È tutto soggettivo, ma niente è soggettivo

 

Il rapporto soggetto-oggetto – o, detto in altri termini, il rapporto pensiero-realtà esterna – è spesso definito erroneamente, in maniera confusa e poco chiara. Soprattutto, si tende a sviluppare l'idea per cui, se non si postula l'esistenza di una realtà esterna, al di là del pensiero del singolo, tutto diventa relativo. È fondata questa supposizione?

 

R. Magritte, variante de la Tristesse (1957)
R. Magritte, variante de la Tristesse (1957)

 

In quella notevole elaborazione teorica – sviluppatasi per altro in un contesto poco favorevole quale le prigioni fasciste – che sono i Quaderni dal carcere, Gramsci non dimentica di analizzare la questione del rapporto fra soggettività e mondo esterno, entrando nella polemica fra materialisti e idealisti. Senza approfondire a livello storico filosofico la questione o il pensiero del fondatore del PCI, è interessante porre in esame la seguente parte del lavoro gramsciano:

 

« Anche nella scienza, cercare la realtà fuori degli uomini, inteso ciò nel senso religioso o metafisico, appare niente altro che un paradosso. Senza l'uomo, cosa significherebbe la realtà dell'universo? Tutta la scienza è legata ai bisogni, alla vita, all'attività dell'uomo. Senza l'attività dell'uomo, creatrice di tutti i valori, anche scientifici, cosa sarebbe l'”oggettività”? Un caos, cioè niente, il vuoto, se pure così si può dire, perché realmente, se si immagina che non esiste l'uomo, non si può immaginare la lingua e il pensiero. Per la filosofia della praxis l'essere non può essere disgiunto dal pensare, l'uomo dalla natura, l'attività dalla materia, il soggetto dall'oggetto; se si fa questo distacco si cade in una delle tante forme di religione o nell'astrazione senza senso. »

 

Quando si ragiona sull'uomo e la sua attività conoscitiva, in genere l'idea più immediata è che l'uomo, tramite il suo pensiero, si accosti ad una realtà a lui esterna, che viene percepita e così compresa. La conoscenza, date questa basi, cerca di essere oggettiva, cioè di essere fondata rispetto alla realtà. Ma, se si pone la domanda sulla validità di affermare l'esistenza di ciò che è a me esterno, sorgono problemi. Perché, per affermare tale realtà, io devo mostrare che qualcosa esista al di là del mio pensiero. Questo in quanto devo riuscire a dimostrare che qualcosa si pone anche indipendentemente dall'uomo. Tuttavia, qualsiasi cosa noi la conosciamo tramite il pensiero. Uno dirà che il tavolo lo vede “fuori” dalla sua mente, lo tocca, non è qualcosa di labile come i sogni o di modificabile come le proprie immaginazioni; tuttavia, quel legno toccato, quell'oggetto visto, quello spazio che viene percepito come occupato, ecc. – cioé tutte le determinazioni del tavolo  sono determinazioni del pensiero umano. Parlare di un essere che non è pensiero (di qualcosa che è in sé, che è esterno ed è percepito poi) lo si può fare solo se si può conoscere tale essere senza pensare, il che è una contraddizione.

 

O si cade in un realismo ingenuo, dove la realtà esterna è postulata in astratto, o si riconosce che nulla esiste che non faccia parte del pensiero, che non sia una determinazione sua, non divisibile da questo. Si potrebbe obiettare che la scienza dimostra che l'albero esiste anche quando un uomo non c'è, che l'era dei dinosauri c'è stata senza un uomo a vederla. Ma le prove che noi conosciamo – le prove fossili di esseri viventi ormai estinti, il fatto che l'albero doveva sussistere anche ieri, quando nessuno lo vedeva – sono sempre determinazioni del pensiero. Le quali ci fanno affermare l'esistenza di una certa realtà che è descritta secondo come il pensiero riesce a ipotizzarla, dunque a porla dentro di sé. Si può affermare che è esistito un dinosauro milioni di anni prima di quando siamo esistiti noi, ma come viene immaginata quella era remota e il dinosauro sono realtà che verranno postulate da quanto il nostro intelletto pone e immagina. Anche in tal modo non si riuscirà ad affermare una realtà esterna indipendente da chi la percepisce. Nessuna determinazione – causalità, spazio, tempo, ecc. – è qualcosa di esistente in sé, oggettivo in senso ingenuo.

 

R. Magritte, "L'impero delle luci"
R. Magritte, "L'impero delle luci"

 

Qualcuno affermerà che, però, se perdiamo l'esistenza dell'esterno, dell'indipendente dal sé, si cade nel relativismo. Tutto dipende dal soggetto, tutto è dunque relativo. Sicuramente, in un senso, tutto dipenderà dal soggetto: ogni realtà sarà una realtà relativa al soggetto. Ma questo non implica in automatico che tutto sia arbitrario. È vero che le determinazioni che definiscono il fuoco sono quelle da me pensate, ma ciò non si traduce nel senso che posso decidere con la sola immaginazione cos'è un fuoco – non posso far diventare una fiamma qualcosa di freddo solo perché lo voglio. Se tocco il fuoco, mi brucerò. Tutto è pensiero, ma si tratta di una totalità non indifferente, non cambiabile a piacere. Invece, più la realtà viene compresa, più l'uomo può agire evitando contraddizioni – non bruciarsi col fuoco, non creare una società che si autodistrugga e vada contro il suo stesso bene, ecc. Se dunque voglio capire cosa è bene fare, devo analizzare cosa è giusto, di valore attuare, altrimenti finirò per cadere nell'esatto opposto.

 

Nulla è dunque ipotizzabile fuori dal pensiero – una realtà esterna, che non dipenda dal soggetto. Ma tutto ciò che rientra nel proprio pensiero – il proprio corpo, la strada fuori da casa, il cane che gira in giardino, il sindaco della città – non è qualcosa di arbitrario. Si tratta sempre di una realtà con determinate leggi, con una certa coerenza. Coerenza che va studiata e compresa per non prendere la direzione sbagliata.

 

18 febbraio 2019

 








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