Contro il fariseismo delle leggi

 

Il fariseo ‒ che accetta le leggi in maniera fideistica e sfrutta la loro mera forma per giustificare le proprie azioni o mancate azioni – è un pericolo per la democrazia, è un elemento di forte arretratezza per una popolazione, perché nell’accettare le leggi così come sono accetta allo stesso tempo i loro limiti, senza far niente per superarli.

 

Il fariseo è quella persona che nella sua vita è immersa e soggiogata dalle forze positive che regolano la società. Non prende mai la distanza da quello che è l’ordinamento in atto, non pone in discussione se stessa e le leggi che regolano la sua vita, anzi, ha piena fiducia in quelle leggi e le usa come giustificazione per ogni sua azione. Il fariseo non entra nel contenuto della legge, non cerca di far proprio il motivo che sta dietro ad essa: l’assume come un dato di fatto o nei peggiori dei casi come un principio d’autorità.

 

I farisei sono presenti anche nella società attuale: sono coloro che sostengono i diritti inalienabili dell’uomo senza neppure averli compresi; sono tutti quei politici che si giustificano limitandosi a dire “perché c’è scritto nella Costituzione” senza entrare nel merito dell’argomento; sono quelle sentenze dei tribunali che citano pagine e pagine delle più disparate leggi ed ordinamenti senza arrivare concretamente a risolvere il problema; sono coloro i quali non compiono una determinata azione per paura delle conseguenze ‒ non perché hanno presente il motivo per cui è sbagliato farla ‒ e si giustificano dicendo “la legge lo vieta”, “è un reato farlo” o altre espressioni simili che ogni giorno sentiamo.

 

« Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità. » (Matteo, 23, 27-28)

 

Quella contro il fariseismo è una battaglia iniziata sin dai tempi di Gesù, portatore di un concetto rivoluzionario di soggettività, per cui essere una persona buona non significa seguire alla lettera le leggi, ma metterle in discussione, calandole il più possibile nella situazione particolare e, nel caso in cui fosse necessario, anche trasgredirle. Le leggi, in quanto punto di massima sintesi della volontà della società in cui sono applicate, hanno la presunzione ‒ per il loro carattere universale ‒ di essere il più possibile esaustive, ma questa pretesa è facilmente superabile: è impossibile che riescano a ricoprire tutti i casi particolari che si presenteranno davanti. È necessario quindi tener sì presenti le leggi e gli ordinamenti, ma allo stesso tempo saper calarsi nel particolare e aver di mira il migliore bene possibile in quella situazione, non il seguire a tutti i costi una legge.

 

Quando si parla di leggi bisogna sempre tenere a mente una loro caratteristica fondamentale: la razionalità. Ogni legge infatti, in quanto scritta dall’uomo, è una legge razionale, essendo il risultato di un processo di pensiero che l’ha portata in luce; per cui rispetta il volere dell’uomo e della società in cui viene applicata. All’interno di una società, cui si è deciso di far parte ‒ sia questa lo Stato o una semplice associazione sportiva ‒, si è sempre portati a seguire delle regole. Qualora queste regole non ci andassero bene, è nostro dovere e diritto far presente il motivo del mal contento e, qualora non facessimo niente per cambiarle, è come se le accettassimo così come sono in vigore. Una legge è sempre quindi l’espressione più fedele del gruppo in cui è applicata, in quanto resta valida finché persiste il consenso che quella legge sia buona. 

 

«[…] nelle leggi positive, […] dopo che sono state emanate vengono a ciascuno applicate per mezzo di un giudizio della ragione, in quanto per la forza della legge è giudicato necessario ciò che di per sé non [lo] era, e così quel giudizio [cioè: quello della legge] è ormai come una legge che esiste nello stesso suddito. » (Francisco Suárez, Trattato delle leggi e del Dio legislatore, vol. 1)

 

