuitivo immediato della mia esistenza come cosa pensante. Cartesio non ha considerato la postura, l’attitudine, il comportamento dettatogli dalla visione del pezzo di cera per il timore di un realismo ingenuo, preferendo un idealismo cieco, per stroncare la teoria corrispondentista della verità, per cui ogni nostra conoscenza intellettuale è un riflesso della mia sensazione esterna. Peccato però che l’affronto cartesiano sia niente poco di meno che l’altra faccia celata del contingentismo: «La visione è un pensiero assoggettato a un certo campo: ecco ciò che si chiama un senso.» (M. Merleau-Ponty, FP, Il mondo percepito). L’uomo-Cartesio che sente l’odore della cera, che tasta la cera, che vede il colore della cera, è già da sempre oltre queste sensazioni non come cosa pensante, ma come “sensorio comune”, prendendo in prestito un’espressione di Johann Gottfried Herder, ossia un punto di sintesi delle varie sensazioni di cui il soggetto non è un semplice spettatore. Non c’è nessun soggetto stabile; non c’è niente che possa attestarmi quando ho iniziato a sentire e quanto non sentirò più: quindi, l’«Io penso deve poter accompagnare tutte le nostre rappresentazioni» (Immanuel Kant, Critica della ragion pura, Analitica dei concetti)? È ancora possibile concepire uno spazio puro, come voleva Kant, o è una pretesa troppo vasta per un miope come me? 

 

« Insomma, una volta cancellate le distinzioni fra l’a priori e l’empirico, fra la forma e il contenuto, i fatti sensoriali divengono momenti concreti di una configurazione globale che è lo spazio unico, e la facoltà di accedere a esso non è disgiungibile da quella di staccarsene nella separazione di un senso. Quando, nella sala da concerto, riapro gli occhi, lo spazio visibile mi sembra angusto rispetto a quell’altro spazio in cui poco fa si dispiegava la musica, e anche se tengo aperti gli occhi mentre viene eseguito il pezzo, mi sembra che la musica non sia veramente contenuta in questo spazio preciso e meschino. » (M. Merleau-Ponty, FP, Il sentire)

 

Ne Il mondo sensibile e il mondo dell’espressione, un corso del ’53 tenuto al Collège de France, Merleau-Ponty approfondisce questa visione della conoscenza sensoriale arrivando, finalmente, a chiamarla teoria della coscienza indiretta o rovesciata: il senso non può più essere concepito come il puro dispiegamento di un in sé davanti ad un per sé, perché la più pura coscienza presuppone uno sfondo che compartecipa alla definizione del senso, restando marginale. Quindi ogni sensazione è spaziale, non perché è rappresentabile, ma perché con ogni nostra sensazione è possibile abitare nello spazio. Seguendo questo ragionamento strabiliante di Merleau-Ponty, l’esperienza dello spazio per le persone operate affette da cataratta dalla nascita, non incomincia subito dopo l’operazione.

 

« Dapprima i malati “vedono i colori come noi sentiamo un odore: esso ci bagna, agisce su di noi, senza però riempire di una data estensione una forma determinata”. La segregazione delle superfici colorate, la percezione corretta del movimento vengono solamente dopo, quando il soggetto ha compreso “che cos’è vedere”, cioè quando dirige e muove lo sguardo come uno sguardo, e non più come una mano. » (M. Merleau-Ponty, FP, Il sentire)

 

Gli operati per poter distinguere un quadrato da un circolo, prima dell’operazione usavano il tatto, ma la distinzione era basata solo sul riconoscimento di segni, cioè presenza o assenza di punti. Insomma, l’unica forma di simultaneità per gli affetti da cataratta in relazione al proprio corpo è quella a breve distanza. A seguito dell’operazione rimangono così tanto meravigliati da ciò che pensavano di vedere (come Cartesio), perché con la vista esperiscono una simultaneità a lunga distanza: la propria mano, dall’essere vista come macchia bianca, passa gradualmente a far parte del corpo. La riflessione merleau-pontiana, offre una sintesi vera e propria tra coscienza intellettuale e coscienza empirica, tra coscienza a priori e coscienza a posteriori, dimodoché la percezione è sinestetica, nella misura in cui ogni organo è sfondo di ogni altro organo. Nel primo capitolo della seconda parte della Fenomenologia della percezione, Merleau-Ponty prende in analisi un uomo sotto effetto di mescalina (sostanza dagli effetti allucinogeni): quest’uomo dal suono di un flauto ricaverebbe il colore blu-verde, ma non percependo contemporaneamente un suono e un colore, bensì vedendo il suono nel colore! Si potrebbe obiettare contro questa visione sinestetica sostenendo l’eccessiva stimolazione dell’area uditiva e di quella visiva del cervello, ma seguiamo ancora Merleau-Ponty lungo questo capitolo.

