Van Gogh: differenza tra genio e follia secondo Antonin Artaud

 

Il testo analizza il percorso artistico di Van Gogh, sottolineando come abbia cercato di esprimere la sua visione interiore attraverso la pittura, spesso mal compresa o ignorata durante la sua vita. Si riflette inoltre sul contributo di Artaud nel rivalutare il ruolo della società nel giudicare e influenzare la vita e il lavoro di Van Gogh, evidenziando la sua sensibilità artistica e la profondità emotiva dei suoi dipinti. 

 

P. Gachet, "Van Gogh nel suo letto di morte" (1890)
P. Gachet, "Van Gogh nel suo letto di morte" (1890)

 

« Van Gogh [...] non si è suicidato impetuosamente, nel panico di non farcela, ma aveva appena trovato se stesso quando la coscienza collettiva della società, punendolo per essersi strappato da essa, lo ha portato al suicidio. » (Antonin Artaud, Il suicidato della società)

 

Così scrisse Antonin Artaud in un saggio dedicato interamente a un genio dell'arte: Vincent Van Gogh.

 

Vincent Van Gogh annunciò nel 1880, in una lettera indirizzata a suo fratello Theo, la sua decisione di diventare un artista. Fino a quel momento, il giovane olandese aveva intrapreso diverse carriere, tra cui quella di mercante d’arte e predicatore. Van Gogh credeva che il suo lavoro dovesse avere uno scopo significativo e, il 1° aprile 1876, si dimise dal suo incarico presso suo zio, il quale da quel momento ruppe i rapporti con lui. Il suo percorso artistico iniziò ufficialmente nel 1880, quando si iscrisse all’Accademia delle Belle Arti di Bruxelles. Questo segnò l'inizio del cammino di colui che sarebbe stato riconosciuto tardivamente, secondo la definizione di Antonin Artaud, come "il pittore dei pittori". Durante la sua vita, Van Gogh fu spesso incompreso e considerato un pazzo da internare. Tuttavia, riuscì a trasformare ogni suo dipinto in una finestra sulla propria anima, utilizzando ciò che vedeva come punto di partenza per esplorare e condividere il suo mondo interiore. Questo approccio rese la sua opera potente e universale, capace di comunicare a un livello profondamente emotivo con il pubblico.

 

Nonostante la sua grande sensibilità artistica, Van Gogh riuscì a vendere solo un quadro durante la sua vita, Il vigneto rosso. La profondità emotiva dei suoi lavori fu compresa solo decenni dopo la sua morte. In vita, Van Gogh fu considerato folle da molti, un mito che ha spesso oscurato la sua straordinaria genialità.

 

Ancora in Olanda, Van Gogh realizzò uno dei suoi primi capolavori, I mangiatori di patate.

 

« Caro Theo, volevo dirti che sto lavorando interamente ai Mangiatori di Patate. Li ho ripresi su una tela nuova e ho fatto nuovi studi delle teste, in particolare ho cambiato molto le mani. Soprattutto, sto facendo del mio meglio per metterci dentro la vita (...) voglio dire la vita in particolare. Lo dipingo a memoria, sul dipinto stesso. (...) In apparenza sembra che non ci sia niente di più facile che dipingere contadini o stracciaioli e altri lavoratori, invece – nella pittura non ci sono soggetti più difficili di quelle figure quotidiane. » (Van Gogh, I miei quadri raccontati da me)

 

Van Gogh, "I mangiatori di patate" (1885)
Van Gogh, "I mangiatori di patate" (1885)

 

Ma cosa desiderava raccontare Van Gogh attraverso questo quadro? Egli ha dipinto la quotidianità, la stessa presente all’interno di uno dei suoi romanzi preferiti: Germinal di Zola. Van Gogh esprime a pieno l’empatia nei confronti dei contadini, considerati all’epoca come esclusi. Van Gogh ha impiegato diversi mesi ad analizzare i contadini del suo piccolo villaggio. È solamente la terza versione, quella che è possibile ammirare ad Amsterdam.

