Noia: un pesante fardello

 

Si può definire la noia come un semplice stato d’animo o è qualcosa di più e tocca da vicino la nostra esistenza? Diversi sono i filosofi che hanno tratto questo tema, fra questi Blaise Pascal, filosofo del ‘600 che, oltre a scommettere sull’esistenza di Dio, ci offre una visione della noia veramente interessante. 

 

di Domenico Marra

 

Edward Hopper, "Summer in the city"
Edward Hopper, "Summer in the city"

 

Nella visione pascaliana, l’uomo si ritrova a vivere tra due abissi: l’abisso del niente e l’abisso dell’infinito. L’uomo è infatti legato in modo indissolubile sia al mondo dei bisogni, delle debolezze e soprattutto della morte, sia alla sfera dell’eterno, dell’infinito e questo è reso possibile solo da un’abilità unica dell’uomo: l’abilità di pensare. 

 

« Infine, che cos'è l'uomo nella natura? Un nulla in confronto all’ infinito, un tutto in confronto al nulla, qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto.[…] Egli egualmente incapace di scorgere il nulla, da cui è tratto, e l'infinito in cui è inghiottito. » (B. Pascal, Pensieri)

 

La differenza sostanziale, quindi, tra un qualsiasi essere vivente e l’uomo è il poter pensare, riflettere e prendere consapevolezza della propria condizione esistenziale. Questa sua natura è, però, un’arma a doppio taglio: rende l’essere umano in grado di comprendere l’universo ma, di controparte, consapevole di non poterlo mai raggiungere e questa presa di consapevolezza genera in lui un profondo stato di malessere.

 

« Il pensiero fa la grandezza dell’uomo. » (B. Pascal, Pensieri)

 

Proprio per questo, l’uomo tende a ricercare attività che lo distolgano dal pensare. Qui entra in gioco ciò che, per Pascal, è la più grande miseria dell’uomo: il divertissement, il divertimento. 

 

« L'unico sollievo delle nostre miserie è il divertimento, e, tuttavia, esso è la nostra più grande miseria. Infatti, è soprattutto il divertimento che ci impedisce di pensare a noi stessi e ci porta insensibilmente alla perdizione. Senza di esso saremmo immersi nella noia e questa ci spingerebbe a cercare un mezzo più consistente per uscirne. Ma il divertimento ci diletta e ci fa giungere alla morte inavvertitamente. » (B. Pascal, Pensieri)

 

Il termine “divertimento” è usato in questo contesto nel suo significato etimologico: divertire infatti deriva dal latino di-vertere ovvero deviare, distogliere, in questo caso il pensiero, grazie all’ausilio di attività che occupino il nostro tempo: così si riesce ad evitare di pensare e di stare male. Questo modo di vivere porta l’uomo in uno stato di continua tensione, ma ancora più grave è quello che succede nei momenti di quiete: arriva la noia.

 

Vincent van Gogh, "Ritratto del dottor Gachet"
Vincent van Gogh, "Ritratto del dottor Gachet"

 

 

 

 

« Niente è insopportabile all'uomo quanto di essere in un completo riposo, senza passioni, senza faccende, senza divertimento, senza un'occupazione. Avverte allora il proprio nulla, il proprio abbandono, la propria insufficienza, la propria dipendenza, il proprio vuoto. Subito saliranno dal profondo dell'animo suo la noia, l'umore nero, la tristezza, il cruccio, il dispetto, la disperazione. » (B. Pascal, Pensieri)

 

Il filosofo francese non vede la noia come un semplice stato d’animo, ma come una condizione esistenziale persistente, che non si riesce mai a scacciare via completamente, quanto piuttosto mascherarla: proprio come quando si chiudono gli occhi davanti ad una scena di un film particolarmente cruenta: la scena rimane lì, siamo semplicemente noi a non vederla, ma ecco che non appena li riapriamo, questa torna a spaventarci.

