Nei meandri metafisici del capitalismo del XXI secolo

 

Quali sono le basi del sistema vigente, inteso come sistema economico, politico, sociale, cioè come sistema globale? Potrebbe stupire come a fondamento del sistema vi siano connessioni che intercorrono tra nichilismo e relativismo, scaturiti da processi culturali e non ricollegabili a fattori strutturali. Quanto profonde sono le radici del sistema?

 

di Alessio Canini

 

 

La riflessione circa il senso della nostra esistenza, dell’Universo che ci circonda, del perché dell’Essere piuttosto che del Nulla e la riflessione circa Dio, sono tutte questioni di carattere metafisico. Interrogativi che sono stati seriamente minacciati da Kant (basti pensare al solo titolo dell’opera Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza) e da altri filosofi, nonostante alcuni si siano resi conto dell’importanza di tali interrogativi per l’uomo: ciò che veramente conta, per Wittgenstein, ad esempio, non sono i fatti, ma l’essere-sentirsi, e cioè il credere e tutto ciò che è fuori dal mondo, incluso il suo senso (cfr. Quaderni 1914-1916, tr. it. Torino 1964). Perché, ancora oggi, discutere di metafisica? Basterebbe la sola fama della Metafisica per comprenderne l’importanza, come ben capì Gómez Dávila, negli Escolios, I:

 

« così ripetutamente hanno seppellito la metafisica che bisogna giudicarla immortale. »

 

Non volendo essere questo il fine in sé di questo scritto, è importante discuterne, perché tale argomento, oggi, ci tocca più che mai. Proprio oggi, all’alba del XXI secolo, è ancora importante discutere di metafisica non tanto per farne propria materia di studi o campo d’erudizione, ma per esercitare «l’intelligenza fine» che prolunga «l’anima stessa», al fine di vegliare e non cullarsi tra le mille distrazioni, materiali e spirituali, che la società dei consumi ci offre e ci propina quotidianamente. È in corso, infatti, una battaglia che si consuma nelle menti e negli spiriti degli uomini, ancor prima che nella carne. Se è vero, infatti, che attualmente soffriamo per le conseguenze della crisi del 2008, non basterebbe una analisi puramente economica ad enucleare correttamente il problema connesso al sistema vigente attualmente.  

 

È ciò che hanno compreso Pierre Dardot e Christian Laval, i due autori de La nuova ragione del mondo. Non ci troviamo più di fronte al capitalismo di vecchio stampo e, pertanto, è necessario ampliare l’analisi della razionalità che governa il mondo, oggi. Razionalità che non è più solamente economica, ma anche sociale, politica, etica, (finanche spirituale). Non possiamo essere certi della matrice da cui è scaturita la situazione odierna, ma risulta evidente come la logica capitalistica sia stata aiutata dal nichilismo e dal relativismo che hanno imperversato soprattutto nella seconda metà del ‘900 tra le popolazioni. Effettivamente, indagare la logica che sottostà al fenomeno che ancora oggi definiamo “capitalismo” (che ha subito miglioramenti e affinamenti interni notevoli) significa analizzare l’intreccio delle conseguenze dei fenomeni più rilevanti del secolo XX, quali, appunto, nichilismo, relativismo e finanche una certa tendenza positivista ancora imperante. È certo che vi è in ogni epoca una ragione dominante, influenzata continuamente dalle élite culturali e, dunque, in continua evoluzione. Le elaborazioni teoriche del ‘900 furono svariate e spesso distanti tra di esse, ma quelle ben radicate e che hanno avuto più diffusione e risonanza (almeno in Occidente) sono state congeniali all’evoluzione del sistema stesso. Sebbene la struttura economica non differisca molto da quella teorizzata da Marx (Giovanni Arrighi era convinto che si continuasse a perpetuare lo schema D-M-D’ nel sistema economico-finanziario attuale), la sovrastruttura è andata evolvendosi ad uno stadio di complessità tale da doverlo analizzare con cautela. È certo che la sovrastruttura attuale sia ben diversa da quella di appena un secolo fa.

