Dalla speranza al desiderio, fino alla felicità

 

Tutti la ricerchiamo e ci affaccendiamo per ottenerla, ma sembra che la nostra società sia piuttosto attrezzata per farcela sfuggire.

 

di Antonio Andretta

 

Peter Seminck, “Still waiting for Bonnie”
Peter Seminck, “Still waiting for Bonnie”

 

L’uomo è per natura portato, nel condurre la sua vita, alla costante ricerca della felicità. Un processo, questo, che appare tanto scontato – poiché comune a chiunque –, quanto, poi – come si rivela ad un’analisi più attenta –, così complesso da sembrare quasi impossibile. Infatti, per poter avere ragione di credere di star compiendo un cammino proficuo a tal proposito, risulta necessario definire il termine e comprenderne la natura, per dopo individuare gli ostacoli che si frappongono fra l’individuo ed essa.

 

La lingua italiana propone la seguente definizione del vocabolo “felicità”: «lo stato d’animo di chi ritiene soddisfatto ogni suo desiderio». Ha dunque senso chiedersi cosa sia il desiderio e se tutti i desideri abbiano ragione di essere soddisfatti. Desiderio si definisce: «sentimento di ricerca appassionata al fine del conseguimento o dell’attuazione di quanto è sentito confacente alle proprie esigenze». A questo punto giunge in aiuto Epicuro il quale, in una Lettera sulla felicità indirizzata a Meneceo, propone una chiara e assolutamente condivisibile suddivisione dei desideri, sulla base delle necessità umane il cui conseguimento porta a soddisfare. Epicuro classifica i desideri suddividendoli in tre categorie: naturali e necessari, che fanno capo all’amicizia, alla libertà, al riparo, al cibo, all’amore e alle cure; naturali ma non necessari, come l’abbondanza e il lusso; non naturali e non necessari annoveranti la ricchezza, il successo, il potere e la fama. Egli, inoltre, aggiunge e pone l’accento sull’importanza, al fine del raggiungimento della felicità, di soddisfare i primi; di come l’accesso ai secondi possa risultare positivo, solo se, però, a tal fine, non si giunga a sacrificare i primi, e di quanto gli ultimi siano, nella stragrande maggioranza dei casi, fonte di infelicità, non solo in seguito al loro conseguimento, ma anche nella stessa loro ricerca, poiché essi, definiti tal volta come i “falsi idoli”, contribuiscono solamente a creare una bramosia ancor più ansiosa degli stessi, inghiottendo l’individuo nel più vizioso dei circoli. Un’eccezionale sintesi in proposito può essere fornita da una considerazione di Albert Einstein, che scrisse su due bigliettini lasciati al posto della mancia a un corriere in Giappone:

 

« Una vita calma e modesta porta più felicità della ricerca del successo abbinata a una costante irrequietezza. »  

 

Epicuro e Einstein
Epicuro e Einstein

 

Essendo, dunque, il desiderio fonte stessa della felicità, da esso derivante e derivata, è logico credere che sia condizione necessaria al suo conseguimento: se non vi sono desideri da appagare, non vi sarà nemmeno la scaturente felicità all’orizzonte. Esso non è tuttavia contemporaneamente condizione sufficiente per il raggiungimento del fine ultimo: la felicità non deve basarsi su mere speranze future (fondamentale è esplicitare la differenza fra desiderio, la cui definizione è stata riportata in precedenza, e speranza, ossia «attesa fiduciosa di un evento gradito o favorevole»), ma anche sul godere dei risultati ottenuti fino all’attimo presente. In caso contrario, infatti, l’intera vita dell’individuo correrebbe inesorabilmente incontro al serio rischio di trasformarsi in un’infinita, agognante e passiva aspettazione di veder compiute le proprie speranze, senza averne chiaro il fine, né, tantomeno, il modo per raggiungerle, riducendo, in tal modo, la propria intera esistenza ad un “atto di fede”.