 

Il motivo per il quale l’uomo rifugge dalla noia è molto semplice: nei momenti in cui ci si “annoia”, la mente inizia a vagare tra i pensieri, a riflettere e meditare sulla propria esistenza e sul suo essere infinitamente piccolo in confronto al Tutto. 

 

« Gli uomini, non avendo potuto liberarsi dalla morte, dalla miseria, dall'ignoranza, hanno deciso, per essere felici, di non pensarci. » (B. Pascal, Pensieri)

 

Questa situazione ha degli effetti concreti nella vita quotidiana: basti pensare a tutti coloro i quali, a seguito di eventi poco piacevoli, si danno all’alcool giustificandosi con la famosa frase “bere per dimenticare”; in realtà, non si beve per dimenticare, ma per non pensare e conseguentemente per non soffrire: finito l’effetto dell’alcool, i pensieri tornano ad affollare la mente. In riferimento a ciò non si può non citare De Andrè,  che chiude il “Cantico dei drogati” con questa strofa: 

 

« Tu che m'ascolti insegnami

Un alfabeto che sia

Differente da quello

Della mia vigliaccheria. »

(F. De André, Cantico dei drogati)

 

Il protagonista della canzone, un tossicodipendente, chiede a colui che lo sta ascoltando di insegnargli un modo di vivere che sia diverso da quello della vigliaccheria che lo induce a fare uso di stupefacenti: il cantautore non usa questo termine in senso negativo, accusando i tossicodipendenti di codardia; lo usa invece con il significato di paura, paura nei confronti della realtà, della propria condizione; questo può essere confermato dal fatto che nel testo spesso si cita il termine “paura”. Naturalmente non è paura verso qualcosa di specifico, quanto invece uno stato d’animo nato da un malessere generale rispetto alla condizione umana. Parafrasando potrebbe diventare: “avevo paura dei miei stati d’animo perché generavano dolore in me, e così sono caduto nel vortice delle dipendenze. Insegnami tu cosa avrei dovuto fare di diverso”.

 

A riprova di quando detto, Pascal afferma che se l’uomo fosse veramente soddisfatto della propria vita, non eviterebbe di riflettere sulle “grandi questioni” e non creerebbe situazioni complesse e spiacevoli:

 

« Quando mi son messo qualche volta a desiderare il vario agitarsi degli uomini e i pericoli e le pene a cui si  espongono, nella Corte, in guerra,[…] eccetera, ho scoperto che l'infelicità degli uomini deriva da una sola causa, dal non sapere stare in pace, in una camera. Un uomo che possiede a sufficienza ben vivere, se sapesse starsene a casa sua con piacere, non la lascerebbe per andare per mare o andare ad assediare una piazza, non si comprerebbe una carica nell'esercito a così caro prezzo se non si trovasse insopportabile non muoversi dalla città ; e non si cercherebbero le conversazioni e lo svago dei giochi se si riuscisse a restare a casa propria con piacere. […] Credono di cercare sinceramente il riposo e in realtà non cercano che l’agitazione. » (B. Pascal, Pensieri)

 

Questo purtroppo è accaduto, accade e accadrà sempre nel corso della storia: le guerre, le dispute, ma anche solo dei banali litigi sono molto spesso frutto di insoddisfazione, di frustrazione; non si fa guerra per la guerra in sé, ma per il gusto di farla, non si va a caccia per fame, ma per il gusto di cacciare e per occupare il tempo. Se l’uomo fosse veramente capace di vivere tranquillamente nel proprio piccolo quotidiano, non si arriverebbe mai ad affrontare eventi come quelli che, per esempio, hanno segnato tutto il secolo scorso. Il problema è che l’uomo troppo spesso non riesce a stare in uno stato di quiete per più di poco tempo, poiché questo porterebbe in lui noia, angoscia e paranoie: proprio quello che spesso accade la notte, quando dovremmo semplicemente riposare, ma i pensieri non permettono di farlo.