 

« Non va bene conoscere una sola realtà; si diventa ottusi. Non bisognerebbe fermarsi fino a quando non si conosce l’opposto. Ora qui viviamo in un mondo di pittura indocilmente paralizzato e disgraziato (...) la caratteristica principale di un pittore è dipingere realmente bene. » (Ivi)

 

Decise di lasciare l’Olanda per recarsi a Parigi, la culla dell’arte. Nei due anni trascorsi a Parigi – dal 1886 al 1888 – Van Gogh realizzò ben 220 dipinti. A Parigi, la tavolozza di Van Gogh ebbe un'evoluzione magistrale. Egli si appropriò rapidamente di tutte le tecniche impressionistiche, aggiungendo sempre una sua interpretazione personale. Il periodo parigino fu indispensabile per aggiornare il suo modo di dipingere. Dopo due anni, il pittore olandese abbandonò la capitale: ormai si era procurato ogni esperienza. Un’opera realizzata a Parigi è l’autoritratto come pittore.

 

A suo fratello Theo scrisse:

 

« Ora qui viviamo in un mondo di pittura indicibilmente paralizzato e disgraziato. Le mostre, i negozi di quadri, tutto, tutto è occupato da persone che intercettano denaro. (...) si spende molto per un lavoro quando il pittore è morto. E si criticano i pittori viventi facendo riferimento alle opere di quelli che non sono più come noi (...) Ma dipingere un quadro procura un certo piacere (...) la caratteristica principale di un pittore, immagino, è dipingere bene; quelli che sanno dipingere, quelli che lo fanno al meglio, sono i germi di qualcosa che continuerà ad esistere ancora per molto tempo, finché ci saranno gli occhi per godere di qualcosa di straordinario. » (Ivi)

 

Van Gogh giunse ad Arles, nel sud della Francia. Questa città divenne importante per Van Gogh, tanto che numerosi luoghi divennero protagonisti dei suoi quadri. Al suo caro fratello Theo scrisse:

 

« (...) vivere con poco, quasi da monaci o eremiti, con il lavoro quale passione dominatrice, rinunciando al benessere. La natura, il bel tempo di quaggiù: questo è il vantaggio del sud. » (Ivi)

 

Prima di lasciare dolcemente la vita sulla terra, Vincent Van Gogh realizzò il suo ultimo capolavoro: Corvi sul Campo di Grano, un quadro che denuncia una società oppressiva, la stessa che lo avrebbe condotto al suicidio, come afferma uno dei suoi più grandi ammiratori, Antonin Artaud. Antonin Artaud, noto drammaturgo francese, elogiò la pittura di Van Gogh in un saggio pubblicato nel 1947, Il Suicidato della Società. All'interno di questo breve saggio, il poeta esplora l'anima di un artista geniale, colui che avrebbe incoronato con il titolo di "il pittore dei pittori", giungendo alla conclusione che sia stata la società, perversa e malata, a provocare il suo suicidio.

 

Van Gogh, "Campo di grano con volo di corvi" (1890)
Van Gogh, "Campo di grano con volo di corvi" (1890)

 

« Perché un alienato è anche un uomo che la società non ha voluto ascoltare e al quale ha voluto impedire di proferire insopportabili verità. Ma, in questo caso, l’internamento non è la sua unica arma, e l’assembramento concertato degli uomini possiede altri mezzi per venire a capo delle volontà che ha voluto spezzare. » (Antonin Artaud, Il suicidato della società)

 

Il poeta francese invita il lettore a focalizzarsi sull’analisi dell’ultimo capolavoro di Van Gogh: Corvi sul Campo di Grano. Ogni parola è un invito ad amare la pittura di uno dei più grandi artisti della fine dell'Ottocento; ogni frase è una critica acuta alla società.

