La potenzialità concettuale del rap e la sua puntuale disattesa

 

Dalla “vecchia scuola” che si vanta del suo status “da ghetto”, di una vita trascorsa facendo a botte con le bande rivali nei vicoli scuri delle grandi città, o combattendo a suon di insulti e spinelli uno Stato oppressore che non concede loro chissà che cosa, a quella “nuova”, decisamente peggiore, che ama dilettarsi in ogni bassezza umana immaginabile, il rap, nel suo lato contenutistico, è indubbiamente inguaiato nella sua mediocrità. 

Grandmaster Flash, pioniere dell'hip-hop dagli anni '70
Grandmaster Flash, pioniere dell'hip-hop dagli anni '70

 

La musica, a differenza delle altre arti, ha la peculiarità di dover rendere la varietà dei sentimenti mediante il suono. Una melodia suscita allegria; un’altra sconforto; un’altra ancora dolcezza; e così via. Il modo in cui può e deve rispecchiare questi stati d’animo è però senz’altro formale:

 

« Essa possiede certo un contenuto, ma non nel senso delle arti figurative, né in quello della poesia; infatti quel che le manca è il configurarsi oggettivo, sia nella forma di reali fenomeni esterni che nell'oggettività di intuizioni e rappresentazioni spirituali. [...] Il sentimento resta sempre solo l'involucro del contenuto, ed è questa sfera che la musica fa propria. Essa si dispiega poi fino all'espressione di tutti i sentimenti particolari; e così tutte le sfumature della letizia, della serenità, dello scherzo, [...] l'amore, ecc. divengono la sfera peculiare dell'espressione musicale. [...] La musica deve porre i sentimenti in determinati rapporti di suono, [...] e dar loro misura. » (Hegel, Estetica

 

Un motivo allegro si riconosce immediatamente per questa sua peculiarità; eppur esso di certo non contestualizza l’allegria: non si ricava, a partire dal mero suono, una circostanza particolare in cui quell’allegria si realizza. Per questa ragione «la musica è forse l'unica forma artistica la cui capacità associativa sia inesausta ed inesauribile» tale che «può volta a volta "incarnarsi" [...] entro una nostra personale ed autonoma attività formativa» (Dorfles, Il divenire delle arti). Il ritmo allegro, che per il musicista nasceva nel ricordo di una giornata felice con la famiglia, per chi lo ascolta può “incarnare” la gioia di un momento trascorso con gli amici. 

 

V’è però un modo di particolarizzare quella forma in cui il suono consiste, ed è l’accompagnamento del testo. Quando alla melodia si aggiunge la voce, oltre a “potenziare” la musica stessa – la quale assume così una complessità differente per la sintesi tra il suono strumentale e quello vocale –, essa dà modo di rappresentare un significato molto più preciso. Non si ha più la sola allegria delle note, ma anche delle parole che esplicitano a tutti quale fosse la specifica allegria che l’autore, nell’atto del comporre, avesse in mente. In questo senso, la canzone – composta di melodia e parole – permette agli artisti di esprimersi meglio, con molta più efficacia, rispetto a una melodia “semplice”.

 

Ora, potremmo spendere più di una parola su come, molte volte, le canzoni siano di una pochezza disarmante. Su come i significati espressi siano davvero deleteri per chi li ascolta e da essi impara, a volerli prendere sul serio: esaltazione di tradimenti, violenze; trattazioni poverissime di nobili questioni come amore, amicizia, società, etc. Ma quello che qui ci preme è l’analisi di un particolare genere: il rap. Esso ha una caratteristica ineguagliabile: quella di riuscire ad essere estremamente discorsivo. Gli MC, i Masters of Ceremonies, erano proprio coloro che potevano intrattenere i ragazzi dei block party newyorkesi a colpi di rime e flow, accompagnati da basi composte da dj fieri delle proprie nuovissime scoperte musicali. Così, se il movimento hip-hop affonda le sue radici nell'intrattenimento spensierato di chi ballava a quelle feste, si è poi sviluppato nella piena coscienza del suo mezzo potentissimo: quel ritmo incalzante aveva la costante di dover comunicare qualche cosa; perciò, ci si rese conto (chi più chi meno) che qualcosa di significativo poteva essere comunicato, e che tutta quella voce poteva non essere sprecata in idiozie. 

 

Se fare l'MC significa fare il muratore che edifica

la rima calligrafica stilosa quanto statica,

pratica praticamente assente di teoria,

non è storia mia, ebbene sì, non sono un MC, ma così sia.