Il fatto che le leggi siano scritte dall’uomo è un fattore di forte limitazione: la ragione umana non è infallibile, ed è per questo sempre possibile metterla in discussione, in quanto non riesce a pensare tutti gli infiniti casi particolari che possono presentarsi. Entra qui in gioco la forza negativa, che non è propria del fariseo, ma è insita in chi riesce a capire che le leggi sono limitate e fallaci come le stesse operazioni della ragione. Il pensiero del negativo è inteso come quella forza che è insieme critica e opposizione; è un momento necessario e determinante nella costruzione di un concetto ‒ che nel nostro caso prende la forma di legge ‒; è il momento in cui si mette a nudo il pensiero corrente per rivestirlo di un abito migliore. È importante sottolineare che questa forza negativa non è un momento separato dal porsi positivo del concetto, ma è lo stesso processo che il pensiero attua ancora prima che un concetto venga esposto, e che inizia nel pensare il concetto stesso. La forza negativa, che dobbiamo far nostra e di cui dobbiamo prendere coscienza, inizia analizzando quei particolari che la legge ha dovuto tralasciare, per far sì che tali particolari emergano sempre di più e prendano una disposizione migliore nel pensiero, cioè una traduzione migliore nella legge.

 

Il processo sopra descritto è il sale stesso della democrazia, è lo spirito che muove lo sviluppo dello Stato, il quale si vede migliorarsi sempre di più proprio grazie alla continua messa in discussione di se stesso e dei propri ordinamenti. Ecco quindi che il fariseo ‒ che accetta le leggi in maniera fideistica e sfrutta la loro mera forma per giustificare le proprie azioni o mancate azioni – è un pericolo per la democrazia, è un elemento di forte arretratezza per una popolazione, perché nell’accettare le leggi così come sono accetta allo stesso tempo i loro limiti, senza far niente per superarli.

 

È necessario capire che il processo del pensiero non può fare a meno che mettere in discussione continuamente la forma che hanno preso le leggi, e più si metterà in risalto questo processo, più noi stessi potremmo trarne dei benefici grazie ad una traduzione migliore della realtà nella legge stessa. La legge e la moderna teoria dei diritti non devono essere quindi intesi come qualcosa di imposto, d’immediato, ma come frutto di un confronto tra varie esigenze e modi di vedere differenti, che, in quanto unione di opinioni diverse, ha in sé connaturata la possibilità di essere rivalutata e di subire una nuova mediazione. 

 

 

Quando sentiamo, ad esempio, che i nostri governanti hanno deciso di salvare gli immigrati in mare perché affermano che questo atto rispetta i diritti inalienabili dell’uomo, questa risposta non ci dovrebbe soddisfare affatto. Ci si aspetterebbe di più da un rappresentante in parlamento: tale governante dovrebbe far vedere che il salvare la persona in mare è un’azione giusta, sottolineando l’importanza della vita di una persona anche se questa è di un’altra nazionalità ed è povera. Sembra invece che questo aspetto manchi; sembra che si compia una determinata azione perché c’è scritto in una carta, senza capire il reale contenuto che quella carta esibisce e senza mai metterlo in discussione. Ecco quindi che emerge il ruolo della politica come guida ed esempio per una popolazione; e il ruolo dell’istruzione nel forgiare i cittadini. Questi due organi congiunti dovrebbero mettere in discussione il fondamento delle leggi e dei diritti, rinnovandoli di pari passo con il progredire del pensiero e facendoli così rivivere all’interno del cittadino. A quanto pare questo atteggiamento nel nostro Paese manca: la scuola non forma ragazzi che riescano a far proprie le leggi e i politici ‒ cresciuti in un sistema educativo deficitario ‒ non prendono provvedimenti per cambiare il modo di vedere le leggi. Questo è un circolo vizioso che qualcuno dovrà pur interrompere cercando di far emergere le problematicità insita nelle leggi, altrimenti il fariseismo e la visione miope di democrazia che ne consegue si protrarranno ancora per lunghi periodi.

 

« Lo stato del mondo non è ancora conosciuto; il fine è di produrlo. Questo è lo scopo degli uomini cosmico-storici, ed essi vi trovano la loro soddisfazione. » (G.W.F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia)

 

10 maggio 2018

 




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