Fede. Una breve lettura del concetto da un punto di vista esistenziale

 

Quando utilizziamo il termine fede e lo adoperiamo nella sola accezione al dato religioso sbagliamo, in quanto c’è di più. La fede è una nostra più che necessaria consuetudine, senza la quale il fondamento del nostro vivere cadrebbe, modificando radicalmente la nostra percezione del e sul mondo.

 

P. Picasso, "Amicizia"
P. Picasso, "Amicizia"

 

Una prima e più immediata considerazione sul concetto di fede è quella riferita alla credenza in un’entità superiore, la fede in Dio. Questo atteggiamento immediato è dovuto alla nostra abitudine, la quale sceglie prima ancora di una nostra autonoma deliberazione. Ma una considerazione più profonda e più libera sulla fede, ci porta a svelare che essa è una forma imprescindibile di quella stessa abitudine, senza la quale la nostra stessa vita abitudinaria verrebbe radicalmente cambiata. Quando affermiamo di avere fede in Dio, noi crediamo di credere in un qualche Dio particolare. Entrando in un’ottica religiosa, questo è più che mai falso, dacché l’uomo, questo particolare Dio, non l’ha mai incontrato. Dio non è un particolare tra i particolari, giacché non è un qualunque oggetto. Noi, invece, quando crediamo, crediamo nel suo concetto, qualunque esso sia, crediamo in quell’idea e in quel significato che hanno per oggetto il concetto di Dio. Già da questa piccola considerazione, le lotte in nome di ‘un’ Dio non hanno alcun valore e senso: quante vite sono state stroncate e quante ancora vengono spezzate nel nome, non di una ragione, ma di una endemica ignoranza. Oggi viviamo in un’epoca in cui Dio continua a morire e in cui la “fede religiosa” è considerata faccenda accessoria e privata, allo stesso tempo però possiamo affermare che la “fede esistenziale” è da sempre, e continua ad esserlo, imprescindibile. Cosa succederebbe se smettessimo di avere fede nel quotidiano, se rinunciassimo alla fiducia e a qualunque tipo di fedeltà? La nostra stessa vita subirebbe un cambiamento radicale, acquisendo nuova linfa verso un domani più autentico, oppure l’inquietudine verso il futuro, l’ansia e la paura nel presente e, da ultima, l’angoscia (ora come vera emotività) verso qualunque faccenda prenderebbero il sopravvento, perdendo così l’appellativo di «ανθρωπος φυσει πολιτικον ζωον» (Aristotele, Politica), cioè «che per sua natura è un essere socievole»?

 

Uno dei capisaldi del nostro mondo è il metodo scientifico, spesso ritenuto il solo in grado di cogliere e di attestare la verità. Attraverso la formulazione di un’ipotesi e al conseguente esperimento, l’ipotesi avanzata inizia a venir considerata vera. In questo modo la scienza diventa la sola via d’accesso al mondo o, meglio, la sola in grado di accedere genuinamente alla realtà, derubricando come falso ogni altra forma espressiva, quale che sia. Del resto, già il vecchio Platone affermava la superiorità dell’ἐπιστήμη, fondata sul rendere ragione (λόγον διδόναι), rispetto alla δόξα, la quale può essere sia vera che falsa (Menone, 98a). Questo atteggiamento dogmatico è denunciato lucidamente da Ernst Cassirer, il quale, nel tomo enciclopedico dal titolo La filosofia delle forme simboliche, afferma che ogni “-ismo”, tra cui lo scientismo, è segno di una irrefrenabile e connaturata volontà di potenza. Per il filosofo tedesco, ogni forma di trascendentalità pura può e deve avere la sua possibilità, giacché, a seconda della forma simbolica utilizzata, il mondo avrà una diversa sfumatura (Ernst Cassirer, Vol. 1, il linguaggio). Lungi dall’essere sinonimo di debolezza, la moltitudine di significati è la prova, non solo della potenzialità della ragione, ma anche della ricchezza di cui l’uomo può vantare. Questo tipo di “logica oppositiva” è denunciata dallo stesso Hegel, il quale, nella titanica Fenomenologia dello spirito, afferma che la verità non è in opposizione al falso, ma una sua necessità d’essere. Nel linguaggio del senso comune, ogni cosa è vista sempre e comunque in opposizione a qualche altra cosa. Per Hegel, invece, la verità non è mai fissa e stabile, sempre pronta ad opporsi ad una controparte, ma sempre in divenire. La nozione di falso, quindi, come anche quella di vero, non è mai in una posizione definitiva, ma strutturalmente complementare alla verità stessa. Se così non fosse, seguendo questo ragionare per “compartimenti stagni”, sarebbe impossibile tematizzare completamente qualunque faccenda. Prendiamo come esempio una pianta. La sua struttura veritativa è manifestata solamente alla piena maturazione del suo frutto, come afferma Hegel «nel suo risultato». Diversamente, se utilizzassimo una logica oppositiva, dovremmo tematizzare prima il suo seme, per poi dedicarci alla struttura del suo stelo, successivamente alla fioritura per poi passare al suo frutto, senza però con ciò affermare che il frutto è l’elemento unificante e veritativo di queste diverse e oppositive fasi.

