Alla ricerca del sognatore perduto

 

Cosa ne è, oggi, del sognatore? Che vita ha allinterno della nostra società? In una società fagocitata dal tempo, in cui quel che si desidera ha una sembianza, un prezzo e lo si può ottenere, che cosa sogna il sognatore? Il timore è che anche il sognatore debba piegarsi a una logica per la quale nulla ha un reale valore se non si può toccare e possedere. Non dovrebbe il desiderio essere astratto per il solo motivo di spingerci ad agire continuamente verso un fine (irraggiungibile) che alla fine coinciderà col nostro essere?

 

 

Si trova sia in Dostoevskij che in Proust l’immagine di una figura emblematica che forse ha perso un po’ di forza nei giorni nostri. Questa è quella del sognatore. Chi è il sognatore? Per lo scrittore russo non c’è alcun dubbio, c’è un vero e proprio paradigma che viene presentato nella sua opera Le notti bianche; in Proust, invece, il sognatore viene appena identificato verso le ultime pagine de All’ombra delle fanciulle in fiore, ma quanto basta perché ne esca fuori una figura che subito richiami alla mente il modello dostoevskiano.

 

« Ascoltate: sapete voi che cosa sia un sognatore? Un sognatore! Permettete, come si fa a non saperlo? Anch’io sono una sognatrice! Talvolta sto seduta accanto alla nonna e che cosa mai non mi passa per il capo! Ecco che mi metto a sognare, e così mi abbandono alle fantasticherie… » (Fëdor Dostoevskij, Le notti bianche)

 

Questo scambio di battute, tra i due protagonisti de Le notti bianche, apre a una serie di discorsi che porterà a conoscere la figura del sognatore in Dostoevskij. Il sognatore è un tipo, prima di tutto, un tipo originale suole riportare lo scrittore russo. Questi tipi originali sono soliti rimanere nascosti, in mondi fantastici dove pare che a illuminarli sia un altro sole. È in questi luoghi che vive il sognatore, appartato e lontano dai suoi simili, a tal punto da trovarsi in imbarazzo alla possibile visita di un suo conoscente. C’è qui un’immagine ideale del sognatore, rintanato tra le sue quattro mura e lontano dalle faccende del mondo in cui si ritrova. Conclusa la sua giornata di lavoro, di giri, di affari, l’individuo diventa un sognatore solo all’interno della sua stanza. E il perché è rintracciabile qualche riga sotto:

 

« Egli non guarda con indifferenza il tramonto che lentamente si spegne nel freddo cielo pietroburghese. Dicendo “guarda”, io dico una bugia: egli non guarda, ma contempla in un certo modo inconscio, come fosse stanco o nello stesso mentre occupato da non so quale altro più interessante oggetto, sicché forse solo di sfuggita, quasi contro voglia, può accordare il suo tempo a quanto lo circonda. » (Fëdor Dostoevskij, Le notti bianche) 

 

 

Il cammino dell’immaginazione ha un inizio e questo si trova alla fine di ogni pensiero rivolto alla faccende della vita quotidiana. Qui è stata fatta luce solo su alcuni punti del modello del sognatore, ma Dostoevskij descrive come questo mondo fantastico abbia inizio nel momento in cui il protagonista della sua opera è arrivato al termine della giornata, dunque è libero da quelle faccende che tendono a tenerlo incatenato a questioni che gli competono per un certo dovere. Ecco che qui si presenta come un ponte immaginario verso il nostro tempo, un tempo in cui spesso la giornata d’affari ci accompagna fino a casa e al giorno seguente, senza che si stacchi mai realmente per poterci concedere di evadere. Qui giunge la prima domanda: cosa ne è, oggi, del sognatore? Perché bisogna fare attenzione a una cosa: anche sognare, evadere, comporta una certa spesa di energie.

Nel mondo di oggi sembra che il sognatore abbia vita difficile. Egli si trova a dover affrontare una miriade di distrazioni che lo tengono impegnato e lontano dalla sua sfera più intima. Il lavoro è certo un pensiero fisso nella mente degli individui, sia per chi ha un lavoro sia per chi è alla ricerca costante di un impiego; è un impegno che spesso si trascina oltre le ore dovute, questo perché alcuni lavori dànno la possibilità d’essere portati avanti anche nel proprio cantuccio.