 

Si consideri ora il sistema educativo odierno, che dovrebbe, in linea di principio, attrezzare i giovani, attraverso un percorso mirante a tale scopo, ad affrontare la vita con tutti i mezzi e gli strumenti necessari per consentire la realizzazione personale di ciascuno; che dovrebbe, dunque, indirizzare gli studenti nel loro cammino verso la felicità. Alla luce delle precedenti considerazioni, sembra essere, al contrario, manifesto come esso predisponga i giovani ad una vita vuota e solo apparentemente e superficialmente felice. Senza fornire spiegazione alcuna riguardo al legame di ciascuna delle questioni e degli argomenti trattati nel corso delle lezioni con la realtà esterna ad esse, il sistema risulta inevitabilmente pesante sulle spalle degli studenti ed estremamente mal sopportato dagli stessi; i quali, al completo oscuro del significato dell’attività che impiega la maggior parte della loro vita, vi si ritrovano psicologicamente costretti, nel nome della speranza di un “successo” futuro, che ha come requisiti fondamentali, per poter dirsi tale, la ricchezza, l’abbondanza e la fama. È poi significativo osservare come le soddisfazioni che dovrebbero animare di felicità il presente dello studente siano ridotte a dei numeri, da uno a dieci, ottenuti sulla base di una comprensione mnemonica e solo apparente di cose il cui significato è ignoto e per le quali, comunque, è nutrito uno scarso, se non talvolta nullo, interesse. Allo stesso modo è incomprensibile come la scuola stessa riduca le materie trattate – evidentemente reputate quelle di maggior importanza, data l’ideale funzione del sistema d’istruzione – a quanto di meno entusiasmante possa esistere agli occhi degli alunni, i quali, a causa della violenza con cui le nozioni sono impartite, non arriveranno mai a nutrire e coltivare passioni e desideri “costruttivi”, ma solo speranze nel raggiungimento di “falsi idoli”, il cui reale valore è, comunque, manifestamente ignoto. Sembra, dunque, assurda, quanto pur evidente, la situazione di totale smarrimento nella quale i giovani si trovano a brancolare, intraprendendo un percorso che essi stessi ritengono fondamentale, ma, della cui importanza essi non conoscono la ragione, la quale nessuno, comunque, riesce a far loro comprendere, fornendo, per esempio, come spiegazione il fatto che la vita è sacrificio (votato sembra al nulla) e che la scuola abitua a sopportarlo.

 

Giovanni Gentile
Giovanni Gentile

A tal proposito Giovanni Gentile scriveva nel Sommario di pedagogia:

 

« La scuola dev’essere, non diminuzione e prostrazione dello spirito, non meccanizzazione artificiale delle categorie di vita, ma la più chiara celebrazione di quello, e il rinnovamento continuo di questa in tutta la sua pienezza e freschezza. »

 

Affermazione, questa, che manifesta un’innegabile contradditorietà con la “pienezza” della vita di individui la cui esistenza è votata alla speranza nel raggiungimento di piaceri derivanti dalla prosperità, dal lusso e dalla fama, il percorso verso il raggiungimento dei quali è, comunque, completamente oscuro nel suo significato.  

 

Buddha
Buddha

A tale mentalità sembra essere rivolta la specificazione sulla felicità del Buddha contenuta nel Dhammapada:

 

« La causa della sofferenza è l’inconsapevole desiderio di piacere. » 

 

Il piacere da intendersi come quello derivante dal bramato conseguimento dei “falsi idoli”, inconsapevole poiché il loro significato è ignorato, dal momento che, invece di condurre al fine sperato, portano alla sofferenza.

 

L’asserzione di Gentile sembra anche essere in contrasto con gli effetti che questa mentalità produce con il tempo sugli individui, nel mondo del lavoro. La «chiara celebrazione» dello spirito si manifesta nella quotidiana iterazione di una routine in cui «le giornate si accorciano, non si riesce mai a fare tutto quello che si vorrebbe, eppure si è super impegnati, sempre presi e persi nel tempo che manca, i contenuti delle ventiquattro ore sono calcolati in base a una qualità che ha un gusto mercificato, economico, temporale e prestazionale» (Matteo Gazzitano). Una routine che talvolta genera sicurezza, talvolta stress e rabbia, che comunque si cerca in ogni modo di rendere piacevole o quantomeno accettabile. Ciò si manifesta nella più tipica risposta di un lavoratore qualora gli venga chiesto se il proprio mestiere gli piaccia: «Sì, assolutamente, ma non vedo l’ora di andare in pensione».

 

Così si presenta il cammino per la ricerca della felicità: come un sentiero recintato, circondato da un paesaggio splendido, ma dal fondo aspro e così colmo di ostacoli che la maggior parte degli individui non trova il tempo per curarsene, fermandosi ad ammirare il panorama.

 

28 maggio 2018

 




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