 

Così cantava in una delle sue prime demo (1999), rivendicando il vero compito dell'artista, un giovane Caparezza. Che sia probabilmente il migliore nel suo genere comincia ad apparire proprio qui, agli albori della sua carriera, in questa piccola strofa, minuscolo ma imponente tassello sul quale edificherà l'intera sua carriera.

 

Caparezza
Caparezza

 

Per quanto riguarda il rock invece, tendenzialmente le strofe delle sue canzoni sono molto più brevi e sintetiche, e permettono di portare in luce un concetto in modo meno esaustivo. Ovviamente ci sono dei brani meravigliosi, tanto nel rock quanto nel pop, che spiccano per la loro potenza concettuale. Si vedano la strofa pregnante di Pigs on the wing (part one) dei Pink Floyd:

 

« If you didn't care what happened to me,
And I didn't care for you,
We would zig zag our way through the boredom and pain
Occasionally glancing up through the rain

Wondering which of the buggars to blame
And watching for pigs on the wing. »

 

[Se a te non fosse importato di me

E io non mi fossi preso cura di te

Percorreremmo le nostre strade zigzagando tra la noia e il dolore

Guardando in alto, occasionalmente, sotto la pioggia

Chiedendoci a quale bastardo dare la colpa 

 

   E guardando i maiali in volo.]

 

E quella degli Smiths, in Meat is murder:

 

« And the flesh you so fancifully fry
Is not succulent, tasty or kind
It’s death for no reason
And death for no reason is murder
And the calf that you carve with a smile
Is murder
And the turkey you festively slice
Is murder
Do you know how animals die? »

 

[E la carne che friggi con fantasia

Non è succulenta, gustosa o simpatica

È morte senza ragione

E la morte senza ragione è assassinio

E il vitello che tagli con il sorriso     

È assassinio

E il tacchino che gioiosamente affetti

È assassinio

 

    Lo sai come muoiono gli animali?]

 

I due eccelsi gruppi di artisti sono riusciti a rendere nel modo più concreto, cioè più vero, un problema. Se i primi portano all’attenzione le fondamenta dell’ingiustizia, i secondi ci mettono dinanzi al dolore che causiamo mangiando carne – ovvero ci mettono davanti ad una delle declinazioni dell’ingiustizia. E l'hip-hop, confrontato con i mezzi usati da questi, avrebbe addirittura la possibilità di restituire gli stessi valori in termini meno impliciti: potrebbe, volendo riproporre gli stessi temi affrontati dalle due canzoni prese in esame, sviscerare meglio le questioni e, data la lunghezza e la possibilità di consegnarci delle parole "rappate", portare argomentazioni vere e proprie; potrebbe dare un senso reale al suo parlato. Ecco dove risiede, a mio avviso, la potenzialità decisamente concettuale del rap.

 

Tuttavia è abbastanza palese come attualmente questo genere soffra di pochezza intellettiva ancor più degli altri. Già l'abitudine al dissing, ossia la pratica di mettere in piedi dei pezzi con il solo scopo di offendere e insultare apertamente altri rapper, non rende onore al genere. Non si tratta, in quei brani, di confutare, cioè di mostrare come un'idea sia campata per aria, ma di vere e proprie liste di ingiurie da dedicare ad "avversari" o amici che si sono "venduti" cambiando genere o avendo qualche fortuna "commerciale".  Insomma, dalla “vecchia scuola” che si vanta del suo status “da ghetto”, di una vita trascorsa facendo a botte con le bande rivali nei vicoli scuri delle grandi città, o combattendo a suon di insulti e spinelli uno Stato oppressore che non concede loro chissà che cosa, a quella “nuova”, decisamente peggiore, che ama dilettarsi in ogni bassezza umana immaginabile, il rap, nel suo lato contenutistico, è indubbiamente inguaiato nella sua mediocrità. Non che anche qui non vi siano delle eccezioni (e, per quanto ne so, lo sono comunque solo parzialmente: sebbene non scadano in alcune sciocchezze, non si sollevano oltre l'autocelebrazione – sia essa musicale o "personale" – o la dichiarazione perentoria dello squallore del mondo sul quale inciampano costantemente, non riuscendo però mai a capire che la soluzione non verrà dalla crew a cui appartengono e che è composta da persone altrettanto "infognate", ma solo dallo studio); nondimeno le eccezioni, per dare un giudizio positivo al complesso di ciò che c’è, non bastano. Tra di esse – per citarne un'altra – vi è chi si prende gioco dello stesso “ambiente” a cui appartiene, e fa il verso ai rapper più sciocchi:

