Democrazia: diretta o rappresentativa?

 

La contrapposizione tra le due forme di democrazia, diretta e rappresentativa, rischia, al giorno d’oggi, di nascondere i possibili effetti negativi e problematici che possono derivare dalla mal interpretazione di entrambe. Attraverso l’identificazione di tali questioni però è possibile risolvere l’antitesi creatasi. 

 

di Simone Basso

 

 Lo scopo comune di uno Stato che si dichiara democratico è appunto la realizzazione di una democrazia. La forma che essa assume sarà, quindi, l’organizzazione che si vorrà disporre per realizzarla. Le etichette di democrazia diretta o rappresentativa non devono pertanto essere intese come l’obiettivo a cui aspirare, ma piuttosto come i metodi con i quali perseguirla. L’idea di chi pretende di voler supportarne, in tutto e per tutto, una piuttosto che un’altra, prevedendo che dall’applicazione di un metodo derivi direttamente una buona realizzazione della democrazia, è illusoria. Quella diretta contiene diverse problematiche che giustificano la sua non messa in atto, ma allo stesso tempo anche quella rappresentativa è divenuta, venendo mal interpretata, la causa di un problema odierno assai rilevante.

 

Per evidenziarne i loro limiti, innanzitutto, va specificato cosa si intenda con questi due termini. Il concetto di democrazia diretta, come molti sanno, deriva dall’illuminista Jean-Jacques Rousseau il quale, ne Il contratto sociale, sostiene che la “volontà generale” sia l’unico modo per il popolo di esprimere e realizzare, a dispetto della corruzione dei rappresentanti, il proprio volere. La democrazia rappresentativa invece identifica la forma di governo che prevede l’elezione, da parte di un popolo, di rappresentanti con il ruolo di governanti, aventi cioè potere legislativo.

Negli ultimi 20 anni due tendenze si sono incrociate, e intersecandosi hanno dato spunto per una riproposizione 2.0 di una democrazia diretta. Il primo fatto è la crisi politica e il decadimento della fiducia dei cittadini nei confronti dei governanti da essi stessi eletti, della classe politica, e talvolta della materia “politica” in generale. L’altro evento cruciale è stato la diffusione di internet che, dando la possibilità di mettere in comune pensieri e progetti a persone anche fisicamente distanti in comodità e in tempo reale, ha rivoluzionato l’intero sistema comunicativo. La coincidenza di questi due eventi ha reso possibile il ritorno a discussioni favorevoli a una reintroduzione della democrazia diretta. Grazie al mezzo tecnico di internet è stato possibile dare voce e condividere il forte sentimento di scoraggiamento e disistima della popolazione nei confronti della classe politica (il più delle volte per ragioni assai valide). La democrazia diretta, intesa come l’affermazione della volontà generale del popolo, è divenuta, grazie alla velocità della comunicazione, al tempo di internet, un obiettivo da perseguire. La sempre di moda retorica della restituzione del potere al popolo, pur venendo giustamente rivendicata in nome di una giusta richiesta di maggior eguaglianza sociale, rischia di diventare uno scopo politico fine a se stesso, cadendo nell’errata inferenza per cui: da una mala-rappresentanza si deduce la rappresentanza come male. 

 

Il primo limite evidente di una democrazia così intesa è l’assunzione che la volontà generale sia sinonimo di scelta migliore, indipendentemente dalle condizioni che l’hanno resa possibile. La democrazia, come ormai da tempo i più concordano, non è la semplice votazione, bensì l’intero processo di confronto diretto alla realizzazione della scelta migliore per la società. La democrazia infatti, se limitata alla sola espressione dell’opinione, non può chiamarsi tale, perché il suo proprio significare è proporzionale al grado di giustizia al quale giunge, e non alla semplice possibilità di esprimersi; la libertà di espressione è necessaria ma non sufficiente all’affermarsi della scelta democratica (per approfondire il tema della libertà nella democrazia si veda l’articolo di Giacomo Lovison Libertà e diritti senza doveri: l’assurdità della democrazia attuale). Ciò detto, se si volesse procedere con la votazione usufruendo dei nuovi mezzi di comunicazione, essi sarebbero, almeno in parte, garanzia di espressione e non di “confronto”, dal momento che il confronto tra milioni di persone che dicono la propria, si annulla ad un valore prossimo allo zero, in quanto a incalcolabilità e varietà di opinioni possibili da valutare contemporaneamente; sia esso realizzato in uno spazio virtuale che in un luogo fisico. In realtà, intendendo la democrazia diretta limitatamente a come è stato appena fatto, si può dire che al giorno d’oggi la volontà del popolo, inteso come un ipotetico unicum aggregato, sia molto più assecondata di quello che si pensi. L’espressione “campagna elettorale permanente” è estremamente significativa. A causa delle rilevazioni d’opinione giornaliere e sondaggi vari, trasmesse da qualsiasi mezzo d’informazione, cittadini e politici sono sottoposti ad un’attenzione pedissequa all’opinione del resto della popolazione. I politici più popolari divengono non quelli con il progetto più lungimirante ma coloro che meglio si adattano alle opinioni della maggioranza. Ogni decisione politica è misurata il giorno dopo l’essere stata proposta, venendo così giudicata positivamente o negativamente, non in conseguenza di un confronto realizzatosi ma rispetto a come la percentuale di consenso di chi l’ha proposta si sia alzata o abbassata. Questo meccanismo illude chi vi partecipa di vedere realizzata la volontà popolare, ma in realtà non fa altro che assecondarne i limiti, eliminando la possibilità di realizzare un piano politico di lungo periodo. 