 

« (…) perché dopo Corvi sul Campo di Grano non riesco a convincermi che Van Gogh avrebbe dipinto un solo altro quadro. Penso che sia morto a trentasette anni perché era giunto, ahimè, al limite della sua funebre e rivoltante storia di garrottato da uno spirito malvagio. Perché non è a causa del male della propria pazzia che Van Gogh ha lasciato la vita (...) Mi sono fermamente e sinceramente convinto, leggendo le lettere di Van Gogh a suo fratello, che il dottor Gachet, psichiatra, in realtà detestasse Van Gogh, pittore, e che lo detestasse in quanto pittore, ma sopra ogni altra cosa in quanto genio. È praticamente impossibile essere medico e galantuomo, ma è turpemente impossibile essere psichiatra senza recare nello stesso tempo il marchio della più indiscutibile pazzia: quella di non poter lottare contro il vecchio riflesso atavico della turba e che fa, di ogni scienziato, legato alla turba, una specie di nemico nato e innato di ogni genio. » (Ivi)

 

Era il 30 dicembre 1888, quando il giornale Le Forum Républicain diffuse una notizia che destò timore tra i cittadini di Arles: il pittore olandese si era mutilato un orecchio per consegnarlo – come regalo – a Rachel.

 

Tale notizia fece il giro della città, senza che nessuno riuscisse a comprendere davvero il motivo di tale gesto. Ciò che è noto, secondo molti dottori, è che egli si sia auto-mutilato, il che sollevò i primi dubbi sulla sua salute mentale. Con il panico che si diffuse in città, il primario dell'ospedale di Arles scrisse una lettera al sindaco: «Certifico che il signor Vincent è affetto da una malattia mentale. Le cure che riceve in questo istituto non sono sufficienti per riportarlo alla ragione. La prego di prendere le misure necessarie per farlo ricoverare in un apposito asilo» (Van Gogh, I miei quadri raccontati da me). Il sindaco Jacques Tardive ricevette una trentina di lettere che chiedevano il trasferimento di Van Gogh in un luogo dove non potesse mettere a rischio la sicurezza delle persone.

 

Il 7 febbraio, Van Gogh fu visitato dal dottor Albert Delon, che lo accusò anche di ubriachezza e molestie, affermando che «si abbandona a eccessi alcolici, dopo i quali si trova in uno stato di sovreccitazione tale da non sapere ciò che fa e dice. Le donne non sono al sicuro. Il signor Vincent Van Gogh è affetto da malattia mentale» (ivi). L'artista venne a conoscenza della petizione e, scandalizzato e offeso, scrisse una lettera al fratello Theo:

 

« Ti scrivo nel pieno possesso delle mie facoltà e non da pazzo, bensì come il fratello che conosci. Eccoti la verità: un certo numero di persone di qui ha presentato al sindaco una petizione in cui mi si definiva persona indegna di vivere in libertà o qualcosa di simile. Il commissario capo allora ha dato l’ordine di internarmi di nuovo. » (Ivi)

 

Così, il 29 luglio del 1890, Van Gogh ci lasciò. Queste lettere sono una testimonianza incredibile non solo dei suoi dipinti, ma anche del suo vissuto. Ogni lettera mostra la sua visione della realtà e dell’arte. Così, a distanza di diversi anni, Van Gogh è riconosciuto come un genio dell’arte.

 

« (…) Van Gogh è tra tutti i pittori colui che ci spoglia più profondamente, e fino alla trama, ma nello stesso modo in cui ci si spidocchierebbe di un’ossessione. Quella di far sì che gli oggetti siano altri, quella di osare infine rischiare il peccato dell’altro, e la terra non può avere il colore di un mare liquido, e tuttavia è proprio come un mare liquido che Van Gogh butta la sua terra come una serie di colpi di sarchio. » (Antonin Artaud, Il suicidato della società)

 

7 agosto 2024

 









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