 

Il lavoro è alla base di una società, come di una piccola comunità, ed è ciò che permette di andare avanti, di crescere, di vivere. Il fatto è che se in questa particolare società il lavoro ha il solo scopo di arricchire l’ente, chi si troverà a lavorare per essa non avrà altro impegno che quello di tenersi costantemente occupato per garantire che la macchina non si fermi e per giunta non arrivi al proprio scopo. Come se non bastasse, chi si ritrova a non stare a passo con le richieste, ha già pronto dietro di lui/lei chi potrebbe sostituirlo. È chiaro che in una società come la nostra, in cui si è sempre attenti alle esigenze altrui, possa venire a meno la figura del sognatore. “Possa” perché non è impossibile che ciò avvenga, solo è necessario avere sempre le forze, la volontà, per farlo.

Si potrebbe anche aprire una piccola parentesi riguardo la realtà sempre connessa, tra notizie in tempo reale, messaggi e notifiche provenienti dai social media, ma non si finirebbe più. Si provi a immaginare il sognatore tipo nella nostra società: come lo vediamo? Ci assomiglia? Si è adattato a questo modo di vivere? Perché in fondo, per fortuna, il sognatore non si è istinto, ancora esiste, solo ha poco tempo (o forse lo gestisce male?).

 

La figura del sognatore in Dostoevskij è molto più ampia, qui mi sono limitato giusto a due considerazioni nate da alcuni spunti che mi hanno catturato ne Le notti bianche, opera che mi sento di consigliare vivamente di leggere (a chi ancora non avesse avuto modo di farlo) o di riprendere alcune parti (a chi invece avesse avuto già modo di leggerla).


Passando ora a Proust per concludere, in All’ombra delle fanciulle in fiore il sognatore viene presentato in poche ma potenti righe:

 

« Ma no, replicò Estir, se uno è portato al sogno, non se ne deve tenere lontano, non se lo deve razionare. Finché stornate l’animo dai suoi sogni, non li conoscerà; resterete in balia di mille apparenze, perché non ne capirete la natura. Se un po’ di sogno è dannoso, ciò che può guarirne non è sognare di meno, ma di più, sognare tutto il sogno. È importante conoscere fino in fondo i propri sogni per non soffrirne più; una certa separazione fra sogno e vita è così spesso utile che mi chiedo se non si dovrebbe, ad ogni buon conto, praticarla preventivamente, così come certi chirurghi sostengono che, per prevenire la possibilità di un futura appendicite, bisognerebbe asportare l’appendice a tutti i bambini. » (Marcel Proust, All’ombra delle fanciulle in fiore)

 

 

Estir è certo un prototipo del sognatore e un personaggio importante all’interno di quest’opera, perché è colui che indirizzerà il Narratore all’arte. In queste poche ma concentrate parole è racchiuso un suggerimento, un consiglio, che si protrae nel tempo e in ogni epoca. Trovo che sia utile nei nostri tempi e che risponda anch’essa alle prime due domande che hanno aperto questo discorso. È un messaggio positivo che invita al sogno, al sognare, all’essere il sognatore, a non smettere d’essere ciò che si è. È necessario trovare del tempo per sognare anche e soprattutto per conoscersi, per accettarsi in questi tempi di mera apparenza. Conoscersi è conoscere i propri desideri e realizzare solo ciò che siamo, non ciò che ci viene consigliato di essere.

 

« E mi domando: dove sono dunque i tuoi sogni? E scuotendo il capo dico: come volano rapidi gli anni! E di nuovo mi domando: che cosa dunque hai fatto di questi tuoi anni? Dove hai sepolto il tuo tempo migliore? Sei vissuto oppure no?
[…]

 

Impallidirà il tuo mondo fantastico, moriranno, appassiranno i tuoi sogni e cadranno come foglie gialle dagli alberi… » (Fëdor Dostoevskij, Le notti bianche)

 

 17 novembre 2021

 









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