 

Il secondo punto mette in luce come la forma di democrazia diretta sia assai vulnerabile al divenire strumento antidemocratico per eccellenza, racchiudendo un grande potere nelle mani di pochi. Le votazioni che avverrebbero, sarebbero infatti l’espressione di una preferenza piuttosto che un’altra rispetto a determinate emanazioni che però per essere messe ai voti hanno necessitato di essere formalizzate in precedenza; se quindi di fatto sarebbe possibile “far cliccare” a tutti gli aventi diritto sulla preferenza di voto mediante una piattaforma on-line apposita, non sarebbe possibile far partecipare tutti a ciò che realmente costituisce la parte fondante di quella determinata votazione, ovvero la stesura formale della proposta, che rimarrebbe quindi relegata ad un  numero ristretto di persone; le quali avrebbero un potere estremamente più ampio rispetto agli stessi odierni parlamentari, in quanto si ritroverebbero a poter far approvare una certa legge, avendo a garanzia della sua validità esclusivamente il vaglio della maggioranza della popolazione, senza la molto più rilevante approvazione risultante dal dialogo. Si pensi difatti all’importanza cruciale di tutti gli svariati articoli di cui si compone una determinata legge che, avendo il compito di migliorare concretamente l’ordinamento dello Stato, rivestono il cuore stesso della legge in votazione, e che venendo votati tout court non possono che essere compresi superficialmente dai votanti. L’alternativa sarebbe di poter con gli aventi diritto al voto, cioè tutti, elaborare, il che significa confrontarsi, di volta in volta, su ogni punto con tutto il resto della popolazione. Ciò appare immediatamente come un’impresa che bloccherebbe qualsiasi processo legislativo. 

 

Dall’altro lato, come accennato inizialmente, i sostenitori di questa prima forma di governo possiedono un argomento estremamente valido contro quella rappresentativa. La democrazia rappresentativa è il sistema vigente nella totalità delle democrazie occidentali ma, intesa come lo è stato fatto fino ad oggi, contiene anch’essa un grande difetto che spiega ed ha reso possibili molti dei problemi politici e sociali odierni. Avere dei rappresentanti eletti, e aver partecipato alla loro elezione, è stato associato all’idea di aver delegato la propria partecipazione politica a chi è pagato per farlo. Dall’assunzione dei termini “rappresentanza” e “delega” come sinonimi nasce l’errata concezione di ciò che è politico come di qualcosa che è affare esclusivo di chi il politico lo fa di professione, citando Weber nel suo La politica come professione. Il votare un rappresentante non deve e non può essere associato al delegare il rappresentante di occuparsi di politica al posto proprio. La politica infatti possiede, come la filosofia, una caratteristica intrinseca per cui non è possibile non occuparsene; e di conseguenza il credere di non farlo significa solamente farlo malamente. È politica il fare la spesa di ogni giorno, come lo è il preferire un prodotto più sano e sostenibile piuttosto che un altro. È politica il contributo al buon funzionamento della comunità cui si aderisce, come lo è il comportamento civile e onesto nei luoghi pubblici, di lavoro, e verso le persone con cui ci si relaziona. 

 

Ogni nostra azione contiene molti più significati di quelli che giudichiamo superficialmente come scelte individuali, da ognuna di esse derivano molte più conseguenze di quelle che riteniamo ingenuamente non ci riguardino. Gli acquisti, così come gli stili di vita di ognuno, riflettono la politica nella quale si crede (per approfondire si legga l’articolo di Alessandra Zen Verso una nuova consapevolezza del dialogo democratico). L’economia, gli investimenti per il futuro, le infrastrutture, i progetti, gli obiettivi che un Paese si pone, per quanto buoni possano essere, non riusciranno mai a realizzarsi compiutamente se ogni cittadino non li farà propri; se per di più i progetti stessi non sono un granché, come sembra sia la situazione attuale, altrettanto maggiore sarà l’importanza della vita quotidiana di ognuno per far sì che ne vengano realizzati sempre di migliori. I rappresentanti politici dovrebbero rappresentare e, nei migliori dei casi, orientare l’agire dei popoli verso un modo di vivere migliore, ma la qualità di una società democratica si denota dalla qualità delle azioni dei suoi appartenenti. Il nostro stile di vita è la politica in cui crediamo. 

 

18 gennaio 2018

 




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