Sul breve ed eterno destino della poesia

 

Il confronto e i dubbi sorgono dalla lettura della prefazione contenuta all’interno del volume Poeti italiani del secondo Novecento 1945 - 1995, i Meridiani Mondadori, edizione curata da Maurizio Cucchi e Stefano Giovanardi. L’edizione di riferimento è stata pubblicata per la prima volta nel novembre del 1996, seguita poi dalla sesta edizione risalente a marzo 2011.

 

di Luca de Vincentiis

 

K. Spitzweg, "Il poeta povero"
K. Spitzweg, "Il poeta povero"

 

Seguendo l’ordine di apparizione, la prima riflessione nasce da un particolare modo di vedere e definire il poeta. Emerge dalle prime pagine la brusca cessazione del mandato sociale del poeta, un ruolo questo che vale la pena chiedersi se ancora oggi venga rispettato e indossato come tale e se una certa tradizione abbia conservato nella sua evoluzione il principio stesso che porta l’essere umano a farsi portatore di tale impegno. Non è semplice immaginare le vesti del poeta, se non altro per l’uso che spesso viene fatto nel linguaggio comune per descrivere il tale che si lascia discorrere in maniera per l’appunto cosiddetto poetico, quasi vagheggiante, spesso simile a un altro termine che viene utilizzato per descrivere colui il quale si lascia andare ad un atteggiamento cosiddetto filosofico: poetico/filosofico, poeticamente/filosoficamente. Sembra quasi che questi due modi di intendere certi atteggiamenti abbiano nella superficialità la loro effettiva concretezza e  che vadano escludendo da questa il contenuto e il peso delle parole. Parole che di per sé vengono utilizzate nel linguaggio per descrivere fatti, sensazioni, emozioni, sentimenti e tutto quel mondo che trova nella realtà dei sensi l’esistenza. Un mondo che il poeta vive con una certa sensibilità: una relazione in cui tentano di dialogare - ed effettivamente comunicano in maniera perpetua - due realtà che necessitano di una particolare condizione affinché possa scaturire quella parola, quel tentativo quanto più possibile simile all’intuizione che si ha avuta, in quel momento, della realtà. Pensando al mandato sociale del poeta, si può scorgere il tentativo di colui il quale si presta come portavoce di una realtà che per lo più sfugge ma che è universale. Detto ciò, s’insinua il discorso del linguaggio: la poesia è anche un certo modo di esprimersi del linguaggio? Qual è o quale dev’essere, sempre che esista definitivamente o debba esistere, il linguaggio della poesia? 

 

 

 

« La poesia è poesia quando porta in sé un segreto. Se la poesia è decifrabile nel modo più elementare, non è più poesia. Anche la poesia che pare semplice è una poesia che contiene un segreto, non ha bisogno di contenere un segreto con quelle difficoltà da letterato. »

(Intervista a Giuseppe Ungaretti, 1961)

 

Proseguendo nella lettura dell’introduzione del volume, ci si ritrova a riflettere su altre questioni interessanti, se non altro perché si mostra, all’improvviso, come un ponte che collega l’anno dello scritto (1996) ai giorni nostri (2023). I punti in questione sono: l’attenzione editoriale nei confronti della poesia e il rapporto poesia-civiltà dell’immagine

Partendo dalla relazione editoria-poesia, è riscontrabile come la stessa poesia, che fino a un po’ di tempo fa veniva presentata e fatta conoscere in televisione in programmi specifici dedicati, sia stata messa da parte o sia comunque diventata qualcosa di nicchia. Se dovuto al suo linguaggio e dunque alla sua impenetrabilità, o se dovuto a una difficoltà riscontrabile nel fare la poesia a scuola, di fatto resta una scarsa propensione alla poesia, che in parte, forse, sta piano piano recuperandosi. Come detto anche da Mariangela Gualtieri:

 

 

 

« C’è una grande fame di poesia, come balsamo che alimenta una parte di noi molto denutrita, rinsecchita. Nell’attuale panorama in cui la lingua è così impoverita, la poesia è una forza che può mettere in moto un cambiamento interiore, e questo è il primo passo verso un agire meno distruttivo e più compassionevole verso tutti i viventi del pianeta. »

 

 

 

Non è forse un caso che abbia preso vita la I edizione del Premio Strega dedicato alla sola Poesia. Come è stato detto poc’anzi, il poeta e la Poesia si dànno un determinato compito nello svolgersi, per l’appunto si è parlato di un mandato sociale. Riporta Stefano Giovanardi, nella stessa introduzione, la crescita già da fine secolo scorso della pletora di narratori non ancora o appena quarantenni che vantano già dai cinque ai nove titoli fra romanzi e raccolte di racconti, e che continuano a produrre a ritmi forsennati. Ritmi, questi, che con l’economia di mercato che piano piano è andata a stabilirsi insieme alla nascita e allo sviluppo di nuovi canali di comunicazione non hanno trovato una stabilità e una fine, ma ne hanno costituito una normalità a discapito, molto spesso, della qualità stessa della produzione. E questo va a stabilirsi vicino al già sentito dire “ci sono più libri che lettori”. Ma chi, in tutto questo, ha più fame? L’editore, lo scrittore o il lettore? Di fatto, il mercato è quello che sembra averne più di tutti

 

 

Non è un caso che si finisca, avvicinandosi alla conclusione, alla relazione Poesia-civiltà dell’immagine, dal quale il mercato ha trovato nuove energie per non chiudere mai gli occhi. Si tratta di una relazione che, seppur abbia preso il piede giusto, è destinata sempre a lasciare nell’angolino la Poesia. Alla Poesia si è affiancata una modalità di poesia aforistica che trova nel linguaggio contemporaneo e nei nuovi canali un dignitoso riscontro. Un riscontro al quale si affida, per l’appunto, l’editoria, che spesso vede nelle brevi biografie in terza di copertina il presunto numero di seguaci (dato che ha la presunzione di voler suggerire e confermare qualcosa). 

Detto ciò e ricordando, per l’appunto, che quest’anno si terrà la I edizione del Premio Strega Poesia, trovo sia interessante concludere con quest’ultima riflessione (1996) con la quale sarebbe sempre bene confrontarsi: 

 

« […] sta di fatto però che la poesia, renitente in Italia per natura e tradizione a qualsiasi forma di fruizione di massa, non può che essere attualmente esclusa dal suo orizzonte, e quindi soffrire come non mai di una perdita di contatto e di interazione con le più pronunciate linee evolutive dei propri tempi. »

(Stefano Giovanardi)

 

Qual è il destino della Poesia?

 

15 maggio 2023

 








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