L'essere tecnico dell'uomo

 

All’insicurezza della sua condizione esistenziale, l’uomo risponde attraverso l’agire tecnico. La tecnica è intimamente connessa all’uomo, nasce e si sviluppa con esso. Questo suo essenziale legame con l’essere umano è ignorato dal pensiero di coloro che la considerano esclusivamente come un pericolo. Al contrario il pensiero critico, libero dai rigurgiti nostalgici e dai pregiudizi morali, consente di analizzare razionalmente i cambiamenti del nostro tempo e di prevederne le degenerazioni.

 

di Sara Dichirico

 

 

Premessa

 

Qualunque tentativo di conoscere assolutamente e universalmente l’essere umano, si rivelerà sempre fallimentare. Questo perché, definire l'uomo, per mezzo di alcune caratteristiche sempre valide, contraddice la sua mutevole esistenza. Inoltre, questa definizione contiene degli aspetti che vengono attribuiti all’uomo in un determinato momento della storia, ma che non accomunano tutti i singoli individui e che generano sempre l’esclusione di una minoranza da questo rapporto di comunanza. Ogni essere umano non è mai identico né a sé stesso né a nessun altro, ed è immerso nel caotico e incessante divenire. È vittima del caos e di forze che lo dominano, ma è anche artefice di impercettibili spostamenti alla base di grandi cambiamenti, dunque subisce il movimento ma in esso agisce a sua volta. Esso stesso è divenire entropico.

 

Questa dinamicità dell'essere umano rende i discorsi che pretendono di stabilirne assolutamente la natura parziali e soggetti a rivalutazioni costanti. La pratica di astrazione, che adottiamo per determinare le caratteristiche universali delle cose e degli esseri viventi, infatti, tralascia sempre gli aspetti particolari della cosa e dell’essere vivente, che di fatto sono essenziali. Taluni tra coloro che tengono questi discorsi, sostengono, che esista una natura umana arcaica e primitiva e ricordano nostalgicamente un uomo autentico dell’età dell’oro, che si contrappone all’uomo civilizzato e tecnico. Costoro pongono l’attenzione verso un uomo del passato che non potrà più tornare e relegano ad una aberrante dimensione futura l’uomo che sta emergendo. Su tali teorie invitano a costruire la civiltà senza accorgersi della loro anacronistica miopia.

 

Il confine tra uomo e macchina

 

« La natura umana non è fissa » (E. Fromm, Dalla parte dell'uomo), dunque quando si rende necessario determinarne dei confini, l’impresa si rivela sempre ardua e mai compiuta. Ciò non toglie che questo gesto metodologico sia imprescindibile, al fine di produrre qualsiasi sapere sull’uomo. Questi confini pur non esistendo assolutamente, dovrebbero temporaneamente essere fissati, con la promessa che al variare delle condizioni di esistenza dell’uomo, anche i confini vengano rimessi in discussione.

 

Nel nostro tempo più che mai, le condizioni di esistenza dell'uomo stanno mutando, ed è proprio attraverso la tecnica che questi cambiamenti vengono promossi. I risultati del moderno progresso tecnologico hanno portato alla produzione di macchine capaci di svolgere quasi ogni tipo di attività, favorendo la sopravvivenza della specie. È innegabile che la tecnica sia riuscita a contenere gli effetti delle catastrofi naturali, che gli smartphone siano riusciti a connettere migliaia di persone e che i social media abbiano consentito di aumentare le occasioni di costruire relazioni sociali, soprattutto tra i più giovani. La tecnologia, che sta modificando l’esistenza dell’essere umano, e non solo, perciò, ci spinge a ripensare i confini della natura umana.

 

Se non esiste un confine netto tra l’uomo e la tecnica, in che modo è possibile pensare la loro relazione?

 

A questo proposito, nel film diretto da Ridley Scott, Blade Runner, ambientato in un futuro distopico, le parole del protagonista, l'agente Deckard, a cui viene assegnato il compito di uccidere i replicanti, esseri umani progettati in laboratorio, la cui vita gli viene risparmiata proprio da uno di loro, ci fanno riflettere:

 

« Io non so perché mi salvò la vita. Forse in quegli ultimi momenti amava la vita più di quanto l’avesse mai amata… non solo la sua vita: la vita di chiunque, la mia vita. Tutto ciò che volevano erano le stesse risposte che noi tutti vogliamo: “Da dove vengo?” “Dove vado?” “Quanto mi resta ancora?” »

 

Il replicante Roy Batty, mentre salva l’agente Deckard, il cacciatore di replicanti. (Blade Runner, Ridley Scott, 1982)
Il replicante Roy Batty, mentre salva l’agente Deckard, il cacciatore di replicanti. (Blade Runner, Ridley Scott, 1982)

 

Le domande del replicante sono le stesse a cui l’uomo, soprattutto attraverso la filosofia, cerca di rispondere da tempo. Ciò che quegli umanoidi desiderano è vivere, in questo, sono davvero così diversi da noi? Sono davvero il nemico da combattere? L’estraneo perturbante da annientare? Contrariamente a chi concepisce la macchina come un insieme di “cifre il cui scopo è letteralmente quello di confonderci”, bisognerebbe riconoscere le infinite implicazioni della tecnica, prevederne e limitarne le degenerazioni. Pensare alla tecnica come a qualcosa di Altro dall'uomo, ci impedisce di comprendere la relazione in divenire tra essi.

 

La tecnica nasce e si sviluppa con l’uomo: « La tecnica è antica quanto l’uomo. Lo dimostra a contrario il fatto che noi possiamo concludere con sicurezza solo a partire da tracce di utilizzazione del fuoco che abbiamo a che fare con esseri umani. » (Pansera, Antropologia filosofica)

 

L’agire tecnico ha permesso all’essere umano di sopperire alle sue originarie carenze biologiche, l’ha reso padrone di sé stesso e della natura. Le tecniche di rassicuramento «originariamente sapiens quanto l’uomo » (Cfr), lo hanno potenziato, sostituito e hanno alleggerito le sue fatiche. È stato addirittura possibile costruire una seconda natura artificiale, la cultura, nella quale l’essere umano si è potuto dare forme di organizzazione complesse in società create da lui. Ciò che l’uomo crea ex novo, non deve tuttavia, distruggere brutalmente e senza riguardo, ciò che è già dato in natura. Il potere che l’uomo ha tra le sue mani, non lo legittima a compiere qualsiasi tipo di azione: ciò che può fare non deve sempre essere fatto. In questo senso bisogna direzionare in maniera critica e strategica la tecnica, così da evitare grandi catastrofi. Il pericolo c’è ma è nostro compito farci carico di questa responsabilità, è nostro dovere mettere in campo tecniche che salvaguardino e rassicurino l’umanità. La voce, ormai affievolita, degli intellettuali ci dovrebbe guidare nella pericolosa foschia della nostra epoca; l’agire tecnico che rischia di schiacciarci, se controllato dal pensiero critico, può portarci ad una nuova e più compiuta forma di organizzazione sociale.

 

15 febbraio 2023







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