 

« Le prime rime devi scriverle d’impatto
Fargli capire che sei duro abbastanza da toglierti dall’impaccio
Passati il vocabolario a setaccio ma attento ogni tanto ricorda di dire “ca**o”

Fa il portiere di palazzo quindi parla dei problemi che hai avuto col Sig. Scarso,
Trattalo molto male, minaccialo
E ricordagli che hai un colpo in canna e lo vuoi sparare
Se poi lo scarso ha una compagna, una moglie
Ricordagli che tu sei la causa delle sue doglie
Ma non cambiare via
È sempre una donna, quindi abbonda con i cliché della misoginia
Usa paroloni, digli che l’hai sodomizzata a carponi così scatta la sua gelosia,

E fai metafore del genere. »

 

Ironizza perciò sui loro argomenti, e anche sulla loro capacità compositiva:

 

« Occhio alla sintassi che se invertiresti il congiuntivo col condizionale poi può darsi che sbagliassi

Se quattro quarti non ti bastano e ti avanza una parola non velocizzar la metrica, piuttosto sfora

Se sei in difficoltà chiudi le rime con bro, man o fra,

Poi alla fine della strofa, si sa, ripeti il titolo del pezzo. »

(Ghemon ft. Mistaman, Il pezzo rap)

 

Ma, si obietterà, il rap nasce nelle periferie delle metropoli degli Stati Uniti, non è italiano. Eppure, se si volesse lasciare da parte il rap nostrano, importato proprio dall’America e dai suoi problemi sociali, per volgere lo sguardo alla sua pura origine “nera”, i risultati non sarebbero affatto differenti. L’analisi di D.F. Wallace, nel testo scritto a quattro mani insieme a M. Costello, intitolato Il rap spiegato ai bianchi, non fa che confermare il nostro giudizio:

 

David Foster Wallace
David Foster Wallace

« Nessuno è uno yuppie perché negli Stati Uniti di oggi, in pratica, siamo tutti yuppie, tutti consumatissimi consumatori. Anche – ve ne convincerete prima della fine di questo saggio – i più improbabili soggetti del mercato, gli artisti neri che marciano alla testa di quell’esplosione pop chiamata rap: è yuppismo quello che esce dalle loro assonanze dattiliche, mentre con tutta la forza delle rime in trocheo gridano attraverso un vuoto impenetrabile che ci sono, sono qui, qui e ora: simili a Noi nel loro consapevole differenziarsi, nel radunarsi di fronte all’altare di un Sé elettronico; simili a Noi nel loro odio per il diverso; al livello più profondo, perfettamente integrati nello yuppismo americano. » 

 

I rapper, lungi dall’essere dei rivoluzionari – lo sono stati esclusivamente, e in modo superbo, sul piano della trovata musicale, con la capacità di fondere il suono del parlato alle basi ricavate dai ritmi jazz, funk e soul –, sono sostanzialmente identici ai “bianchi” a cui pensavano opporsi. L’evidente e deprecabile situazione di minorità in cui versavano i quartieri popolari, ben in evidenza grazie alla «visione profondamente cupa» che contraddistingue il genere, che urla al mondo «un presente distopico da cui non può emergere alcun futuro, neppure costruito dalla fantasia», non è bastata a renderli più intelligenti dei propri avversari. Quei testi contengono perlopiù reazioni e risposte animate dal medesimo razzismo – «è un movimento musicale che sembra insultare i bianchi in quanto gruppo o Sistema» –, dal medesimo sessismo – «può dire tante cosine dolci alla sua “puttanella” e sul lato B del disco minacciarla di andare a prendere di nuovo la pistola se non impara chi è che comanda» –, dalla medesima mentalità capitalista – «L’esercizio del potere, le spese smisurate, la violenza, l’egoismo, il disprezzo della verità e dei sentimenti, questi sono mezzi accettabili per raggiungere i fini di cui una nazione o una persona potente ha bisogno, e che si merita» – che appartengono agli oppressori che denunciano.

 

« Il mondo del rapper sembra aderire completamente alle carote reaganiane dei Diritti Acquisiti e del Potere, un prenez-faire senza regole dove la libertà è isomorfica alla classe sociale, e la reputazione è una funzione statistica del capitale posseduto e delle merci consumate. »

 

3 dicembre 2017

 




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