 

F. W. Hegel
F. W. Hegel

 

Similmente è ciò che accade quando noi ci troviamo a dover scegliere tra fede e scienza, in cui l’una la reputiamo vera e l’altra falsa, come in ogni cosa, seguendo una tendenza deiettiva imposta dalla società; se decidessimo invece di seguire la logica hegeliana, comprenderemmo che la verità è sempre e comunque qualcosa in più, qualcosa che continua a trascendere le parti in perenne dialogo, qualcosa che oltretutto le ingloba. La stessa teoria platonica della conoscenza recita che l’uomo ha diverse forme e diversi modi di tematizzare il medesimo oggetto, ma ciò non vuol dire che quella più alta, cioè il νόησις [noesis- trad. conoscenza], confuti e neghi quella a essa inferiore, ma che è solo un “diverso” modo d’accesso all’oggetto preso in considerazione (La Repubblica). Nel modo di vedere comune, fondato sulla certezza scientifica e sulla necessità di trovare l’efficienza in ogni cosa, la fede diventa qualcosa di accessorio, utile solo al credente in un rapporto di fede in Dio, dimenticandosi che essa è un modo fondamentale del nostro vivere quotidiano.

 

Uno dei personaggi più illustri della speculazione medievale è Agostino. Principale perché è lui a fondare la famosa premessa, la quale fa da base a tutta la manualistica scolastica, in cui ragione e fede assumono un’alleanza tanto forte da non porre una benché minima divisione tra le due discipline. Per Agostino, infatti, il termine “teologia” non ha nessun senso, dacché esiste un solo procedimento, che è quello razionale, il quale non può che avere un esito teologico. E questo perché, una corretta indagine razionale dell’uomo sulla “natura delle cosa reali” porta successivamente l’uomo a chiedersi chi ha fondato “la natura delle cose reali”. Ma fede e ragione non sono solo collegate da un esito metafisico, ma, per Agostino, anche in quello scientifico. L’intera struttura filosofica agostiniana ha l’obiettivo di legittimare scientificamente non la fede, giacché non può essere dimostrabile, ma la sua stessa conversione. E lo riesce a fare cogliendo una assoluta reciprocità proprio tra i termini comprendere e credere. Sia il credere (credo), oggetto di fede, sia il comprendere (intelligo), oggetto di scienza, sono per Agostino perfettamente convertibili e interscambiabili, dacché per poter comprendere devo necessariamente credere alla sussistenza dell’oggetto e per poter credere devo necessariamente comprendere. Normalmente, infatti, nel corso della vita umana, noi cerchiamo di comprendere gli oggetti della nostra conoscenza per poter continuare a credere, una volta finito l’atto del conoscere, alla loro sussistenza. Ad esempio: comprendiamo con l’intelletto il movimento rotatorio della terra per confermare la nostra fede nel sorgere del sole domani mattina anche adesso che è buio. Agostino propone un’inversione totale di questo rapporto, infatti risulterà che la verità della formula “credo ut intelligam” dipende proprio dalla conversione logica dell’altra proposizione vera “intelligo ut credam”. E questo è possibile soltanto perché entrambe le proposizioni sono rese vere proprio dalla loro reciproca convertibilità, giacché il comprendere e il credere sono, dinanzi a una verità piena, i due modi diversi ma necessari e complementari che ne permettono la conoscenza. 

 

Sant'Agostino
Sant'Agostino

 

Non serve solamente comprendere che la terra giri intorno al proprio asse, ma abbiamo fede che domani risulterà così, dacché la certezza incontrovertibile è data non dalla legge ma dal dato fenomenico. In questo modo fede e ragione non vengono più considerate due visioni opposte, in cui mentre c’è una manca l’altra, un po’ coma la morte in Epicuro, ma complementari; con due modi diversi di rapportarsi al mondo. Questa forma di co-appartenenza è presente anche nella semplice educazione, ed è ancora Agostino a intuirlo. Nel suo De magistro spiega al figlio Adeodato che il significato di una parola a noi sconosciuta, può essere accettato per fede nel momento in cui viene pronunciato da una persona a noi moralmente vicina (DeM, 12, 38, P 32, 1216, pp. 195 e 196). Credere a un’autorità affidabile permette dunque di avere una conoscenza più estesa da quella che proviene dall’indagine razionale autonoma. Se per Agostino questo significava il raggiungimento e la prova della certezza della fede, giacché Cristo diviene l’auctoritas per eccellenza, per noi questo significa che la fede non può e non deve essere considerata accessoria, dacché sarebbe come negare il ruolo educativo dei nostri genitori o della scuola. 

 

Tornando alla domanda posta in origine, cosa succederebbe se provassimo a eliminare questa componente dalla nostra vita? La vita come la conosciamo, non nel suo significato biologico, verrebbe completamente modificata, nemmeno l’immaginazione più abile potrebbe offrirne un quadro adeguato. Il semplice andare dal barbiere risulterebbe traumatico, dacché io ora mi fido e confido che il suo esercizio si limiterà a tagliare il pelo superfluo, e non nell’utilizzare i suoi attrezzi per un fine più tragico ed empio. La necessità di visitare il nostro medico di base subirebbe un mutamento, dacché io accetto per fede il suo responso e la sua cura, aff-fidandomi ai suoi studi e alla sua giusta cura. Ma soprattutto cosa accadrebbe ad ogni rapporto interpersonale, quello fondato sull’amicizia e sull’amore perderebbero in partenza vivacità. Io credo che l’amico mi rispetterà e l’amata mi amerà, ma mai posso averne certezza scientifica. Senza la fede, la fiducia e la fedeltà la nostra stessa comunità secolare non avrebbe avuto possibilità di sopravvivere. Nonostante la disarmante e noiosa società tecnologica dell’ottimo e del certo imperante, non potremo mai considerarci abbastanza “atei”.

 

 

3 gennaio 2025

 



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