 

« Quando assisto alla proiezione di un film doppiato in francese, non constato solo il disaccordo fra la parola e l’immagine, ma mi sembra subito che laggiù si dica qualcos’altro, e, mentre la sala e le mie orecchie sono riempite dal testo doppiato, tale testo non ha per me nemmeno un’esistenza acustica e io ho orecchio solo per quell’altra parola silenziosa che proviene dallo schermo. » (M. Merleau-Ponty, FP, Il sentire)

 

Lo spettatore non percepisce ora una bocca, ora una mano. Lo spettatore sente che la parola prende il gesto e il gesto che riprende la parola, perché comunicano con il corpo, in quanto è luogo della sintesi, dove non c’è un solo braccio, un solo occhio o una sola gamba, ma dove l'io è un senso. Nel trarre le seguenti conclusioni, Merleau-Ponty ha seguito nel profondo l’insegnamento dello psicologo Cartesio.

 

« Poi, noto che la mente non è direttamente in relazione con tutte le parti del corpo, bensì soltanto col cervello, o forse soltanto con una piccola parte di questo, e cioè con quella in cui si dice che ha sede il “senso comune”; e, ogni qualvolta questa si trovi disposta in un medesimo modo, produce nella mente il medesimo effetto, anche se frattanto le altre parti del corpo possono venire a trovarsi in condizioni mutate. » (René Descartes, VI Meditazione)

 

Era già presente all’interno di questa Meditazione la dottrina dell’interazione reale tra la mente e il corpo, di cui parla Cartesio in una lettera del 1643 alla Regina Elisabetta di Boemia, troppo trascurata, nonostante permetta di inquadrare le istanze prettamente rappresentazioniste della riflessione cartesiana, per cui l’oggetto della nostra conoscenza è l’idea. In questa prospettiva Merleau-Ponty riprende l’insegnamento di Cartesio, introducendo la definizione di schema corporeo, la famosa Urempfindung, il sentimento originario, che attanaglia tanto il Merleau-Ponty del ’53.

 

« Esso non è mai un oggetto, non è mai “completamente costituito”, proprio perché è ciò grazie a cui vi sono degli oggetti. Non è tangibile né visibile nella misura in cui è corpo che vede e che tocca. Non è quindi un oggetto esterno qualsiasi, che avrebbe semplicemente la peculiarità di essere sempre là. Se è permanente, lo è di una permanenza assoluta che serva da sfondo alla permanenza relativa degli oggetti suscettibili di eclissi, degli autentici oggetti. » (M. Merleau-Ponty, FP, Il corpo come oggetto e la fisiologia meccanicistica)

 

Merleau-Ponty ha saputo cogliere la com-passibilità del corpo umano, non racchiudendolo solo in un campo sensitivo, ma rendendolo un campo intenzionale, capace di esprimere la propria sensibilità. La riduzione naturalistica inaugurata da Bernardino Telesio, viene portata a compimento attraverso l’uguaglianza tra ontologia e fenomenologia, intesa come quel campo di studio in cui il presuntivo dellesperienza presente diventa infinitesimale, un rapporto molteplice tra le mie percezioni, poiché «c’è una concezione originaria di movimento come mio che è quella di situarmi tra le cose, situarmi che racchiude non solo un rapporto determinato, ma un’infinità di rapporti possibili, nel suo aspetto attuale.» (M. Merleau-Ponty, Il mondo sensibile e il mondo dell'espressione, Tredicesima lezione)

 

7 novembre 2022

 









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