 

Non è un caso infatti, che l’unico animale in possesso della ragione sia anche l’unico animale che fa guerra ai suoi simili: la noia è qualcosa di estremamente umano, gli animali non si annoiano, semplicemente vivono: quello che a noi a volte sembra particolarmente faticoso. Questo concetto è ben espresso da Giacomo Leopardi nel componimento “Il passero solitario”:

 

« Tu, solingo augellin, venuto a sera

Del viver che daranno a te le stelle,

Certo del tuo costume

Non ti dorrai; che di natura è frutto

Ogni vostra vaghezza. »

(G. Leopardi, Il passero solitario)

 

Paradossalmente quindi, ciò che rende l’uomo “il migliore degli animali” è allo stesso tempo causa della sua disgrazia; ciò che lo innalza a Dio, allo stesso tempo lo getta nel vortice del niente. Pascal non intende però accusare solo una categoria di persone: la sua è una  critica diretta anche ai “saggi”, e ai filosofi in particolare: loro sono i pochi ad essere consapevoli della tragica situazione degli uomini, ma nonostante questo non posso evitare di ricadere nel “divertissement”.

 

« Infine, altri si ammazzano dalla fatica per far notare tutte queste cose, non già per diventare più saggi, ma solo per dimostrare che le sanno, e questi sono i più sciocchi della compagnia, perché lo sono sapendolo, mentre degli altri si può pensare che non lo sarebbero se avessero una simile conoscenza. » (B. Pascal, Pensieri)

 

La concezione del divertimento infatti varia da persona a persona, per alcuni può essere una festa, per il matematico sarà sicuramente provare a risolvere un problema finora rimasto insoluto e magari per il filosofo sarà la speculazione metafisica e così via; ciò non toglie che tutti gli uomini tendono al divertimento, come se fosse un istinto di sopravvivenza. Se infatti si porta il discorso ad un livello più ampio, la maggior parte delle azioni umane possono essere ricondotte ad uno stato di noia, come se l’uomo fosse mosso da una volontà innata che tende a sfuggire alla noia, nonostante questa sia sempre in agguato. 

 

« Così scorre tutta la vita. Si cerca il riposo col combattere certe lese difficoltà; e, se si sono superate, il riposo diventa insopportabile perché o si pensa alle miserie che si hanno, o a quelle che ci minacciano. E quand'anche ci si vedesse abbastanza al sicuro da ogni parte, la noia, di sua propria iniziativa, non tralascerebbe di sorgere dal profondo del cuore, in cui ha radici naturali, e di riempire l'animo del suo veleno. Così l'uomo è tanto infelice che si annoierebbe perfino senza motivo alcuno di noia, per la natura della sua indole; ed è talmente vano che, pur essendo pieno di mille motivi di noia, la minima cosa, come un biliardo e una palla da tirare, bastano a svagarlo. » (B. Pascal, Pensieri)

 

In conclusione, si può notare come la noia sia una presenza ingombrante anche all’interno della vita di tutti i giorni. Questa visione è estremamente drammatica, poiché vede l’uomo non solo come un essere che prende atto del Problema, ma che prende atto del fatto che il Problema non avrà mai una soluzione: un essere che nasce con un pesante fardello sulle spalle che minaccia da un momento all’altro di schiacciarlo e di cui non riuscirà mai a liberarsi, nonostante i continui sforzi. Tuttavia però, oltre a poter far precipitare l’uomo nel vortice dell’angoscia e della disperazione, la noia può e dovrebbe essere soprattutto il motore che spinge l’uomo a prendere in mano la sua vita, attraverso le scelte e le azioni quotidiane, e a migliorarla cercando di superare continuamente questo stato esistenziale. Questa non è la soluzione al Problema e forse non ce ne sarà mai una, ma è quanto più si possa avvicinare ad essa. 

 

 

3 marzo 2023

 








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