Il posto del filosofo

 

Ragionando con il mondo, muovendo e producendo le idee: è così che i filosofi, come l’occhialuto Amilcare, possono contribuire al cambiamento della collettività e al suo arricchimento culturale, morale ed etico.

 

Giorgione, "Tre filosofi" (1506-1508)
Giorgione, "Tre filosofi" (1506-1508)

 

Nell’età dello scambio d’opinioni via web e delle pillole di sapere istantanee in forma di frammenti decontestualizzati, in cui la filosofia diventa l’utile strumento per abbellire una foto da “postare” sui social network, il filosofo deve chiedersi e al filosofo si deve domandare il senso del suo “mestiere”

 

Italo Calvino nel 1958 scrive e pubblica L’avventura di un miope. Nel breve racconto, ci fa fare la conoscenza di Amilcare Carruga, un personaggio apparentemente incerto, incapace di comprendere la propria vita che piano piano va «perdendo sapore». Amilcare è per noi il novizio studente di filosofia, l’ipotetico ragazzo di prima liceo: alle prime armi, convinto che il mondo sia opaco, incomprensibile e fuori dalla sua portata; con la testa piena di domande che scoraggiano, lasciano spauriti e privi di mezzi per rispondere. Amilcare, nel 2018, tuttavia, trova una prima e rapida soluzione agli interrogativi della quotidianità: una sbrigativa ricerca nel web e il gioco è fatto. Accontentandosi delle soluzioni istantanee e superficiali che Google gli offre come primo risultato della ricerca, certamente utili per riempire le pagine del quaderno, porta a termine un compito da svolgere e acquieta momentaneamente la sua curiosità, ma nulla più. Amilcare rimane con gli stessi quesiti e senza la soddisfazione di trovare una risposta che, anche se di poco, gli renda il mondo più limpido. 

 

« Alla fine capì. Era lui che era miope. L’oculista gli ordinò un paio d’occhiali. Da quel momento la sua vita cambiò, divenne cento volte più ricca d’interesse di prima. »

 

 

È questo che serve al nostro giovane ragazzo! Chi di noi non ha avuto bisogno di un “oculista” che ci fornisse i mezzi per vedere meglio? L’iniziazione alla filosofia, che se ne dica, non è per tutti una vocazione divina per la ricerca del sapere, in particolare oggi che, tutto considerato, non la si incontra spesso, se non nei banchi di scuola (e sfortunatamente non in tutti). Non a caso, molti studenti fanno la prima conoscenza di questa strana, ma interessante disciplina, grazie a figure spesso “antipatiche” e distanti e, per questo, il più delle volte fin troppo poco considerate: gli insegnanti. Non che tutti siano esperti nel loro compito, ma questi “maestri” provano a comprendere le domande spaesanti dei nostri “Amilcare”, provano a darne una risposta e, di conseguenza, li invitano a porsene sempre di diverse e ad interessarsi alle risposte che una vita filosofica può fornire: a partire dalla scoperta di un autore, al ritrovamento di un nuovo tema da indagare o alla semplice occasione di comprendersi e comprendere. Tuttavia, una volta ottenuti, questi occhiali sono difficili da sostenere, richiedono manutenzione, ma ancor di più nascondono il viso.

 

« Amilcare capì che nessuno l’avrebbe riconosciuto. Gli occhiali che rendevano visibile il resto del mondo, quegli occhiali dall’enorme montatura nera, rendevano invisibile lui. »

 

Irriconoscibile agli occhi degli altri, il giovane Amilcare passeggia per la sua città immaginaria, invisibile. È ormai fuori dalla possibilità di essere inteso, inserito nella cerchia dei futuri insegnanti, coloro che indossano e regalano “gli occhiali”. Rinchiusi in preconcetti e pregiudizi, i novelli portatori d’occhiali vengono limitati e indirizzati verso quell’unica strada che è già stata percorsa da altri, ritenuta impropriamente come l’unica possibile e legittima per la loro condizione: seguire anche loro la via dell’insegnamento e diventare così “oculisti”, creando un chiuso e fisso circolo d’apprendimento con l’esclusivo fine della sua improduttiva accumulazione privata. Ma non è a questo che servono gli occhiali! Amilcare ha finalmente compreso un po’ del mondo, sebbene in piccola parte e ancora con molti interrogativi lasciati senza risposta; vuole essere d’aiuto, desidera far di più che discutere con sé e darsi risposte in solitudine; chiede di essere riconosciuto per diventare per gli altri un supporto attivo e concreto. L’Amilcare di Calvino, purtroppo, alla fine della storia si rende conto che, con o senza gli occhiali, la sua esistenza rimane la stessa: capace di vedere, ma tagliato fuori dal mondo della vita, incapace di reinserirsi nella comunità degli uomini che lavorano e producono. Il nostro Amilcare, invece, ha ancora da sperare. 

 

Questo lo sa già bene uno dei veri maestri, Edmund Husserl, che nel suo ultimo testo, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1954), ci informa che

 

« noi siamo riusciti a comprendere, anche se soltanto nelle linee più generali, come il filosofare umano e i suoi risultati non abbiano il significato puramente privato o comunque limitato di uno scopo culturale. Noi siamo dunque – e come potremmo dimenticarlo? – nel nostro filosofare, funzionari dell’umanità. »

 

Husserl cerca di scardinare l’idea del filosofo privato e ci permette di immaginare un filosofo “sociale”, attivo e pratico. I filosofi, fin dall’origine del loro costituirsi, sono gli operatori dell’umanità. Allontanando l’idea di un lavoro produttivo “materiale” e dell’utile immediato (l’unico bene a cui oggi si tiene particolarmente), gli studiosi di filosofia sono abili (come da sempre lo sono stati) in un tipo di produzione differente, il cui beneficio giunge a lungo termine: sono i produttori di senso e di idee, in grado di far sviluppare e maturare «il vero essere dell’umanità». Ragionando con il mondo, muovendo e producendo le idee: è così che i filosofi, come l’occhialuto Amilcare, possono contribuire al cambiamento della collettività e al suo arricchimento culturale, morale ed etico. Ciononostante, su un punto il filosofo tedesco si sbaglia. È fin troppo facile dimenticarsi dell’importanza degli occhiali. Sempre di più, da una notizia poco attendibile o da un chiacchiericcio da social network, ci si lascia assopire nella vana soddisfazione istantanea che, dalla conoscenza superficiale e opaca, può essere raggiunta. 

 

29 luglio 2018

 




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