 

Le basi della nuova sovrastruttura sono ora permeate dal nichilismo e dal relativismo. Spazzate vie le certezze di un tempo nel corso di un processo storico a sé stante, avuto inizio formalmente nel 1789, il percorso di liberazione dalla metafisica tradizionale di stampo cristiano e di altre verità assolute si completa solo con l’elaborazione teorica del nichilismo più maturo. La liberazione dalle catene della trascendenza fu un percorso completato con Nietzsche e meglio poi delineato dai successori, tra i quali spiccano Heidegger e Jünger. Sebbene le reali intenzioni erano quelle di costruire nuove basi per creare un Oltreuomo, il fenomeno nichilistico ha preso piede e si è radicato nella sua forma di nichilismo passivo, cioè come pars destruens, non riuscendo, poi, a completarsi come nichilismo attivo. Non è banale, infatti, considerare il ‘900 come il secolo della decadenza spirituale dell’uomo, come secolo di paure e terrore, come smarrimento dell’umanità in una terra lasciata ora desolata, in cui l’uomo si interroga su di sé e sul mondo a lui circostante senza trovare risposta alcuna. Un mondo ora vuoto, in cui del sacro non rimane altro che l’ombra. La vittoria del Nulla (quel Nulla che, per dirla con Gómez Dávila,  è «ombra di Dio») sull’uomo, cioè l’annichilimento dell’esistenza umana, corrisponde ora a dramma assoluto, ad un paradosso privo di qualsiasi spiegazione. Il dramma dell’esistenza prende ora piede tra gli uomini, o così almeno si suppone sia accaduto. Invero, come bene Heidegger poté affermare, il peso del Nulla è un peso che solo il vero filosofo può sopportare e con cui bisogna confrontarsi (egli, non per caso, arrivò a dire che Nietzsche lo distrusse dentro). L’uomo, dunque, non sembra esserne uscito vittorioso. Le vecchie catene metafisiche sono state spezzate, e questo fu accolto da molti con gioia, ma vi erano catene ben più oscure all’orizzonte. Avendo l’uomo perso ogni riferimento, ogni punto di stabilità e ogni possibilità di poter conoscere una verità assoluta, si potrebbe pensare che gli uomini dovettero affrontare coraggiosamente il Nulla. Non accadde così, però. Accadde quel che ancora un escolio di Gómez Dávila individua con precisione:

 

« Per evitare un confronto virile con il nulla, l'uomo erige altari al progresso. »

 

Quel progresso è mosso dalla τέχνη, quella stessa tecnica di cui Heidegger così sentenziò nella celebre intervista Solo un Dio ci può salvare:

 

« La tecnica nella sua essenza è qualcosa che l'uomo di per sé non è in grado di dominare. »

 

 

Il confronto col Nulla è un peso atroce e insopportabile, e, pertanto, l’uomo contemporaneo lo rifugge, preferendo, piuttosto, potersi cullare nel progresso materiale e tecnologico, in un mondo parallelo e tanto vano quanto quello di chi crede che la scienza possa liberare dalle catene che opprimono l’uomo. Il processo che qui viene descritto è tutto un paradosso. L’uomo è ridotto a nulla e, pertanto, sull’umanità è piombata l’angoscia. Tuttavia, l’uomo non vuole fare i conti con tale processo, e la tecnica sembra essere la giusta direzione per riempire una grande mancanza spirituale dell’uomo d’oggi. Il tutto è arricchito dal credo che non esista più alcuna verità assoluta (relativismo estremo), ma tale assunto è esso stesso di carattere assoluto e perentorio, così come chi crede che la scienza goda di un qualche privilegio tale da garantirgli la verità stessa. Quante volte oggi sentiamo dire: “ma lo dice la scienza!”. Si dovrebbe rammentare che vi è ben poco di oggettivo in qualsiasi scienza, come ben argomentò Weber nel suo Il metodo delle scienze storico-sociali. La condizione creatasi, dunque, è di una grande confusione, di un deserto per le idee e per il confronto critico, di un mondo ridotto alla sensibilità e a ciò che appare, ciò che è materiale. Cosa se ne è ricavato dall’aver confermato l’uccisione di Dio? Di aver tolto ogni catena all’uomo, adesso atomo sperduto in un Universo infinito, ma avente la libertà di poter decidere pienamente di sé e del suo destino. Si è fatta della libertà un fine. Ma l’uomo è stato o sarà capace di puntare alla libertà come mezzo e non come fine? Un punto da tenere bene a mente, dato che «coloro che la prendono come fine, quando la ottengono non sanno che farne» (Gómez Dávila, Escolios, I). E, soprattutto, persa ogni radice spirituale, che ne è dell’uomo?

 

24 luglio 2018

 




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